mercoledì 24 gennaio 2018

UTOPIA21 - GENNAIO 2018: IL TERZO SPIRITO DEL CAPITALISMO, INDAGATO DA BOLTANSKI E CHIAPELLO



Un saggio di grande importanza per interpretare i mutamenti sociali degli ultimi decenni, non solo in Francia, con attenzione sia all’evoluzione del pensiero dominante dentro e fuori le aziende, sia alle modificazioni, molecolari e profonde, nelle strutture economiche. 



Riassunto – La formazione di un “terzo spirito del capitalismo” dentro alla svolta neo-liberista di fine Novecento (dopo il “primo spirito” dell’industrializzazione nascente ed il “secondo spirito” del taylorismo/fordismo). La ricerca degli Autori attraverso la letteratura di formazione per i manager e l’analisi delle trasformazioni dei cicli produttivi. Il ruolo della “critica sociale” e quello della “critica artistica” al capitalismo. Accoglimento e assorbimento parziali delle diverse critiche nel capitalismo che si trasforma e trova nuove “giustificazioni” per il necessario consenso sociale. L’interpretazione del “mondo connessionista” e la possibilità di un aggiornamento della critica in una “città per progetti”, contro la deriva individualista. In corsivo i commenti personali del recensore



Il saggio dei sociologi francesi Luc Boltanski ed Eve Chiapello “IL SECONDO SPIRITO DEL CAPITALISMO”1 mira a focalizzare la profonda trasformazione delle società capitalistiche nell’era della globalizzazione, concentrandosi soprattutto sulla Francia, nel confronto tra apogeo del Fordismo-Taylorismo (ed anche dirigismo e concertazione), nel 2° dopoguerra, e la fase di riorganizzazione neo-liberista successiva alla crisi del ’68 e degli anni Settanta.

Edito in Francia nel 1999 e poi in una seconda edizione (con specifica prefazione) nel 2011, è stato pubblicato in Italia solo nel 2011 (Feltrinelli) e poi nel 2013 e 2014, quando ha raggiunto, con le ricche note e la ricchissima bibliografia la lunghezza di 738 pagg. : non è pertanto facile riassumerlo e recensirlo; rimando perciò anche direttamente alla fonte, perché il capitolo “Conclusioni”, da pagg.529 a 570 dell’edizione Mimesis/2014, costituisce di fatto un valido e rapido riepilogo.



Il pregevole sfondo storico dell’opera individua, dalla rivoluzione industriale ad oggi, essenzialmente 3 fasi, tenendosi in dialettica equidistanza da Karl Marx (che anteponeva le strutture materiali, relegando l’ideologia a sovrastruttura) e da Max Weber (che invece leggeva nelle spinte ideali il motore della storia):

-       Il “primo spirito” (a cavallo del XIX secolo) rompe con l’organizzazione corporativa del lavoro e con gli assetti tradizionali della società, in nome della libertà di intrapresa e della modernizzazione, ma modella l’azienda sul potere familiare della proprietà e non disdegna il compromesso con le antiche istituzioni (Dio-patria-famiglia) per ottenere il consenso dei salariati;

-       Il “secondo spirito”, nel cuore del Novecento, fa emergere la razionalità dell’organizzazione aziendale, con una piramide (burocratizzata) di dirigenti specializzati, sempre più autonomi dalla mera proprietà, coinvolgendo i dipendenti, strettamente controllati nei ritmi e modi di lavoro parcellizzati, in una realtà o speranza di compensazioni salariali e di welfare, nell’ambito di una società tendenzialmente modellata “razionalmente” come la piramide aziendale;

-       Il “terzo spirito” sta crescendo come ideologia giustificativa dei nuovi modi di produrre valore (decentrati e delocalizzati, flessibili e temporanei, articolati su “reti” internazionali), con cui le imprese hanno superato la rigidità dei modelli fordisti e in parte riassorbito le spinte anti-autoritarie dei nuovi “quadri”, e si diffonde come esaltazione dell’autonomia creativa e dello spirito imprenditoriale, potenzialmente esteso a tutti gli attori in campo, ma in realtà escludendo chi non è abbastanza “mobile”, adeguato alle reti, disponibile ad un sostanziale auto-sfruttamento denominato come “valorizzazione del capitale umano” (che spesso include polivalenza, aggiornamento continuo, reperibilità via smartphone ‘h24’ in cambio di un normale salario, arricchito solo dalla speranza della conservazione del posto, sapendo ‘quanto freddo fà là fuori’).



In questa lettura storica, costante dell’organizzazione capitalistica risulta la ricerca di una adesione consensuale dei lavoratori e dell’intera società tramite “giustificazioni” ideologiche (“De la justification”2 era il titolo di un precedente saggio di Boltanski con Thevenot) e istituzioni o “prove” di apparente trasparenza, ricerca che lascia come residuali ed eccezionali sia le forme schiavistiche più brutali sia le parentesi di militarizzazione e fascistizzazione di stati ed imprese.

Il tema delle “prove” è ricorrente nel testo e riguarda diverse forme codificate nel tempo di regolazione dei rapporti sociali, dove la forza dei gruppi dominanti accetta di essere temperata per farsi accettare dai gruppi più deboli: dalle modalità di assunzione a quelle di licenziamento, dalla scuola pubblica alle norme ambientali e di sicurezza, dalle modalità delle vertenze sindacali alle stesse elezioni democratiche; un complesso di consuetudini e di leggi che – pur confermando e consolidando (in genere) le differenze di potere, consentono ai più deboli di invocare qualche forma di giustizia distributiva, e talvolta di farvi leva per modificare le stesse strutture sociali (salvo innescare nuove prevaricazioni creative da parte di gruppi dominanti, vecchi o nuovi).

Nel testo i processi di trasformazione sono colti nel rapporto dialettico tra gli interessi dei singoli soggetti (capitalisti in testa, in quanto detengono per l’appunto il capitale e non possono mai adagiarsi sugli allori per la presenza ed il timore di iniziative concorrenziali o comunque di perturbazioni dei regimi di monopolio di fatto temporaneamente conseguiti) e la elaborazione collettiva di nuovi assetti socio-culturali, talvolta ‘sinceri’ ed espliciti (ad esempio: occorre rimuovere le resistenze corporative oppure sindacali) e talaltra propagandistici ed edulcoranti (ad esempio: occorrono sacrifici per il bene comune); mai nella visione macchinistica di un diabolico ed occulto ‘grande vecchio’. 



E’ apprezzabile costante degli Autori quella di evitare ogni schematizzazione (come quelle cui io sono invece costretto nel riassumerli in poche cartelle), specificando che in ogni fase possono convivere diversi “spiriti”, che le transizioni non sono cesure nette, che nella dialettica delle trasformazioni ricompaiono modificati elementi in precedenza divenuti marginali o minoritari (ad esempio il peso delle relazioni personali nel “terzo spirito” fa riemergere legami tradizionali negati dalla neutralità burocratica del “secondo spirito”).



Il testo approfondisce soprattutto le condizioni e le modalità del passaggio da “secondo” a “terzo spirito”, esaminando le forme che nella seconda metà del Novecento assumono le forze critiche rispetto all’assetto capitalistico, critiche che gli Autori raggruppano in 2 filoni (derivanti già dalle vicende ottocentesche): la critica “sociale”, orientata a richiedere maggiore giustizia distributiva in termini di orari e fatica, salari e previdenze (con esiti, in Francia, soprattutto centralizzati a livello di contratti nazionali, concertazioni confederali, provvidenze statali, e con tipica rappresentanza sindacale nella CGT), e la critica “artistica”, incentrata sull’autonomia e la creatività, contro l’autoritarismo aziendale e la ripetitività del lavoro parcellizzato, la rigidità dei ruoli sociali e la burocraticità dei rapporti (da cui in particolare derivarono in Francia rivendicazioni specifiche dei “quadri”, spesso rappresentate dal sindacato CFDT ed altri).         

(Qui colgo però un qualche schematismo di Chiapello e Boltanski, che pure ammettono il vario intreccio concreto tra le “due critiche”: è esistito a mio avviso, non solo in Italia, un terzo filone critico, più esistenziale e radicale, che stava tra il rifiuto quasi luddistico dello sfruttamento da parte dei salariati stessi ed il ripudio delle ingiustizie – viste patire da altri - da parte degli intellettuali, su basi concettuali anarchiche o religiose, con sbocco nella fuga eremitica dal mondo mercificato oppure nella guerriglia terroristica, ma anche in tentativi di rielaborazione  originale della lotta di classe come nelle teorie non-violente di Aldo Capitini3 oppure in alcune esperienze di Lotta Continua4).



La parte del testo che mostra maggior originalità, con documentazione esibita forse anche con troppa meticolosità, è la ricerca compiuta dagli Autori su un ampio campione di “letteratura di formazione” per quadri e manager, con raffronto diacronico tra i testi correnti al tempo del “secondo spirito” e quelli elaborati nel trentennio successivo per il “terzo spirito”; ma a mio avviso hanno una notevole utilità, documentale e argomentativa, anche le numerose e ben articolate osservazioni, tratte da diverse fonti (statistiche, articoli, ricerche di altri autori) sulle modalità molecolari di trasformazione dei cicli produttivi negli ultimi trenta anni del Novecento, riguardo a diversi aspetti della vita aziendale (assunzioni, carriere, nuovi profili professionali, sub-appalti, de-localizzazioni, scorpori di rami aziendali e conseguenti frantumazioni contrattuali, autocontrollo nei gruppi di lavoro, gestione reticolare e “per progetti”) e della vita sociale connessa (formazione, occupazione/disoccupazione, mobilità, auto-imprenditorialità, ecc.; ed anche disagio sociale e psichico, esaminando persino le statistiche sulle ragioni di suicidio), nonché sui provvedimenti sociali dello Stato (talvolta contro-producenti rispetto alle finalità perseguite).



Parimenti analitico e documentato è il racconto riguardo a successi ed insuccessi delle diverse forme di critica, “sociale” ed “artistica” (ed anche dei reciproci conflitti tra di esse), sottolineando come da un lato parte delle critiche sono state accolte ed inglobate, ma determinando mutamenti che hanno finito per spiazzare le stesse forze critiche, rese incapaci di aggiornarsi dalla stessa natura dei cambiamenti introdotti nell’organizzazione del lavoro. Ad esempio nel ruolo dei delegati sindacali – in Francia eletti con modalità ‘elettoralistiche’ -  sempre più assorbiti a tempo pieno in compiti complessi ed infine separati di fatto dai reparti di provenienza, ormai  riorganizzati in termini sconosciuti ai delegati stessi; oppure – fuori dalle fabbriche – con l’emergere di nuove tematiche altruistiche di carattere umanitario, che assumono come oggetto i “diversi” – emarginati, immigrati, ecc. – senza più riuscire a coglierne i nessi con le condizioni occupazionali potenziali, cioè con la moderna realtà del mercato del lavoro, dove l’”esercito di riserva” si confonde con lo ‘spauracchio sociale’ del fallimento personale e crescono le situazioni di disagio psichico derivanti dall’endemico precariato.



Tra le difficoltà delle “due critiche”, Boltanski e Chiapello evidenziano anche fattori specifici in qualche misura esogeni rispetto alla dialettica capitale-lavoro, quali, per la “critica sociale”, il discredito ricaduto sul Partito Comunista Francese (ma anche sulla collaterale CGT) in relazione alla crisi del blocco sovietico (e dei connessi ideali di redenzione finale del proletariato, sempre rimandati ad una mitica presa del potere), e, per la “critica artistica” dal logoramento della parole d’ordine della “autenticità”, massimizzate dall’esistenzialismo di Sartre (ed anche dalla scuola di Francoforte), attraverso la elaborazione di nuovi modi di pensiero, de-strutturanti del soggetto e della originalità (Bourdieu, Deleuze, Derrida), che paradossalmente hanno finito per giustificare la resa degli intellettuali alla mercificazione della cultura e l’abbandono di precedenti posizioni più sobrie ed austere, ora giudicate come elitarie.



Al culmine della rappresentazione del “terzo spirito”, gli Autori tendono a proporre un nuovo paradigma di lettura delle contraddizioni sociali, tipico del “mondo connessionista” che tende a prevalere, in cui ciò che conta è l’accumulazione di connessioni e dove dominano le persone che riescono ad essere mobili, da un luogo ad un altro, da un progetto ad un altro, carpendo e non condividendo informazioni (se non per il minimo indispensabile al successo di singoli ”progetti”), in quanto con ciò stesso sfruttano gli altri, che in qualche misura non possono o non vogliono essere altrettanto “mobili”, gli “immobili” (o addirittura gli emarginati) di cui i “mobili e connessi” hanno però assolutamente bisogno per esprimere in pieno il loro dominio. (Paradigma brillante, sulla cui utilità e soprattutto generalizzabilità però nutro molti dubbi).



Nelle parti finali Chiapello e Boltanski formulano anche qualche proposta e qualche auspicio, temendo una deriva sempre più individualistica e socialmente destrutturante dell’assetto capitalistico globale, ma non rassegnandosi ad essa: contro il fatalismo è possibile un rilancio della critica (attraverso la sociologia, e non fondandosi su antropologie negative, secondo cui l’uomo sarebbe naturalmente e puramente egoista, come in Hobbes, ma anche in Durkheim)

Da un lato colgono alcune tendenze alla auto-limitazione del “terzo spirito” per il suo bisogno di giustificazione, da altri lati suggeriscono un rapido ammodernamento degli apparati concettuali di critica allo stato di cose presente e la coltivazione di manovre correttive, a livello di singole aziende come a livello statale ed internazionale, quali ad esempio:

-       l’attribuzione alle aziende dei costi di ricollocazione dei lavoratori temporanei, l’umanizzazione dei rapporti di lavoro attraverso la certificazione delle buon pratiche aziendali (anche verso l’ambiente), l’estensione degli istituti di sostegno al reddito e di ricerca di nuova occupazione; dalla alternativa tra “contratto di lavoro” e “contratto commerciale” (spesso con i lavoratori subalterni mascherati da auto-imprenditori) a nuovi “contratti di attività”, che includano la retribuzione di forme di ”attività” oggi non riconosciute come lavori pagati;

-       (considerando come acquisizioni positive Europa ed Euro) il ritorno a qualche modalità di controllo dei movimenti di capitali e sulla contabilità delle multi-nazionali, la Tobin-Tax contro la volatilità finanziaria a breve termine, una seria lotta all’elusione fiscale internazionale;

-       il riconoscimento degli apporti di tutti i partecipanti ai singoli “progetti;

-       la limitazione alla mercificazione dei beni comuni, della sfera privata, degli altri esseri naturali.

L’ipotesi è di cercare di imbrigliare il “terzo spirito” in una “città per progetti”, così come il “secondo spirito” aveva accettato di coesistere nella “città industriale” con lo stato sociale e le sue espressioni civiche. (Con un vezzo un po’ accademico, gli autori denominano come “città” – se ho ben capito - un sistema di relazioni sociali, esterno alle aziende, non necessariamente identificato sul territorio, e più normato dei semplici “mondi” culturali che si determinano spontaneamente nell’evolversi della società).



Fonti:

1 – Luc Boltanski e Eve Chiapello “IL NUOVO SPIRITO DEL CAPITALISMO” – Mimesis, Milano/Udine 2014

2 – Luc Boltanski e Thevenot “DE LA JUSTIFICATION: LES ÉCONOMIES DE LA GRANDEUR” – Gallimard, Paris 1991 (non tradotto in italiano)

3 – Aldo Capitini “IL POTERE DI TUTTI” - La Nuova Italia, Firenze 1969

4 - Luigi Bobbio “LOTTA CONTINUA: STORIA DI UNA ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA” - Savelli, Roma 1979


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