Un saggio di grande
importanza per interpretare i mutamenti sociali degli ultimi decenni, non solo
in Francia, con attenzione sia all’evoluzione del pensiero dominante dentro e
fuori le aziende, sia alle modificazioni, molecolari e profonde, nelle strutture
economiche.
Riassunto – La formazione di un “terzo spirito del
capitalismo” dentro alla svolta neo-liberista di fine Novecento (dopo il “primo
spirito” dell’industrializzazione nascente ed il “secondo spirito” del
taylorismo/fordismo). La ricerca degli Autori attraverso la letteratura di
formazione per i manager e l’analisi delle trasformazioni dei cicli produttivi.
Il ruolo della “critica sociale” e quello della “critica artistica” al
capitalismo. Accoglimento e assorbimento parziali delle diverse critiche nel
capitalismo che si trasforma e trova nuove “giustificazioni” per il necessario
consenso sociale. L’interpretazione del “mondo connessionista” e la possibilità
di un aggiornamento della critica in una “città per progetti”, contro la deriva
individualista. In corsivo i commenti
personali del recensore
Il
saggio dei sociologi francesi Luc Boltanski ed Eve Chiapello “IL SECONDO
SPIRITO DEL CAPITALISMO”1 mira a focalizzare la profonda
trasformazione delle società capitalistiche nell’era della globalizzazione,
concentrandosi soprattutto sulla Francia, nel confronto tra apogeo del
Fordismo-Taylorismo (ed anche dirigismo e concertazione), nel 2° dopoguerra, e
la fase di riorganizzazione neo-liberista successiva alla crisi del ’68 e degli
anni Settanta.
Edito
in Francia nel 1999 e poi in una seconda edizione (con specifica prefazione)
nel 2011, è stato pubblicato in Italia solo nel 2011 (Feltrinelli) e poi nel
2013 e 2014, quando ha raggiunto, con le ricche note e la ricchissima bibliografia
la lunghezza di 738 pagg. : non è
pertanto facile riassumerlo e recensirlo; rimando perciò anche direttamente
alla fonte, perché il capitolo “Conclusioni”, da pagg.529 a 570 dell’edizione
Mimesis/2014, costituisce di fatto un valido e rapido riepilogo.
Il
pregevole sfondo storico dell’opera individua, dalla rivoluzione industriale ad
oggi, essenzialmente 3 fasi, tenendosi in dialettica equidistanza da Karl Marx
(che anteponeva le strutture materiali, relegando l’ideologia a sovrastruttura)
e da Max Weber (che invece leggeva nelle spinte ideali il motore della storia):
-
Il
“primo spirito” (a cavallo del XIX secolo) rompe con l’organizzazione
corporativa del lavoro e con gli assetti tradizionali della società, in nome
della libertà di intrapresa e della modernizzazione, ma modella l’azienda sul
potere familiare della proprietà e non disdegna il compromesso con le antiche
istituzioni (Dio-patria-famiglia) per ottenere il consenso dei salariati;
-
Il
“secondo spirito”, nel cuore del Novecento, fa emergere la razionalità
dell’organizzazione aziendale, con una piramide (burocratizzata) di dirigenti
specializzati, sempre più autonomi dalla mera proprietà, coinvolgendo i
dipendenti, strettamente controllati nei ritmi e modi di lavoro parcellizzati,
in una realtà o speranza di compensazioni salariali e di welfare, nell’ambito
di una società tendenzialmente modellata “razionalmente” come la piramide
aziendale;
-
Il
“terzo spirito” sta crescendo come ideologia giustificativa dei nuovi modi di
produrre valore (decentrati e delocalizzati, flessibili e temporanei,
articolati su “reti” internazionali), con cui le imprese hanno superato la
rigidità dei modelli fordisti e in parte riassorbito le spinte anti-autoritarie
dei nuovi “quadri”, e si diffonde come esaltazione dell’autonomia creativa e
dello spirito imprenditoriale, potenzialmente esteso a tutti gli attori in
campo, ma in realtà escludendo chi non è abbastanza “mobile”, adeguato alle
reti, disponibile ad un sostanziale auto-sfruttamento denominato come
“valorizzazione del capitale umano” (che spesso include polivalenza,
aggiornamento continuo, reperibilità via smartphone ‘h24’ in cambio di un
normale salario, arricchito solo dalla speranza della conservazione del posto,
sapendo ‘quanto freddo fà là fuori’).
In
questa lettura storica, costante dell’organizzazione capitalistica risulta la
ricerca di una adesione consensuale dei lavoratori e dell’intera società
tramite “giustificazioni” ideologiche (“De la justification”2 era il
titolo di un precedente saggio di Boltanski con Thevenot) e istituzioni o
“prove” di apparente trasparenza, ricerca che lascia come residuali ed
eccezionali sia le forme schiavistiche più brutali sia le parentesi di militarizzazione
e fascistizzazione di stati ed imprese.
Il
tema delle “prove” è ricorrente nel testo e riguarda diverse forme codificate
nel tempo di regolazione dei rapporti sociali, dove la forza dei gruppi
dominanti accetta di essere temperata per farsi accettare dai gruppi più
deboli: dalle modalità di assunzione a quelle di licenziamento, dalla scuola
pubblica alle norme ambientali e di sicurezza, dalle modalità delle vertenze
sindacali alle stesse elezioni democratiche; un complesso di consuetudini e di leggi
che – pur confermando e consolidando (in genere) le differenze di potere,
consentono ai più deboli di invocare qualche forma di giustizia distributiva, e
talvolta di farvi leva per modificare le stesse strutture sociali (salvo
innescare nuove prevaricazioni creative da parte di gruppi dominanti, vecchi o
nuovi).
Nel
testo i processi di trasformazione sono colti nel rapporto dialettico tra gli
interessi dei singoli soggetti (capitalisti in testa, in quanto detengono per
l’appunto il capitale e non possono mai adagiarsi sugli allori per la presenza
ed il timore di iniziative concorrenziali o comunque di perturbazioni dei
regimi di monopolio di fatto temporaneamente conseguiti) e la elaborazione
collettiva di nuovi assetti socio-culturali, talvolta ‘sinceri’ ed espliciti
(ad esempio: occorre rimuovere le resistenze corporative oppure sindacali) e
talaltra propagandistici ed edulcoranti (ad esempio: occorrono sacrifici per il
bene comune); mai nella visione macchinistica di un diabolico ed occulto
‘grande vecchio’.
E’
apprezzabile costante degli Autori quella di evitare ogni schematizzazione (come quelle cui io sono invece costretto
nel riassumerli in poche cartelle), specificando che in ogni fase possono
convivere diversi “spiriti”, che le transizioni non sono cesure nette, che
nella dialettica delle trasformazioni ricompaiono modificati elementi in
precedenza divenuti marginali o minoritari (ad esempio il peso delle relazioni
personali nel “terzo spirito” fa riemergere legami tradizionali negati dalla neutralità
burocratica del “secondo spirito”).
Il
testo approfondisce soprattutto le condizioni e le modalità del passaggio da
“secondo” a “terzo spirito”, esaminando le forme che nella seconda metà del
Novecento assumono le forze critiche rispetto all’assetto capitalistico,
critiche che gli Autori raggruppano in 2 filoni (derivanti già dalle vicende
ottocentesche): la critica “sociale”, orientata a richiedere maggiore giustizia
distributiva in termini di orari e fatica, salari e previdenze (con esiti, in
Francia, soprattutto centralizzati a livello di contratti nazionali,
concertazioni confederali, provvidenze statali, e con tipica rappresentanza
sindacale nella CGT), e la critica “artistica”, incentrata sull’autonomia e la
creatività, contro l’autoritarismo aziendale e la ripetitività del lavoro parcellizzato,
la rigidità dei ruoli sociali e la burocraticità dei rapporti (da cui in
particolare derivarono in Francia rivendicazioni specifiche dei “quadri”,
spesso rappresentate dal sindacato CFDT ed altri).
(Qui colgo però un
qualche schematismo di Chiapello e Boltanski, che pure ammettono il vario
intreccio concreto tra le “due critiche”: è esistito a mio avviso, non solo in
Italia, un terzo filone critico, più esistenziale e radicale, che stava tra il
rifiuto quasi luddistico dello sfruttamento da parte dei salariati stessi ed il
ripudio delle ingiustizie – viste patire da altri - da parte degli
intellettuali, su basi concettuali anarchiche o religiose, con sbocco nella
fuga eremitica dal mondo mercificato oppure nella guerriglia terroristica, ma anche
in tentativi di rielaborazione originale
della lotta di classe come nelle teorie non-violente di Aldo Capitini3
oppure in alcune esperienze di Lotta Continua4).
La
parte del testo che mostra maggior originalità, con documentazione esibita forse anche con troppa meticolosità, è
la ricerca compiuta dagli Autori su un ampio campione di “letteratura di
formazione” per quadri e manager, con raffronto diacronico tra i testi correnti
al tempo del “secondo spirito” e quelli elaborati nel trentennio successivo per
il “terzo spirito”; ma a mio avviso hanno una notevole utilità, documentale e
argomentativa, anche le numerose e ben articolate osservazioni, tratte da
diverse fonti (statistiche, articoli, ricerche di altri autori) sulle modalità
molecolari di trasformazione dei cicli produttivi negli ultimi trenta anni del
Novecento, riguardo a diversi aspetti della vita aziendale (assunzioni,
carriere, nuovi profili professionali, sub-appalti, de-localizzazioni, scorpori
di rami aziendali e conseguenti frantumazioni contrattuali, autocontrollo nei
gruppi di lavoro, gestione reticolare e “per progetti”) e della vita sociale
connessa (formazione, occupazione/disoccupazione, mobilità,
auto-imprenditorialità, ecc.; ed anche disagio sociale e psichico, esaminando
persino le statistiche sulle ragioni di suicidio), nonché sui provvedimenti
sociali dello Stato (talvolta contro-producenti rispetto alle finalità
perseguite).
Parimenti
analitico e documentato è il racconto riguardo a successi ed insuccessi delle
diverse forme di critica, “sociale” ed “artistica” (ed anche dei reciproci
conflitti tra di esse), sottolineando come da un lato parte delle critiche sono
state accolte ed inglobate, ma determinando mutamenti che hanno finito per
spiazzare le stesse forze critiche, rese incapaci di aggiornarsi dalla stessa
natura dei cambiamenti introdotti nell’organizzazione del lavoro. Ad esempio
nel ruolo dei delegati sindacali – in Francia eletti con modalità
‘elettoralistiche’ - sempre più assorbiti
a tempo pieno in compiti complessi ed infine separati di fatto dai reparti di
provenienza, ormai riorganizzati in
termini sconosciuti ai delegati stessi; oppure – fuori dalle fabbriche – con
l’emergere di nuove tematiche altruistiche di carattere umanitario, che
assumono come oggetto i “diversi” – emarginati, immigrati, ecc. – senza più
riuscire a coglierne i nessi con le condizioni occupazionali potenziali, cioè
con la moderna realtà del mercato del lavoro, dove l’”esercito di riserva” si
confonde con lo ‘spauracchio sociale’ del fallimento personale e crescono le
situazioni di disagio psichico derivanti dall’endemico precariato.
Tra
le difficoltà delle “due critiche”, Boltanski e Chiapello evidenziano anche
fattori specifici in qualche misura esogeni rispetto alla dialettica capitale-lavoro,
quali, per la “critica sociale”, il discredito ricaduto sul Partito Comunista
Francese (ma anche sulla collaterale CGT) in relazione alla crisi del blocco
sovietico (e dei connessi ideali di redenzione finale del proletariato, sempre
rimandati ad una mitica presa del potere), e, per la “critica artistica” dal
logoramento della parole d’ordine della “autenticità”, massimizzate
dall’esistenzialismo di Sartre (ed anche dalla scuola di Francoforte),
attraverso la elaborazione di nuovi modi di pensiero, de-strutturanti del
soggetto e della originalità (Bourdieu, Deleuze, Derrida), che paradossalmente
hanno finito per giustificare la resa degli intellettuali alla mercificazione
della cultura e l’abbandono di precedenti posizioni più sobrie ed austere, ora
giudicate come elitarie.
Al
culmine della rappresentazione del “terzo spirito”, gli Autori tendono a
proporre un nuovo paradigma di lettura delle contraddizioni sociali, tipico del
“mondo connessionista” che tende a prevalere, in cui ciò che conta è
l’accumulazione di connessioni e dove dominano le persone che riescono ad
essere mobili, da un luogo ad un altro, da un progetto ad un altro, carpendo e
non condividendo informazioni (se non per il minimo indispensabile al successo
di singoli ”progetti”), in quanto con ciò stesso sfruttano gli altri, che in
qualche misura non possono o non vogliono essere altrettanto “mobili”, gli
“immobili” (o addirittura gli emarginati) di cui i “mobili e connessi” hanno però
assolutamente bisogno per esprimere in pieno il loro dominio. (Paradigma brillante, sulla cui utilità e
soprattutto generalizzabilità però nutro molti dubbi).
Nelle
parti finali Chiapello e Boltanski formulano anche qualche proposta e qualche
auspicio, temendo una deriva sempre più individualistica e socialmente
destrutturante dell’assetto capitalistico globale, ma non rassegnandosi ad
essa: contro il fatalismo è possibile un rilancio della critica (attraverso la
sociologia, e non fondandosi su antropologie negative, secondo cui l’uomo
sarebbe naturalmente e puramente egoista, come in Hobbes, ma anche in Durkheim)
Da
un lato colgono alcune tendenze alla auto-limitazione del “terzo spirito” per
il suo bisogno di giustificazione, da altri lati suggeriscono un rapido
ammodernamento degli apparati concettuali di critica allo stato di cose
presente e la coltivazione di manovre correttive, a livello di singole aziende
come a livello statale ed internazionale, quali ad esempio:
-
l’attribuzione
alle aziende dei costi di ricollocazione dei lavoratori temporanei, l’umanizzazione
dei rapporti di lavoro attraverso la certificazione delle buon pratiche
aziendali (anche verso l’ambiente), l’estensione degli istituti di sostegno al
reddito e di ricerca di nuova occupazione; dalla alternativa tra “contratto di
lavoro” e “contratto commerciale” (spesso con i lavoratori subalterni
mascherati da auto-imprenditori) a nuovi “contratti di attività”, che includano
la retribuzione di forme di ”attività” oggi non riconosciute come lavori pagati;
-
(considerando
come acquisizioni positive Europa ed Euro) il ritorno a qualche modalità di
controllo dei movimenti di capitali e sulla contabilità delle multi-nazionali,
la Tobin-Tax contro la volatilità finanziaria a breve termine, una seria lotta
all’elusione fiscale internazionale;
-
il
riconoscimento degli apporti di tutti i partecipanti ai singoli “progetti;
-
la
limitazione alla mercificazione dei beni comuni, della sfera privata, degli
altri esseri naturali.
L’ipotesi
è di cercare di imbrigliare il “terzo spirito” in una “città per progetti”,
così come il “secondo spirito” aveva accettato di coesistere nella “città industriale”
con lo stato sociale e le sue espressioni civiche. (Con un vezzo un po’ accademico, gli autori denominano come “città” –
se ho ben capito - un sistema di relazioni sociali, esterno alle aziende, non
necessariamente identificato sul territorio, e più normato dei semplici “mondi”
culturali che si determinano spontaneamente nell’evolversi della società).
Fonti:
1 – Luc Boltanski e Eve Chiapello “IL NUOVO SPIRITO
DEL CAPITALISMO” – Mimesis, Milano/Udine 2014
2 – Luc Boltanski e Thevenot “DE LA JUSTIFICATION:
LES ÉCONOMIES DE LA GRANDEUR” – Gallimard, Paris 1991 (non tradotto in
italiano)
3 – Aldo Capitini “IL POTERE DI TUTTI” - La Nuova
Italia, Firenze 1969
4 - Luigi Bobbio “LOTTA CONTINUA: STORIA DI UNA
ORGANIZZAZIONE RIVOLUZIONARIA” - Savelli, Roma 1979
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