mercoledì 24 gennaio 2018

URBANISTICA N° 156


E’ stato distribuito nel tardo autunno del 2017, benché “finito di stampare nel mese di luglio 2017” il n° 156 di “URBANISTICA” (il quinto con la direzione di Federico Oliva), numero della rivista semestrale denominato “luglio-dicembre 2015”.

In una lettera di accompagnamento INU/Edizioni promette un rapido invio dei numeri 157 e 158 per colmare parte dei ritardi accumulati (obbligando così anche noi lettori ad uno sforzo di fruizione accelerata).

L’editoriale del Direttore nella 1^ parte riassume ed illustra i servizi presenti nello stesso numero 156, sottraendo quindi questa fatica ai recensori dilettanti, come lo scrivente; nelle successive parti riepiloga le cause di debolezza dell’urbanistica italiana, riprendendo e aggiornando (anche alla luce degli esiti nulli del referendum sulla riforma costituzionale) le note proposte dell’Istituto Nazionale di Urbanistica per un riordino legislativo, fondato anche sulla questione del mercato dei terreni edificabili ed in particolare dei valori immobiliari e dei costi di bonifica per le aree industriali dismesse: proposte serie e ragionevoli che mi pare manchino di ascolto presso i principali soggetti politici che si contenderanno la guida del Paese nelle prossime elezioni politiche del 2018.

Nel consistente servizio “Ripensare il futuro della città” ho apprezzato le divergenti esplorazioni sui temi del dualismo città/natura e dell’ipotesi di una bio-urbanistica (Moccia), della poco sanabile frammentazione della “città allargata” (Gabellini), le visioni di una “città aumentata”, circolare, resiliente e intelligente, multi-scalare e “inter-temporale”, partecipativa e reticolare (Carta, Russo, Talia), ma francamente ho capito meno, e quindi non ho potuto apprezzare, l’articolo iniziale del geografo Franco Farinelli: in sostanza il Presidente dei Geografi Italiani diffida gli urbanisti dal confondere la conoscenza della città con la sua rappresentazione cartografica, rivisitando la mitologia di fondazione della città, con una audace identificazione tra il “mundus” “l’oscura cavità che per gli Etruschi e gli antichi romani fungeva da sacrario delle divinità ctonie” e l’occhio di Polifemo, sottolineando l’assialità verticale del tronco d’albero che Ulisse ivi conficca, e derivandone dotte analogie verticali ed orizzontali, da Platone a Rykvert, tra Leibniz e Putnam ed i geografi ottocenteschi von Humboldt e Ritter.

Si torna per davvero su questa terra nell’ampio e concreto servizio su Trieste, come pianificata dagli stessi uffici comunali in modo gradualista (valorizzando la conoscenza diretta e quotidiane della città e dei suoi abitanti), e con attenzione a diverse problematiche, tradizionali od innovative, di grande e di piccola scala; servizio connotato anche dalla inedita prevalenza degli articoli firmati da autrici femmine rispetto ai colleghi maschi (5 a 1).

Parimenti concreto risulta il servizio sugli sviluppi dei trasporti pubblici in aree metropolitane grandi e meno grandi in territorio francese/francofono: Lione, Grenoble, Ginevra. Ne emerge un quadro complesso e mutevole di riorganizzazione dei poteri locali (complicato dai confini di stato attorno al cantone svizzero di Ginevra), che non impedisce però l’affermarsi di disegni abbastanza organici di incremento dell’offerta di trasporto pubblico intermodale connessi ad un controllo degli insediamenti fondato essenzialmente sul principio del rafforzamento di nuove centralità sub-urbane lungo gli assi prioritari di metro e ferro-tramvie.

Orientamento che mi lascia due interrogativi:

-          sembra assente una parallela politica di disincentivazione intensiva sull’uso delle auto private (tipo “area C” di Milano oppure estese pedonalizzazioni); e spesso infatti in tali città e simili ci si trova – da turisti – a scivolare in auto tranquilli fino ai siti più centrali, dove rifugiarsi in ospitali parcheggi sotterranei, nemmeno troppo cari;

-          pare non si ponga in queste aree metropolitane l’obiettivo del “risparmio del consumo di suolo”, che è cosa diversa dalle pur apprezzabili neo-centralità.

(Più in generale sulle riviste dell’INU ho l’impressione che – sotto il comune cappello della “rigenerazione urbana”, densificazione e consumo-zero spesso procedano in parallelo senza scontrarsi né incontrarsi, come tuttavia avviene in alcuni autori più avveduti, come Arturo Lanzani oppure e diversamente Ennio Nonni).

Il servizio su Vienna (edilizia sociale, cultura e piano, negli ultimi decenni) misembra invece guidato da un solido pregiudizio sulla incapacità della locale socialdemocrazia ad adeguarsi alle innovazioni della società, senza che tali carenze siano ben spiegate ed argomentate (il che invece ci sarebbe utile per comprendere le ben più evidenti carenze del riformismo nostrano, che gli standard sociali di Vienna tuttora se li sogna).

Da ultimo, nell’articolo di Massimo Sargolini sulle “reti ambientali per città resilienti” nella Regione Marche, oltre all’indubbio interesse per i contenuti analitici e progettuali, ho apprezzato l’iniziale anatema contro il rapido volger delle mode nella disciplina urbanistica, dallo “sviluppo sostenibile” alla “rigenerazione  urbana” dalla “smart city“ alla “resilienza”  “… Superata l’infatuazione nulla o poco viene fatto per sperimentarne applicazioni concrete … Spesso si è preferito abbandonare questi termini per cercarne di nuovi…”

(Mi ha fatto specie veder dispiegare analogo disagio verso le “nuove mode” da parte del Vice-Sindaco del Comune in cui abito; però mentre l’articolo sulle Marche spiega come sulla resilienza si intenda fare sul serio, al mio paesello, pardon “Città”, la cautela anti-modaiola viene impiegata solo per confermare le edificabilità previste dal Documento di Piano, prorogandolo senza anticipare l’attuazione del risparmio di suoloprevista dalla nuova legge regionale …).

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