E’ stato distribuito nel tardo
autunno del 2017, benché “finito di stampare nel mese di luglio 2017” il n° 156
di “URBANISTICA” (il quinto con la direzione di Federico Oliva), numero della
rivista semestrale denominato “luglio-dicembre 2015”.
In una lettera di accompagnamento
INU/Edizioni promette un rapido invio dei numeri 157 e 158 per colmare parte
dei ritardi accumulati (obbligando così anche
noi lettori ad uno sforzo di fruizione accelerata).
L’editoriale del Direttore nella
1^ parte riassume ed illustra i servizi presenti nello stesso numero 156, sottraendo quindi questa fatica ai recensori
dilettanti, come lo scrivente; nelle successive parti riepiloga le cause di
debolezza dell’urbanistica italiana, riprendendo e aggiornando (anche alla luce
degli esiti nulli del referendum sulla riforma costituzionale) le note proposte
dell’Istituto Nazionale di Urbanistica per un riordino legislativo, fondato
anche sulla questione del mercato dei terreni edificabili ed in particolare dei
valori immobiliari e dei costi di bonifica per le aree industriali dismesse: proposte serie e ragionevoli che mi pare
manchino di ascolto presso i principali soggetti politici che si contenderanno
la guida del Paese nelle prossime elezioni politiche del 2018.
Nel consistente servizio
“Ripensare il futuro della città” ho apprezzato le divergenti esplorazioni sui
temi del dualismo città/natura e dell’ipotesi di una bio-urbanistica (Moccia),
della poco sanabile frammentazione della “città allargata” (Gabellini), le
visioni di una “città aumentata”, circolare, resiliente e intelligente,
multi-scalare e “inter-temporale”, partecipativa e reticolare (Carta, Russo,
Talia), ma francamente ho capito meno, e quindi non ho potuto apprezzare,
l’articolo iniziale del geografo Franco Farinelli: in sostanza il Presidente
dei Geografi Italiani diffida gli urbanisti dal confondere la conoscenza della
città con la sua rappresentazione cartografica, rivisitando la mitologia di
fondazione della città, con una audace identificazione tra il “mundus”
“l’oscura cavità che per gli Etruschi e gli antichi romani fungeva da sacrario
delle divinità ctonie” e l’occhio di Polifemo, sottolineando l’assialità
verticale del tronco d’albero che Ulisse ivi conficca, e derivandone dotte
analogie verticali ed orizzontali, da Platone a Rykvert, tra Leibniz e Putnam
ed i geografi ottocenteschi von Humboldt e Ritter.
Si torna per davvero su questa
terra nell’ampio e concreto servizio su Trieste, come pianificata dagli stessi
uffici comunali in modo gradualista (valorizzando la conoscenza diretta e
quotidiane della città e dei suoi abitanti), e con attenzione a diverse
problematiche, tradizionali od innovative, di grande e di piccola scala;
servizio connotato anche dalla inedita prevalenza degli articoli firmati da autrici
femmine rispetto ai colleghi maschi (5 a 1).
Parimenti concreto risulta il
servizio sugli sviluppi dei trasporti pubblici in aree metropolitane grandi e
meno grandi in territorio francese/francofono: Lione, Grenoble, Ginevra. Ne
emerge un quadro complesso e mutevole di riorganizzazione dei poteri locali
(complicato dai confini di stato attorno al cantone svizzero di Ginevra), che
non impedisce però l’affermarsi di disegni abbastanza organici di incremento
dell’offerta di trasporto pubblico intermodale connessi ad un controllo degli
insediamenti fondato essenzialmente sul principio del rafforzamento di nuove
centralità sub-urbane lungo gli assi prioritari di metro e ferro-tramvie.
Orientamento che mi lascia due
interrogativi:
-
sembra assente una parallela politica di
disincentivazione intensiva sull’uso delle auto private (tipo “area C” di
Milano oppure estese pedonalizzazioni); e
spesso infatti in tali città e simili ci si trova – da turisti – a scivolare in
auto tranquilli fino ai siti più centrali, dove rifugiarsi in ospitali
parcheggi sotterranei, nemmeno troppo cari;
-
pare non si ponga in queste aree metropolitane
l’obiettivo del “risparmio del consumo di suolo”, che è cosa diversa dalle pur
apprezzabili neo-centralità.
(Più in generale sulle riviste dell’INU ho l’impressione che – sotto il
comune cappello della “rigenerazione urbana”, densificazione e consumo-zero
spesso procedano in parallelo senza scontrarsi né incontrarsi, come tuttavia
avviene in alcuni autori più avveduti, come Arturo Lanzani oppure e
diversamente Ennio Nonni).
Il servizio su Vienna (edilizia
sociale, cultura e piano, negli ultimi decenni) misembra invece guidato da un
solido pregiudizio sulla incapacità della locale socialdemocrazia ad adeguarsi
alle innovazioni della società, senza che tali carenze siano ben spiegate ed
argomentate (il che invece ci sarebbe utile per comprendere le ben più evidenti
carenze del riformismo nostrano, che gli standard sociali di Vienna tuttora se
li sogna).
Da ultimo, nell’articolo di
Massimo Sargolini sulle “reti ambientali per città resilienti” nella Regione
Marche, oltre all’indubbio interesse per i contenuti analitici e progettuali,
ho apprezzato l’iniziale anatema contro il rapido volger delle mode nella
disciplina urbanistica, dallo “sviluppo sostenibile” alla “rigenerazione urbana” dalla “smart city“ alla
“resilienza” “… Superata l’infatuazione nulla o poco viene fatto per
sperimentarne applicazioni concrete … Spesso si è preferito abbandonare questi
termini per cercarne di nuovi…”
(Mi ha fatto specie veder
dispiegare analogo disagio verso le “nuove mode” da parte del Vice-Sindaco del
Comune in cui abito; però mentre l’articolo sulle Marche spiega come sulla
resilienza si intenda fare sul serio, al mio paesello, pardon “Città”, la
cautela anti-modaiola viene impiegata solo per confermare le edificabilità
previste dal Documento di Piano, prorogandolo senza anticipare l’attuazione del
risparmio di suoloprevista dalla nuova legge regionale …).
Nessun commento:
Posta un commento