Una
riflessione che ripercorre in parte le precedenti elaborazioni dell’antropologo
Marc Augè, cercando di intravvedere una possibile svolta positiva nelle confuse
contraddizioni del presente, che diventerebbe così la “preistoria del
(necessario) planetarismo”; oppure i rischi di una “utopia nera”.
Riassunto.
Individui, relazioni culturali e universalismo. Crisi delle ideologie,
globalizzazione e polarizzazioni sociali tra “potenti, consumatori ed esclusi”.
La corrosione dei paradigmi cosmologici tradizionali e della concezione di
tempo e spazio nella accelerazione tecnologica in atto. Nuovi significati dei
“non-luoghi” (ma solo per i “potenti”). L’insostenibilità delle diseguaglianze
e delle esclusioni. Possibilità e necessità di una svolta verso un
“planetarismo consapevole” (che superi le fratture sociali e nazionali della
globalizzazione), attraverso dosi massicce di istruzione e con l’ausilio specifico
dell’antropologia. All’opposto i rischi di un suicidio planetario. (Le mie
riserve sulla conoscenza come fine supremo dell’uomo, sulla sottovalutazione
dei rapporti di produzione e sulla praticabilità di una utopia sociale partendo
solo dall’incremento dell’istruzione).
Marc Augè, antropologo
divenuto celebre per l’invenzione dei concetti di “non-luoghi” (aeroporti,
centri commerciali, ecc.) e di “surmodernità” (eccesso di spazio, di tempi e di
“ego”; dove il soggetto risulta frantumato nei diversi aspetti dell’esistenza) 1,2,
ma anche di “città-mondo” (le diversità sociali profonde dentro le metropoli) e
“mondo-città” (l’omologazione nei circuiti che collegano i ceti alti)3,
ripercorre e rivede alcune sue elaborazioni in un saggio intitolato “Un altro
mondo è possibile” 4, che
pertanto non poteva passare inosservato alla redazione di “Utopia21”.
Sullo sfondo Augè tiene salda
una concezione antropologica in cui tra il livello individuale e un potenziale
livello “generale” sono necessariamente consistenti le relazioni culturali che
legano ogni persona con “l’altro” (a partire dal contesto educativo e
linguistico in cui si forma ogni essere umano) e che storicamente si sono
concretizzate in termini etnici e religiosi, con frequente tendenza ad un
ispessimento di questo livello culturale a danno sia delle libertà individuali che
delle tendenze all’universalismo (da qui la permanenza delle contrapposizioni
tra tribù e nazioni, e le conseguenti guerre, fondate spesso sul non-riconoscimento
dell’umanità del nemico): non si accede
a forme di universalismo senza attraversare le proprie specificità
storico-culturali (Augè richiama in particolare le persistenti gerarchie tra
uomo e donna, nonché i limiti
dell’Illuminismo Occidentale, in quanto coesistente – o addirittura complice - con
il Colonialismo).
Augé avanza inoltre l’ipotesi
che “la conoscenza … sia l’obiettivo ultimo dell’esistenza umana”, riassorbendo
l’obiettivo della ‘felicità (di tutti)’ formulato dall’Illuminismo, perché la
felicità consisterebbe nella “simultanea coscienza di sé e degli altri” (tali ragionamenti mi sembrano astratti e –
mentre lusingano le mie aspirazioni da ‘intellettuale pensionato’ - non mi pare
che assomiglino affatto al circostante mondo, mentre la definizione illuminista
di ‘ricerca della felicità’, di per sé, benché ambigua, può ben rappresentare
le tendenze dell’uomo occidentale, includendo dall’edonismo consumista ai più
alti idealismi, anche religiosi, ed escludendo però le religiosità di tipo
trascendentale e settario, oggi così presenti nel mondo, come ad esempio
l’islamismo radicale, che si fondano su tutt’altre pulsioni, vitali e mortali,
quali l’affermazione di una determinata verità).
Nel passaggio dal Novecento ai
nostri giorni, Augè in “Un altro mondo è possibile” coglie quali elementi
fondamentali di svolta:
-
la crisi delle ideologie, ultima delle quali la
“fine della storia” disciolta in una prevalenza incontrastata della liberal-democrazia
(Fukuyama), cui Augè contrappone l’incontestabile successo di paesi sviluppati
capitalisticamente senza democrazia all’occidentale (Cina) e l’evidenza delle spinte
ribellistiche e terroristiche di matrice religiosa;
-
la effettiva globalizzazione, dei mercati e dei
consumi, che ha superato i precedenti tentativi di “mondializzazione” fondati
sull’egemonia coloniale o post-coloniale di alcuni stati, ma che si fonda sulle
disuguaglianze, tuttora anche mediante le frontiere, con una stratificazione
sociale (globale) tra “potenti” al vertice, “consumatori” nel mezzo ed “esclusi”
alla base (denunciando in particolare lo scandalo - inaccettabile ma accettato
- dei senza-casa nel cuore delle metropoli più ricche, aggravato dalla tendenza
dei “consumatori” a non voler vedere ciò che si ha paura di diventare) e anche qui (sulle 3 “classi”) mi sentirei
di appuntare una domanda critica, perché non ho capito dove Augè releghi il
processo di produzione dei beni e servizi consumati da potenti&consumatori:
ad oggi mi pare che coinvolga ancora una buona parte degli stessi consumatori,
ma non senza un permanere – in forme nuove - delle contraddizioni tra “potenti”
e lavoratori: vedi in questi giorni Uber, Amazon, Ikea, Ryanair);
-
la rapida corrosione dei riferimenti
antropologici spazio-temporali e cosmologici tradizionali ad opera del
progresso scientifico nei campi dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente
grande, e della connessa e continua innovazione tecnologica, che promette (ma
non a tutti) accelerate esperienze di Istantaneità ed Ubiquità (rendendo
relativa anche la distinzione tra luoghi e non-luoghi: per i “potenti”
potrebbero divenire “luoghi” i contesti artificiali in cui i “potenti” stessi
si muovono di continente in continente, escludendone i ceti subalterni), e che
diffonde comunicazione pervasiva (TV, Internet), distruggendo nel contempo le
relazioni effettive ed affettive (solitudine dell’individuo, alienazione
mediatica).
Attraverso la riflessione su
ricerche proprie e di altri antropologi e pensatori del passato e del presente
(da Durkheim a Lévi-Strauss, da Foucault a Sartre, da Clifford Geertz a Bruno
Latour, da Marc Abélès a Michel Agier, da Marcel Gauchet a Jean Pierre
Vernant), sconfinando su argomenti quali il colonialismo, le esplorazioni
spaziali, l’organizzazione della scienza, gli organismi multi-culturali, i
rapporti inter-generazionali, le religioni (ad esempio il giudeo-cristianesimo
come “religione dell’uscita dalla religione” ovvero come culla involontaria
della laicità – Gauchet - , ma anche il cristianesimo alle sue origini come
affossatore della possibile laicità derivante dal politeismo greco-romano –
Vernant -), le migrazioni (l’Autore rammenta gli errori della “Francia negli
anni settanta, in occasione dei ricongiungimenti famigliari, quando si è
trascurata l’esigenza di adattare la scuola ai nuovi arrivati”) , il
terrorismo, ecc. Augé perviene alla conclusione che una svolta è necessaria e
possibile.
(Rilevo
però che l’Autore evita invece ogni riferimento a studiosi di altre discipline
umanistiche, ancorché convergenti con parti importanti delle sue analisi, come
ad esempio Bauman5, Maffesoli6, Castells7, Gallino8).
Di fronte a tale quadro
problematico, Marc Augé intravvede “lampi di coscienza” verso un orizzonte
positivo e possibile, un “planetarismo” reso consapevole, attraverso
l’istruzione e la sperimentazione scientifica, dei problemi comuni dell’umanità (con qualche
cenno ai risvolti ecologici), planetarismo
diverso dalla globalizzazione perché capace di trasformare le barriere in
varchi (e ciascun uomo in un “libero abitante del pianeta Terra”), e di cui la
globalizzazione in atto costituirebbe una confusa ”preistoria”; e però anche,
contestualmente, il rischio opposto di precipitare, accumulando ancora
disuguaglianze ed esclusione, consumismo ed alienazione, ignoranza e violenze,
verso la “utopia nera” di un suicidio (anch’esso) planetario.
Augé pone alla base della sua
“utopia possibile” una dose massiccia di istruzione (universalista) per tutti (e
perciò universale) (al che riprendo la
mia critica: perché non anche e contestualmente il lavoro per tutti, anche ed
in particolare di fronte all’annunciata accelerazione dei processi di
automazione?), ma ponendo al vertice del sapere la disciplina
antropologica, in quanto capace (più della psicologia e delle sociologia, con
cui si confronta) di cogliere e valorizzare la diversità non solo tra le
culture, ma anche tra gli individui.
Conclude infatti, con la parafrasi
di Sartre, da “L’esistenzialismo è un umanismo”, affermando che “l’antropologia
è un umanismo”.
Mi
permetto pertanto di riassumere il mio commento (parafrasando Rosa Luxemburg, “socialismo
o barbarie”), rilevando che per l’ultimo Marc Augé l’alternativa si pone tra
‘antropologia o barbarie’.
“Un
altro mondo è possibile” mi è sembrato affascinante (anche per la sua
vertiginosa brevità di 57 pagine), ma meno convincente rispetto alle precedenti
‘scoperte’ di Augé; convengo infatti sulla sua lettura della profonda crisi
antropologica dell’umanità, meno nella sicurezza ‘avventista’ verso una svolta,
di cui il testo non dimostra a fondo la necessità (in termini di maturazione
storica) né tanto meno la possibilità concreta e non solo utopica: quanto
riesce a contare la vocazione pedagogica dell’antropologia? Da dove cominciare,
constatando che il riflusso sovranista e xenofobo di larghe masse di cittadini
occidentali riguarda persone mediamente scolarizzate? Allora ci vuole una
diversa istruzione: come promuovere questa nuova e profonda istruzione per
tutti, sostanzialmente laica e pluralista?
Assediati
dal ‘pensiero unico’ che sostiene l’impossibilità di qualsivoglia alternativa
(T.I.N.A.= there is no alternative), siamo in effetti un po’ affamati di utopie
e ci potrebbe entusiasmare un maestro del pensiero già a noi simpatico e per
giunta francese, che afferma finalmente che “Un altro mondo è possibile”: ma
forse occorrono utopie un poco più realizzabili.
Fonti:
1. Marc Augé
“NONLUOGHI. INTRODUZIONE A UNA ANTROPOLOGIA DELLA SURMODERNITÀ” - Elèuthera,
Milano 1996
2.
Marc
Augé “L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO” - Elèuthera, Milano 2005
3.
Marc
Augé “TRA I CONFINI. CITTÀ, LUOGHI, INTERAZIONI” - Bruno Mondadori, Milano 2007
4.
Marc
Augé “UN ALTRO MONDO È POSSIBILE”- Torino, Codice edizioni, 2017
5.
Zygmunt
Bauman “VITA LIQUIDA” - Laterza, Bari 2006
6.
Michel Maffesoli “IL TEMPO DELLE TRIBÙ.
IL DECLINO DELL'INDIVIDUALISMO NELLE SOCIETÀ POSTMODERNE” - Guerini e Associati, Milano 2004
7.
Manuel
Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano 2002
8.
Luciano
Gallino “FINANZ-CAPITALISMO. LA CIVILTÀ DEL DENARO IN CRISI” – Einaudi, Torino 2013
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