Un tentativo di analisi
delle proposte governative per l’utilizzo dei fondi europei “Next Generation”
ovvero “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” 1, tra ricerca di
una dimenticata prassi pianificatoria, improvvisazioni, buone intenzioni e
genericità.
Sommario:
-
Premessa
-
L’evoluzione rispetto
alle ‘linee guida’
-
Il faticoso ritorno
alla pianificazione
-
La scarsa articolazione
territoriale
-
L’impatto complessivo
sulla capacita’ di investimento della pubblica amministrazione…
-
…
e il non risolto rapporto con i costi
futuri di manutenzione e gestione degli investimenti, e di restituzione del
debito
-
L’articolazione di
questo servizio speciale PNRR
PREMESSA
Nel
commentare il documento sul PNRR sono d’obbligo alcune cautele.
La
prima e ovvia è che si tratta di un documento ancora ampiamente suscettibile di
ampie modifiche, sia nel processo già complicato e controverso di approvazione
da parte del Parlamento italiano, nonché di pubblica consultazione con imprese
e attori sociali, e successivamente nella fase di verifica con la Commissione
Europea che ha il compito di riscontrarne la coerenza con gli indirizzi
emanati.
Ne
sono prova le numerose versioni che sono state diffuse dalla stampa nell’arco
di poco più di un mese: la prima del 6 dicembre 20202, la seconda
del 29 dicembre, la terza, approvata in Consiglio dei Ministri, del 12 gennaio1.
Se
si tiene conto delle convulsioni politiche è facile immaginare che anche questo
testo, sul quale esercitiamo i nostri commenti, subirà modifiche anche
sostanziali prima di essere formalmente trasmesso alla Commissione Europea.
La
seconda cautela è che il PNRR non esaurisce né la pianificazione né l’insieme
degli investimenti pubblici, e sarebbe quindi fuorviante abbandonarsi ad una
lunga lista di assenze, rivendicando questo o quel capitolo di spesa non
contemplato.
Terza
cautela è tenersi lontani da valutazioni sommarie, spesso troppo influenzate
dalle aspettative precedenti, tal che apparirà modesto e scadente a chi nutriva
speranze esagerate e sorprendente e meritevole da chi era per bocciarlo prima
ancora di leggerlo.
Senza
dimenticare poi che questo documento nasce entro paradigmi culturali dati e
privo di un retroterra di dibattito pubblico degno di questo nome.
I
criteri a cui preferiamo attenerci è se nell’insieme il PNRR così delineato
rappresenti un insieme sufficientemente coerente di indirizzi per il futuro e
se le singole missioni-componenti siano all’altezza degli obiettivi dichiarati.
Quanto
alla domanda, posta da molti osservatori, se vi si legga una ‘visione futura
del nostro paese’, la risposta non può che essere ambivalente: se così fosse
sarebbe veramente sorprendente dato che di prospettive e indirizzi di lungo
termine non si discute più da tempo immemorabile.
Il
documento nella sua forma attuale e lo stesso processo della sua elaborazione
vanno collocati nel contesto programmatorio e di bilancio di questi ultimi
anni.
Di
programmazione economica e industriale non si discute più da molti decenni (ne
parliamo in un successivo paragrafo), meno ancora sono oggetto del dibattito
pubblico visioni di lungo periodo.
La
formulazione dei bilanci annuali e pluriennali è ormai riflesso delle
situazioni contingenti e dei vincoli posti dal Patto di stabilità europeo: come
effetto dei vincoli posti dall’Europa e dell’inseguimento di facile consenso,
gli investimenti pubblici sono via via caduti, stretti nella morsa tra
riduzione del deficit e inseguimento dell’idolo della riduzione della pressione
fiscale.
Questa
politica di modesto galleggiamento, priva di ambizione trasformativa, ha fatto
sì che ci trasciniamo da anni pesanti debolezze sul piano delle entrate,
dall’abnorme dimensione dell’evasione fiscale, al regime delle concessioni
pubbliche, autostrade, acque minerali, stabilimenti balneari ed estrazioni,
affidate senza gara e a condizioni penalizzanti per l’interesse pubblico, la
cancellazione della tassa sulla prima casa, la tassa di successione tra le più
basse in Europa, la mancata riforma del catasto urbano che premia i possessori
delle case di antica costruzione situate in aree di pregio, fino ai vituperati,
ma finora sempre confermati, sussidi ambientalmente dannosi.
Abbiamo
cioè un bacino potenziale di entrate e di perequazione fiscale, che potrebbe
alimentare un programma di investimenti pubblici nei settori cruciali per lo
sviluppo, che viene lasciato invece intoccato, a protezione di privilegi
ingiustificati.
Non
sembra ci siano le migliori premesse nella vagheggiata riforma fiscale: se “Si
introdurrà anche una riforma delle concessioni statali che garantirà maggiore
trasparenza e un corretto equilibrio tra l’interesse pubblico e privato”5,
“La riforma fiscale sarà finalizzata a ridurre la pressione fiscale sui redditi
da lavoro medi e medio-bassi”5: un proposito benemerito se fosse
accompagnato da altre misure mirate a ridurre la diseguaglianza che negli
ultimi decenni ha allargato la sua forbice, ripercorrendo a ritroso la strada
della progressività sancita dalla Costituzione, uno spostamento del carico
fiscale dal reddito dal lavoro ai consumi, penalizzando i beni ad elevata
impronta ecologica e carbonica, ed internalizzando i costi scaricati sulla
collettività.
Se
esistesse un quadro di programmazione a lungo termine, il PNRR sarebbe
l’occasione per interventi di natura esclusivamente straordinaria, un
intervento eccezionale per modificare la direzione del sistema economico e
produttivo verso la sostenibilità ambientale, climatica e sociale.
Nel
quadro di galleggiamento senza ambizioni e senza visione, è invece una sorta di
intervallo tra un passato di assenza di investimenti pubblici e di direzione
pubblica, ed un futuro altrettanto povero di prospettive. Un intervallo in cui
si mescolano interventi di valenza strategica, quelli della digitalizzazione e
decarbonizzazione imposti dall’Europa, e interventi che dovrebbero essere di
ordinaria amministrazione come quelli sul sistema formativo o sul sistema
idrico, per fare due esempi.
Questa
eccezione programmatoria nella normalità del galleggiamento è ben esemplificata
dalla componente dell’efficientamento degli edifici privati. Il PNRR si limita
a finanziare l’attuale superbonus del 110% fino a giugno 2022, con uno
scavalcamento del termine per condomini e IACP. Dopo c’è il nulla. (Ne parliamo
più approfonditamente nell’articolo “PNRR: l’edilizia e il territorio”, in
questo stesso “Speciale”).
Si
ripete lo stesso errore del conto-energia degli anni ’10 di questo secolo: un
breve periodo di vigenza di un incentivo molto generoso, che alimenta
aspettative ed investimenti, seguito dalla sua cancellazione che delude le
aspettative di quasi gratuità e rendimenti assicurati, costringendo il settore
alla ritirata, con perdita di posti di lavoro e di capacità produttive, e
fermando il processo di rinnovamento.
In
breve l’eccezionalità dell’intervento del PNRR droga provvisoriamente il
mercato e l’utenza, per farla poi precipitare nell’astinenza.
La
stessa provvisorietà dell’eccezione interventista nella normalità della
bonaccia, si nota nella vexata quaestio della governance.
Privi
di tecnostrutture di programmazione economica, se ne inventano una o più
temporanee per il tempo strettamente necessario, per ritornare, finita la
festa, alla grigia normalità.
Questo
spiega anche le convulsioni politiche, tra gli eccessi dell’affidamento alle
burocrazie pubbliche incapaci di spendere i fondi europei ordinari, e
fantomatiche e ridondanti task force di manager presi dai ranghi dell’impresa.
Il
PNRR dovrebbe essere l’occasione per dotarsi di una tecnostruttura all’altezza
delle questioni, imparando dalle esperienze migliori, che affiancano alle
istituzioni politiche istituti ed enti preposti alla costruzione di visioni e
all’analisi di lungo periodo: è il caso dei think tank europei EPSC ed ESPAS,
del WBGU tedesco. Da qui l’insistenza con cui ASviS propone da tempo la
costituzione di un istituto di studi per il futuro.
Così
l’eccezionalità del PNRR non finirebbe con l’esaurirsi dei fondi, ma lascerebbe
come esito non solo investimenti realizzati, ma anche capacità consolidate, strumenti
per pensare il futuro e prolungherebbe i suoi effetti su un arco temporale ben
più lungo.
I
limiti non sono però sola responsabilità del livello politico: lo stesso
documento rileva “la scarsa propensione all’innovazione del sistema produttivo
e il basso livello di digitalizzazione della nostra economia e della nostra
pubblica amministrazione…la ridotta dimensione media delle imprese” cui va
aggiunta la quota minima di spese in ricerca e sviluppo del settore privato, la
scarsa presenza nei settori avanzati e la bassa capacità del sistema
industriale di ‘fare sistema’, ben evidenziato dall’incapacità di Confindustria
a contribuire all’elaborazione della visione di futuro e a sollevare una seria
riflessione tra gli associati sulle debolezze, le mancanze e le trasformazioni
ineludibili.
Se
visto in questo contesto deprimente di assenza di pensiero e visione, il
documento finora elaborato è quasi una gradita sorpresa, non meritevole di
critiche spietate e definitive: nelle condizioni date è invece un lavoro
apprezzabile, non privo naturalmente di punti deboli e limiti.
Tuttavia
infatti non si può negare che emerge una visione del futuro (europeismo e
collaborazione internazionale, modernizzazione digitale e ‘green’,
competitività produttiva ed inclusione sociale), più chiara forse di quelle
enunciate a suo tempo nei programmi elettorali delle singole componenti della
maggioranza, ed oscurata dai contrasti tra tali stesse forze, ma assai lontana
dalle pulsioni sovraniste e ultra-liberiste (flat-tax) che finora hanno
connotato l’opposizione (che nel merito del Next generation EU quasi nulla
ancora ha proposto).
L’EVOLUZIONE RISPETTO
ALLE “LINEE GUIDA”
Nella
bozza del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” datata 12 gennaio 2021, le
parti più valide sono quelle che ricalcano gli indirizzi generali già
anticipati nelle “Linee Guida” di settembre, con i seguenti adeguamenti (che
comportano valutazioni sia negative che positive):
-
il
tentativo di considerare gli effetti della seconda ondata pandemica, pesantemente
in atto;
-
un
parziale raccordo con la finanziaria 2021 e con le risorse ordinarie già
stanziate per investimenti pluriennali;
-
lo
svolgimento di simulazioni macroeconomiche sugli effetti delle risorse
aggiuntive del PNRR, che ci sembrano però un esercizio astratto, perché non
considerano le profonde mutazioni strutturali indotte, anche indirettamente,
dalla Pandemia, da un lato, e d’altro lato dalle stesse conseguenze della
svolta “green” degli investimenti europei, probabilmente (e auspicabilmente) distruttive
rispetto a vaste aree dell’attuale economia petrol-dipendente (ad esempio, il
successo nell’efficientamento energetico dei fabbricati comporterà un drastico
calo dei consumi di energia, ma anche della occupazione connessa);
-
in
sospeso è il testo sulla “governance” del Piano, che ha scatenato le
note polemiche interne allo schieramento politico governativo.
Inoltre,
riguardo alle “riforme strumentali”, parallele o preliminari al Recovery Fund,
nel PNRR è precisata e dilatata la parte relativa alla Giustizia, mentre su
Pubblica Amministrazione, Fisco e Lavoro o non si riscontrano significativi approfondimenti,
oppure si rilevano pericolose omissioni/arretramenti, come sul tema del
rafforzamento dei Contratti Nazionali di Lavoro e dell’introduzione del salario
minimo.
IL FATICOSO RITORNO
ALLA PIANIFICAZIONE
Tuttavia
le suddette opzioni generali – malgrado i notevoli miglioramenti apportati tra
la bozza del 6 dicembre e quella del 12 gennaio - ci sembrano meglio
dell’insieme dello svolgimento dei singoli filoni in cui si articola il
“Piano”, che non è e non può essere un vero “Piano” (costituito cioè sistematicamente
da: analisi dei bisogni, indicazione di risorse e strumenti, traguardi attesi,
criteri di verifica; elementi che nel PNRR compaiono disomogeneamente e
parzialmente nelle singole “missioni”)[1], perché lo Stato Italiano,
nel suo insieme, ha (volutamente) disimparato da qualche decennio ad assumere
una dimensione “pianificatoria” complessiva, macro-economica e finalizzata ad
obiettivi sociali di lungo respiro (casa, lavoro, istruzione), ed anzi con la
de-regulation casereccia alla Berlusconi ha ampiamente demonizzato il concetto
di “programmazione” che emergeva dalle migliori esperienze del dopoguerra (da
Fanfani a Di Vittorio, da Vanoni e Saraceno a LaMalfa, Lombardi e Giolitti):
fino a denominare “Piano Casa” alcune de-regolamentazioni nella normativa
edilizia ed a scorno dei Piani Comunali, in favore dei singoli proprietari di
fabbricati.
Ciò
non esclude che la legge Finanziaria (anzi “di Stabilità”: già nel nome ha perso dinamismo, e appare indirizzata soprattutto a
tranquillizzare sulla sostenibilità del debito pubblico) sia articolata su
previsioni ed impegni triennali[2], e che sia affiancata da
specifiche leggi di spesa pluriennali, né esclude che esistano segmenti e
brandelli di Piani:
-
per singoli settori: ad esempio il Piano Nazionale dei Trasporti, che però
risale al 2001; il PNIEC – Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima
- che è abbastanza pregevole e recente, ma deve già essere profondamente
riveduto perché finalizzato ad un abbattimento del 40% delle emissioni al 2030,
mentre oggi l’Europa punta al 55%; tragiche le vicende del mancato
aggiornamento del Piano anti-Pandemico;
-
per vasti territori: le Regioni, le Città Metropolitane e le Provincie, i
Comuni dovrebbero essere dotati – ed in parte lo sono -, di tradizionali Piani
Territoriali e Regolatori, alle varie scale geografiche, e di più moderni piani
di adeguamento climatico ed energetico e di mobilità sostenibile, con vari nomi
e normative e procedure; migliore mi pare la situazione dei Piani di Bacino per
il riassetto idrogeologico.
Se
questo complesso tessuto di “piani” – seppur in parte disorganico – fosse vivo
e vissuto positivamente dal ceto politico ed amministrativo (e non subito
invece per lo più come una congerie di incombenze da ”sbrigare” solo se
“obbligati”, dall’Europa e/o da precedenti leggi), il PNRR avrebbe potuto e
dovuto caratterizzarsi come il “Piano dei Piani”, e limitarsi a correggere accenti
e priorità, per portare proficui aggiornamenti a quanto c’era di valido nei
vigenti singoli Piani, trovando in essi dati utili, spunti e suggerimenti.
Invece
il PNRR – salvo pochi casi, come l’adeguamento del PNIEC, oppure
l’idro-geologia – procede per improvvisazioni, come su una “tabula rasa”.[3]
LA SCARSA ARTICOLAZIONE
TERRITORIALE
Conseguenza
prima di questa impostazione (per altro in gran parte inevitabile, date le
premesse) è che il PNRR è concepito per settori paralleli e non per disegni
territoriali, con il rischio di diseconomie e paradossi, come denunciato non
solo dall’INU e da singoli urbanisti, o da autorevoli associazioni come l’ASviS
od il Forum-DD, ma anche delle stesse Regioni; anche se in verità nel testo in
esame compaiono due attenzioni “territorialiste” (o forse due e mezza), oltre
alla mappa della rete ferroviaria principale (Alta Velocità/Capacità e linee di
adduzione):
-
una
“macro”: la riserva del 34% minimo degli investimenti nelle regioni meridionali
(il che – associato al recente abbattimento degli oneri previdenziali per i
salari e stipendi di quelle regioni – costituisce un significativo ritorno a politiche
di riequilibrio, negli ultimi decenni invece affidate solo a parte dei Fondi
Europei); anche se tale percentuale ricalca all’incirca l’attuale incidenza
della popolazione delle regioni svantaggiate sul totale nazionale, per cui
rappresenta una quantità “difensiva” e non effettivamente risarcitoria e
promozionale, come sarebbe necessario;
-
una
“micro”, che è il richiamo alla politica in favore delle “aree interne”, che è
un progetto fondato su buone intenzioni, ma finora privo di significative
risorse;
-
la
“mezza” riguarda la rigenerazione urbana, le periferie, la resilienza urbana e connesse
riforestazioni, argomenti che però sono trattati frettolosamente e con modesto
stanziamento di risorse.
Sui
territori infatti finiranno per piovere – se il PNRR non rimane travolto dalla
crisi politica e se tutta la programmazione settoriale andrà a buon fine con
l’Europa – tutti gli investimenti pubblici e privati innescati dal PNRR.
L’IMPATTO COMPLESSIVO
SULLA CAPACITA’ DI INVESTIMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
L’insieme
del PNRR, pari a circa 210 miliardi di € (cui nell’ultima versione del PNRR
sono state opportunamente affiancate le risorse europee REACT-EU, ovvero i
fondi ‘ordinari’ per la coesione territoriale, pari ad altri 13 miliardi di €
da qui al 2026), sarà costituito per 80 miliardi circa da trasferimenti ‘a
fondo perduto’ e per la parte restante da prestiti agevolati a lungo termine,
che aumenteranno il debito pubblico e dovranno essere restituiti con moderati
interessi; pertanto il Governo ha annunciato che – ad oggi – si prevede che
circa il 33% del Piano dovrà essere gestito come spesa sostituiva di uscite già
altrimenti finanziate e solo il 67% come spesa aggiuntiva.
Tale
spesa aggiuntiva di circa 140 miliardi di € verrà distribuita sulla presumibile
durata del Programma (6 anni dal 2021 al 2026) e quindi consisterà grosso modo
in 23 miliardi di €/anno, di cui si presume gran parte per investimenti (17
miliardi di €/anno?).
Confrontando
tale flusso finanziario con la capacità di spesa pubblica per investimenti
media degli ultimi anni – prossima a 40 miliardi di €/anno (e solo in parte
riepilogata nel testo del PNRR, per consentirne una lettura sinottica)[4] - ne risulta un
sostanziale incremento del 40%, il che suscita notevoli dubbi sulla capacità
operativa della Pubblica Amministrazione italiana nel portare a termine
l’operazione, dati anche i precedenti non lusinghieri sull’utilizzo dei
contributi ordinari europei, pur con il recente recupero verso la fine del
programma 2014-2020 (da cui le roventi discussioni in atto sulla cabina di regia,
ed il complesso tema della riforma della
stessa P.A., anche dentro lo stesso testo del PNRR)[5].
…
E IL NON RISOLTO RAPPORTO CON I COSTI
FUTURI DI MANUTENZIONE E GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI, E DI RESTITUZIONE DEL
DEBITO
Ci
sembra inoltre che emerga un ulteriore limite complessivo del P.N.R.R., nel non
mettere a fuoco i rapporti
- tra gli investimenti ed i costi della
loro futura manutenzione (in taluni casi le nuove opere costeranno di meno, in
altri di più; di più comunque se aggiuntive e non sostitutive) e soprattutto
della futura gestione (si pensi ad esempio ai nuovi asili-nido),
- tra le spese una tantum (ove sono
assai ben impiegati i fondi europei, soprattutto se sono trasferimenti a fondo
perduto) e le spese che si proietteranno costantemente od in progressione (che
invece richiederanno altre fonti di finanziamento)
- tra indebitamento e capacità di
assolvere – in prospettiva - la restituzione del capitale e gli interessi.
L’ARTICOLAZIONE DI
QUESTO SERVIZIO SPECIALE PNRR
A
questa nostra introduzione si affiancano alcuni articoli di approfondimento,
nostri e di collaboratori – abituali o nuovi – di Utopia21, riguardo a:
Decarbonizzazione, Digitalizzazione, Edilizia e territorio, Mobilità,
Giustizia, Sanità e Parità di genere.
Senza
pretesa di essere esaustivi (non si affrontano ad esempio Lavoro e Istruzione),
intendiamo così sollecitare anche altri nostri lettori ed interlocutori a
sviluppare il confronto, sul PNRR e sui problemi di fondo che gli si
connettono, nei prossimi numeri di Utopia21, ed eventualmente anche mediante
occasioni di tele-conferenza (e un domani, quando la lotta contro il Covid19 lo
consentirà, anche di incontro diretto).
Fonti:
1.
PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA –
versione approvata dal Consiglio dei Ministri il 12/01/2021 – in Atti Camera
XXXVII – reperibile anche su https://www.corriere.it/economia/consumi/21_gennaio_12/piano-nazionale-di-ripresa-resilienza-a24755fe-54a8-11eb-89b9-d85a626b049f.shtml
2.
PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA –
versione esaminata dal Consiglio dei Ministri il 6/12/2020 su https://www.corriere.it/economia/tasse/20_dicembre_07/pnrrbozzapercdm7dic2020-7908fa02-3898-11eb-a3d9-f53ec54e3a0b.shtml
3.
Forum Disuguaglianze e Diversità - PERCHE’ IL
PIANO NAZIONALE RIPRESA E RESILIENZA DIVENGA STRATEGIA-PAESE - Valutazioni e
proposte del ForumDD per un dialogo sociale – 13 gennaio 2021 - https://www.fondazioneunipolis.org/news/forumdd-l%E2%80%99analisi-del-piano-nazionale-ripresa-e-resilienza-per-il-dialogo-sociale
4.
IFEL (fondazione ANCI) – 8^ CONFERENZA SULLA
FINANZA E L’ECONOMIA LOCALE – Roma, ottobre 2019 - https://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/9872-finanza-locale-verso-la-legge-di-bilancio-2020-viii-conferenza-annuale-ifel
[1]
Il Forum Disuguaglianze e
Diversità, nel suo tempestivo commento 3 (in parte però basato su
bozze governative intermedie, tra la versione del 6 dicembre e quella del 12
gennaio) insiste molto, come valutazione generale, sulla carenza di esplicitazione
dei risultati attesi in termini di vantaggi sociali finali per i
cittadini/utenti: ad esempio aumento di occupazione, miglioramento della
qualità dell’aria, ecc.. Pur concordando su tale principio, coerente con gli
indirizzi europei, rileviamo però che in certi casi tali misurazioni – per
altro promesse dall’attuale PNRR come successive implementazioni - rischiano di
risultare molto astratte o indirette, oppure effettuabili solo a distanza di
tempo, per cui ci pare più grave che – in questo stadio di elaborazione del
Piano – per molti proposte manchi addirittura la quantificazione fisica degli
interventi (ad esempio sulle “infrastrutture sociali”, sull’”housing sociale”,
sulla “rigenerazione urbana”), il che impedisce qualsiasi forma di confronto
con i fabbisogni e di monitoraggio, anche nelle fasi iniziali e intermedie di
progettazione e realizzazione. Altrettanto grave è la presenza di refusi e
superficialità nel trattamento dei dati esposti, come specifichiamo nei singoli
articoli tematici.
[2]
Connessa a queste carenze
culturali di fondo sono anche il metodo ed il linguaggio della ‘programmazione
scorrevole’ in atto negli ultimi decenni, che ogni anno aggiunge un nuovo anno
all’orizzonte triennale (e uno ne perde nel passato), senza mai ‘tirare una riga’
di consuntivo, come invece imponeva, teoricamente, una impostazione classicamente
periodica tipo ‘piano quinquennale’, al termine del quale fare un consuntivo ed
impostare il successivo programma.
Nulla esclude in realtà di trarre bilanci dalle esperienze
svolte, anche nell’ambito dei ‘trienni scorrevoli’, anzi il monitoraggio
dovrebbe e potrebbe essere continuo; però nei fatti viene spesso evitato o
svuotato, ed il terzo anno delle proiezioni funziona spesso come ‘libro dei
sogni’, con entrate improbabili per sorreggere – a parole - spese impossibili
(ne parlo per esperienza diretta relativa ai bilanci ed ai ‘programmi delle
opere pubbliche’ negli enti locali, ma ho sentito di condotte simili anche
nelle imprese private).
[3]
Nella versione del 6 dicembre,
anzi, esplicitava la preoccupazione infine che le ultime ruote del ‘carro
pianificatorio’ – e però giuridicamente consistenti – ovvero i Piani Regolatori
Comunali (oggi in realtà variamente denominati) non siano di intralcio, e
vengano doverosamente piegati alle superiori disposizioni del PNRR, quando sarà
tradotto in singole disposizioni operative.
[4] Nella versione 12 gennaio del PNRR sono
distinti i finanziamenti pregressi da quelli aggiuntivi, ed inoltre sono
incorporati in parallelo i fondi europei REACT-EU (Coesione Territoriale);
inoltre, qua e là, ma non sistematicamente, si accenna ad altri fondi europei,
quali P.O.N. (Programmi Operativi nazionali) e FEASR (patrimonio forestale). La
tabella finale, che ingloba tutte le Missioni e le Componenti (ma non ne
riporta la numerazione che li distingue lungo l’intero testo), include in
apposite colonne tali ulteriori fondi, nonché la programmazione ordinaria
pluriennale del bilancio statale: purtroppo però tali richiami, non presenti
nelle singole tabelle di Missione, risultano in parte contradditori e
fuorvianti, come specifichiamo negli articoli con i commenti settoriali.
[5] Il problema del rinnovamento della
Pubblica Amministrazione è stato ampiamente studiato dal Forum Disuguaglianze 3;
riporto qui anche i dati principali esposti da IFEL 4 sul
dimagrimento degli organici in generale e tecnici in particolare: il personale
dei Comuni è diminuito del 20% tra il 2007 ed il 2017, con un invecchiamento
che ne porta il 67% al di sopra dei 50 anni, ed in tale ambito il peso
percentuale del personale tecnico è sceso dal 15,3 al 14,2%.
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