martedì 2 febbraio 2021

UTOPIA21 -GENNAIO 2021 - PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA: CONSIDERAZIONI GENERALI di Fulvio Fagiani e Aldo Vecchi

 

Un tentativo di analisi delle proposte governative per l’utilizzo dei fondi europei “Next Generation” ovvero “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” 1, tra ricerca di una dimenticata prassi pianificatoria, improvvisazioni, buone intenzioni e genericità.

 

Sommario:

-       Premessa

-       L’evoluzione rispetto alle ‘linee guida’

-       Il faticoso ritorno alla pianificazione

-       La scarsa articolazione territoriale

-       L’impatto complessivo sulla capacita’ di investimento della pubblica amministrazione…

-       e il non risolto rapporto con i costi futuri di manutenzione e gestione degli investimenti, e di restituzione del debito

-       L’articolazione di questo servizio speciale PNRR

 

 

 

PREMESSA

 

Nel commentare il documento sul PNRR sono d’obbligo alcune cautele.

La prima e ovvia è che si tratta di un documento ancora ampiamente suscettibile di ampie modifiche, sia nel processo già complicato e controverso di approvazione da parte del Parlamento italiano, nonché di pubblica consultazione con imprese e attori sociali, e successivamente nella fase di verifica con la Commissione Europea che ha il compito di riscontrarne la coerenza con gli indirizzi emanati.

Ne sono prova le numerose versioni che sono state diffuse dalla stampa nell’arco di poco più di un mese: la prima del 6 dicembre 20202, la seconda del 29 dicembre, la terza, approvata in Consiglio dei Ministri, del 12 gennaio1.

Se si tiene conto delle convulsioni politiche è facile immaginare che anche questo testo, sul quale esercitiamo i nostri commenti, subirà modifiche anche sostanziali prima di essere formalmente trasmesso alla Commissione Europea.

 

La seconda cautela è che il PNRR non esaurisce né la pianificazione né l’insieme degli investimenti pubblici, e sarebbe quindi fuorviante abbandonarsi ad una lunga lista di assenze, rivendicando questo o quel capitolo di spesa non contemplato.

Terza cautela è tenersi lontani da valutazioni sommarie, spesso troppo influenzate dalle aspettative precedenti, tal che apparirà modesto e scadente a chi nutriva speranze esagerate e sorprendente e meritevole da chi era per bocciarlo prima ancora di leggerlo.

Senza dimenticare poi che questo documento nasce entro paradigmi culturali dati e privo di un retroterra di dibattito pubblico degno di questo nome.

I criteri a cui preferiamo attenerci è se nell’insieme il PNRR così delineato rappresenti un insieme sufficientemente coerente di indirizzi per il futuro e se le singole missioni-componenti siano all’altezza degli obiettivi dichiarati.

Quanto alla domanda, posta da molti osservatori, se vi si legga una ‘visione futura del nostro paese’, la risposta non può che essere ambivalente: se così fosse sarebbe veramente sorprendente dato che di prospettive e indirizzi di lungo termine non si discute più da tempo immemorabile.

 

Il documento nella sua forma attuale e lo stesso processo della sua elaborazione vanno collocati nel contesto programmatorio e di bilancio di questi ultimi anni.

Di programmazione economica e industriale non si discute più da molti decenni (ne parliamo in un successivo paragrafo), meno ancora sono oggetto del dibattito pubblico visioni di lungo periodo.

La formulazione dei bilanci annuali e pluriennali è ormai riflesso delle situazioni contingenti e dei vincoli posti dal Patto di stabilità europeo: come effetto dei vincoli posti dall’Europa e dell’inseguimento di facile consenso, gli investimenti pubblici sono via via caduti, stretti nella morsa tra riduzione del deficit e inseguimento dell’idolo della riduzione della pressione fiscale.

 

Questa politica di modesto galleggiamento, priva di ambizione trasformativa, ha fatto sì che ci trasciniamo da anni pesanti debolezze sul piano delle entrate, dall’abnorme dimensione dell’evasione fiscale, al regime delle concessioni pubbliche, autostrade, acque minerali, stabilimenti balneari ed estrazioni, affidate senza gara e a condizioni penalizzanti per l’interesse pubblico, la cancellazione della tassa sulla prima casa, la tassa di successione tra le più basse in Europa, la mancata riforma del catasto urbano che premia i possessori delle case di antica costruzione situate in aree di pregio, fino ai vituperati, ma finora sempre confermati, sussidi ambientalmente dannosi.

Abbiamo cioè un bacino potenziale di entrate e di perequazione fiscale, che potrebbe alimentare un programma di investimenti pubblici nei settori cruciali per lo sviluppo, che viene lasciato invece intoccato, a protezione di privilegi ingiustificati.

 

Non sembra ci siano le migliori premesse nella vagheggiata riforma fiscale: se “Si introdurrà anche una riforma delle concessioni statali che garantirà maggiore trasparenza e un corretto equilibrio tra l’interesse pubblico e privato”5, “La riforma fiscale sarà finalizzata a ridurre la pressione fiscale sui redditi da lavoro medi e medio-bassi”5: un proposito benemerito se fosse accompagnato da altre misure mirate a ridurre la diseguaglianza che negli ultimi decenni ha allargato la sua forbice, ripercorrendo a ritroso la strada della progressività sancita dalla Costituzione, uno spostamento del carico fiscale dal reddito dal lavoro ai consumi, penalizzando i beni ad elevata impronta ecologica e carbonica, ed internalizzando i costi scaricati sulla collettività.

Se esistesse un quadro di programmazione a lungo termine, il PNRR sarebbe l’occasione per interventi di natura esclusivamente straordinaria, un intervento eccezionale per modificare la direzione del sistema economico e produttivo verso la sostenibilità ambientale, climatica e sociale.

 

Nel quadro di galleggiamento senza ambizioni e senza visione, è invece una sorta di intervallo tra un passato di assenza di investimenti pubblici e di direzione pubblica, ed un futuro altrettanto povero di prospettive. Un intervallo in cui si mescolano interventi di valenza strategica, quelli della digitalizzazione e decarbonizzazione imposti dall’Europa, e interventi che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione come quelli sul sistema formativo o sul sistema idrico, per fare due esempi.

Questa eccezione programmatoria nella normalità del galleggiamento è ben esemplificata dalla componente dell’efficientamento degli edifici privati. Il PNRR si limita a finanziare l’attuale superbonus del 110% fino a giugno 2022, con uno scavalcamento del termine per condomini e IACP. Dopo c’è il nulla. (Ne parliamo più approfonditamente nell’articolo “PNRR: l’edilizia e il territorio”, in questo stesso “Speciale”).

Si ripete lo stesso errore del conto-energia degli anni ’10 di questo secolo: un breve periodo di vigenza di un incentivo molto generoso, che alimenta aspettative ed investimenti, seguito dalla sua cancellazione che delude le aspettative di quasi gratuità e rendimenti assicurati, costringendo il settore alla ritirata, con perdita di posti di lavoro e di capacità produttive, e fermando il processo di rinnovamento.

 

In breve l’eccezionalità dell’intervento del PNRR droga provvisoriamente il mercato e l’utenza, per farla poi precipitare nell’astinenza.

La stessa provvisorietà dell’eccezione interventista nella normalità della bonaccia, si nota nella vexata quaestio della governance.

Privi di tecnostrutture di programmazione economica, se ne inventano una o più temporanee per il tempo strettamente necessario, per ritornare, finita la festa, alla grigia normalità.

Questo spiega anche le convulsioni politiche, tra gli eccessi dell’affidamento alle burocrazie pubbliche incapaci di spendere i fondi europei ordinari, e fantomatiche e ridondanti task force di manager presi dai ranghi dell’impresa.

Il PNRR dovrebbe essere l’occasione per dotarsi di una tecnostruttura all’altezza delle questioni, imparando dalle esperienze migliori, che affiancano alle istituzioni politiche istituti ed enti preposti alla costruzione di visioni e all’analisi di lungo periodo: è il caso dei think tank europei EPSC ed ESPAS, del WBGU tedesco. Da qui l’insistenza con cui ASviS propone da tempo la costituzione di un istituto di studi per il futuro.

 

Così l’eccezionalità del PNRR non finirebbe con l’esaurirsi dei fondi, ma lascerebbe come esito non solo investimenti realizzati, ma anche capacità consolidate, strumenti per pensare il futuro e prolungherebbe i suoi effetti su un arco temporale ben più lungo.

I limiti non sono però sola responsabilità del livello politico: lo stesso documento rileva “la scarsa propensione all’innovazione del sistema produttivo e il basso livello di digitalizzazione della nostra economia e della nostra pubblica amministrazione…la ridotta dimensione media delle imprese” cui va aggiunta la quota minima di spese in ricerca e sviluppo del settore privato, la scarsa presenza nei settori avanzati e la bassa capacità del sistema industriale di ‘fare sistema’, ben evidenziato dall’incapacità di Confindustria a contribuire all’elaborazione della visione di futuro e a sollevare una seria riflessione tra gli associati sulle debolezze, le mancanze e le trasformazioni ineludibili.

 

Se visto in questo contesto deprimente di assenza di pensiero e visione, il documento finora elaborato è quasi una gradita sorpresa, non meritevole di critiche spietate e definitive: nelle condizioni date è invece un lavoro apprezzabile, non privo naturalmente di punti deboli e limiti.

 

Tuttavia infatti non si può negare che emerge una visione del futuro (europeismo e collaborazione internazionale, modernizzazione digitale e ‘green’, competitività produttiva ed inclusione sociale), più chiara forse di quelle enunciate a suo tempo nei programmi elettorali delle singole componenti della maggioranza, ed oscurata dai contrasti tra tali stesse forze, ma assai lontana dalle pulsioni sovraniste e ultra-liberiste (flat-tax) che finora hanno connotato l’opposizione (che nel merito del Next generation EU quasi nulla ancora ha proposto).

 

 

L’EVOLUZIONE RISPETTO ALLE “LINEE GUIDA”

 

Nella bozza del “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” datata 12 gennaio 2021, le parti più valide sono quelle che ricalcano gli indirizzi generali già anticipati nelle “Linee Guida” di settembre, con i seguenti adeguamenti (che comportano valutazioni sia negative che positive):

-       il tentativo di considerare gli effetti della seconda ondata pandemica, pesantemente in atto;

-       un parziale raccordo con la finanziaria 2021 e con le risorse ordinarie già stanziate per investimenti pluriennali;

-       lo svolgimento di simulazioni macroeconomiche sugli effetti delle risorse aggiuntive del PNRR, che ci sembrano però un esercizio astratto, perché non considerano le profonde mutazioni strutturali indotte, anche indirettamente, dalla Pandemia, da un lato, e d’altro lato dalle stesse conseguenze della svolta “green” degli investimenti europei, probabilmente (e auspicabilmente) distruttive rispetto a vaste aree dell’attuale economia petrol-dipendente (ad esempio, il successo nell’efficientamento energetico dei fabbricati comporterà un drastico calo dei consumi di energia, ma anche della occupazione connessa);

-       in sospeso è il testo sulla “governance” del Piano, che ha scatenato le note polemiche interne allo schieramento politico governativo.

Inoltre, riguardo alle “riforme strumentali”, parallele o preliminari al Recovery Fund, nel PNRR è precisata e dilatata la parte relativa alla Giustizia, mentre su Pubblica Amministrazione, Fisco e Lavoro o non si riscontrano significativi approfondimenti, oppure si rilevano pericolose omissioni/arretramenti, come sul tema del rafforzamento dei Contratti Nazionali di Lavoro e dell’introduzione del salario minimo.

 

 

IL FATICOSO RITORNO ALLA PIANIFICAZIONE

 

Tuttavia le suddette opzioni generali – malgrado i notevoli miglioramenti apportati tra la bozza del 6 dicembre e quella del 12 gennaio - ci sembrano meglio dell’insieme dello svolgimento dei singoli filoni in cui si articola il “Piano”, che non è e non può essere un vero “Piano” (costituito cioè sistematicamente da: analisi dei bisogni, indicazione di risorse e strumenti, traguardi attesi, criteri di verifica; elementi che nel PNRR compaiono disomogeneamente e parzialmente nelle singole “missioni”)[1], perché lo Stato Italiano, nel suo insieme, ha (volutamente) disimparato da qualche decennio ad assumere una dimensione “pianificatoria” complessiva, macro-economica e finalizzata ad obiettivi sociali di lungo respiro (casa, lavoro, istruzione), ed anzi con la de-regulation casereccia alla Berlusconi ha ampiamente demonizzato il concetto di “programmazione” che emergeva dalle migliori esperienze del dopoguerra (da Fanfani a Di Vittorio, da Vanoni e Saraceno a LaMalfa, Lombardi e Giolitti): fino a denominare “Piano Casa” alcune de-regolamentazioni nella normativa edilizia ed a scorno dei Piani Comunali, in favore dei singoli proprietari di fabbricati.   

 

Ciò non esclude che la legge Finanziaria (anzi “di Stabilità”: già nel nome ha perso dinamismo, e appare indirizzata soprattutto a tranquillizzare sulla sostenibilità del debito pubblico) sia articolata su previsioni ed impegni triennali[2], e che sia affiancata da specifiche leggi di spesa pluriennali, né esclude che esistano segmenti e brandelli di Piani:

- per singoli settori: ad esempio il Piano Nazionale dei Trasporti, che però risale al 2001; il PNIEC – Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima - che è abbastanza pregevole e recente, ma deve già essere profondamente riveduto perché finalizzato ad un abbattimento del 40% delle emissioni al 2030, mentre oggi l’Europa punta al 55%; tragiche le vicende del mancato aggiornamento del Piano anti-Pandemico;

- per vasti territori: le Regioni, le Città Metropolitane e le Provincie, i Comuni dovrebbero essere dotati – ed in parte lo sono -, di tradizionali Piani Territoriali e Regolatori, alle varie scale geografiche, e di più moderni piani di adeguamento climatico ed energetico e di mobilità sostenibile, con vari nomi e normative e procedure; migliore mi pare la situazione dei Piani di Bacino per il riassetto idrogeologico.

 

Se questo complesso tessuto di “piani” – seppur in parte disorganico – fosse vivo e vissuto positivamente dal ceto politico ed amministrativo (e non subito invece per lo più come una congerie di incombenze da ”sbrigare” solo se “obbligati”, dall’Europa e/o da precedenti leggi), il PNRR avrebbe potuto e dovuto caratterizzarsi come il “Piano dei Piani”, e limitarsi a correggere accenti e priorità, per portare proficui aggiornamenti a quanto c’era di valido nei vigenti singoli Piani, trovando in essi dati utili, spunti e suggerimenti.

Invece il PNRR – salvo pochi casi, come l’adeguamento del PNIEC, oppure l’idro-geologia – procede per improvvisazioni, come su una “tabula rasa”.[3]

 

 

LA SCARSA ARTICOLAZIONE TERRITORIALE

 

Conseguenza prima di questa impostazione (per altro in gran parte inevitabile, date le premesse) è che il PNRR è concepito per settori paralleli e non per disegni territoriali, con il rischio di diseconomie e paradossi, come denunciato non solo dall’INU e da singoli urbanisti, o da autorevoli associazioni come l’ASviS od il Forum-DD, ma anche delle stesse Regioni; anche se in verità nel testo in esame compaiono due attenzioni “territorialiste” (o forse due e mezza), oltre alla mappa della rete ferroviaria principale (Alta Velocità/Capacità e linee di adduzione):

-       una “macro”: la riserva del 34% minimo degli investimenti nelle regioni meridionali (il che – associato al recente abbattimento degli oneri previdenziali per i salari e stipendi di quelle regioni – costituisce un significativo ritorno a politiche di riequilibrio, negli ultimi decenni invece affidate solo a parte dei Fondi Europei); anche se tale percentuale ricalca all’incirca l’attuale incidenza della popolazione delle regioni svantaggiate sul totale nazionale, per cui rappresenta una quantità “difensiva” e non effettivamente risarcitoria e promozionale, come sarebbe necessario;

-       una “micro”, che è il richiamo alla politica in favore delle “aree interne”, che è un progetto fondato su buone intenzioni, ma finora privo di significative risorse;

-       la “mezza” riguarda la rigenerazione urbana,  le periferie, la resilienza urbana e connesse riforestazioni, argomenti che però sono trattati frettolosamente e con modesto stanziamento di risorse.

 

Sui territori infatti finiranno per piovere – se il PNRR non rimane travolto dalla crisi politica e se tutta la programmazione settoriale andrà a buon fine con l’Europa – tutti gli investimenti pubblici e privati innescati dal PNRR.

 

 

L’IMPATTO COMPLESSIVO SULLA CAPACITA’ DI INVESTIMENTO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

 

L’insieme del PNRR, pari a circa 210 miliardi di € (cui nell’ultima versione del PNRR sono state opportunamente affiancate le risorse europee REACT-EU, ovvero i fondi ‘ordinari’ per la coesione territoriale, pari ad altri 13 miliardi di € da qui al 2026), sarà costituito per 80 miliardi circa da trasferimenti ‘a fondo perduto’ e per la parte restante da prestiti agevolati a lungo termine, che aumenteranno il debito pubblico e dovranno essere restituiti con moderati interessi; pertanto il Governo ha annunciato che – ad oggi – si prevede che circa il 33% del Piano dovrà essere gestito come spesa sostituiva di uscite già altrimenti finanziate e solo il 67% come spesa aggiuntiva.

Tale spesa aggiuntiva di circa 140 miliardi di € verrà distribuita sulla presumibile durata del Programma (6 anni dal 2021 al 2026) e quindi consisterà grosso modo in 23 miliardi di €/anno, di cui si presume gran parte per investimenti (17 miliardi di €/anno?).

Confrontando tale flusso finanziario con la capacità di spesa pubblica per investimenti media degli ultimi anni – prossima a 40 miliardi di €/anno (e solo in parte riepilogata nel testo del PNRR, per consentirne una lettura sinottica)[4] - ne risulta un sostanziale incremento del 40%, il che suscita notevoli dubbi sulla capacità operativa della Pubblica Amministrazione italiana nel portare a termine l’operazione, dati anche i precedenti non lusinghieri sull’utilizzo dei contributi ordinari europei, pur con il recente recupero verso la fine del programma 2014-2020 (da cui le roventi discussioni in atto sulla cabina di regia, ed  il complesso tema della riforma della stessa P.A., anche dentro lo stesso testo del PNRR)[5].

 

 

E IL NON RISOLTO RAPPORTO CON I COSTI FUTURI DI MANUTENZIONE E GESTIONE DEGLI INVESTIMENTI, E DI RESTITUZIONE DEL DEBITO

 

Ci sembra inoltre che emerga un ulteriore limite complessivo del P.N.R.R., nel non mettere a fuoco i rapporti

-           tra gli investimenti ed i costi della loro futura manutenzione (in taluni casi le nuove opere costeranno di meno, in altri di più; di più comunque se aggiuntive e non sostitutive) e soprattutto della futura gestione (si pensi ad esempio ai nuovi asili-nido),

-           tra le spese una tantum (ove sono assai ben impiegati i fondi europei, soprattutto se sono trasferimenti a fondo perduto) e le spese che si proietteranno costantemente od in progressione (che invece richiederanno altre fonti di finanziamento)

-           tra indebitamento e capacità di assolvere – in prospettiva - la restituzione del capitale e gli interessi.

 

 

 

 

 

 

L’ARTICOLAZIONE DI QUESTO SERVIZIO SPECIALE PNRR

 

A questa nostra introduzione si affiancano alcuni articoli di approfondimento, nostri e di collaboratori – abituali o nuovi – di Utopia21, riguardo a: Decarbonizzazione, Digitalizzazione, Edilizia e territorio, Mobilità, Giustizia, Sanità e Parità di genere.

Senza pretesa di essere esaustivi (non si affrontano ad esempio Lavoro e Istruzione), intendiamo così sollecitare anche altri nostri lettori ed interlocutori a sviluppare il confronto, sul PNRR e sui problemi di fondo che gli si connettono, nei prossimi numeri di Utopia21, ed eventualmente anche mediante occasioni di tele-conferenza (e un domani, quando la lotta contro il Covid19 lo consentirà, anche di incontro diretto). 

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.          PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA – versione approvata dal Consiglio dei Ministri il 12/01/2021 – in Atti Camera XXXVII – reperibile anche su https://www.corriere.it/economia/consumi/21_gennaio_12/piano-nazionale-di-ripresa-resilienza-a24755fe-54a8-11eb-89b9-d85a626b049f.shtml

2.          PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA – versione esaminata dal Consiglio dei Ministri il 6/12/2020 su https://www.corriere.it/economia/tasse/20_dicembre_07/pnrrbozzapercdm7dic2020-7908fa02-3898-11eb-a3d9-f53ec54e3a0b.shtml

3.          Forum Disuguaglianze e Diversità - PERCHE’ IL PIANO NAZIONALE RIPRESA E RESILIENZA DIVENGA STRATEGIA-PAESE - Valutazioni e proposte del ForumDD per un dialogo sociale – 13 gennaio 2021 - https://www.fondazioneunipolis.org/news/forumdd-l%E2%80%99analisi-del-piano-nazionale-ripresa-e-resilienza-per-il-dialogo-sociale

4.          IFEL (fondazione ANCI) – 8^ CONFERENZA SULLA FINANZA E L’ECONOMIA LOCALE – Roma, ottobre 2019 - https://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/9872-finanza-locale-verso-la-legge-di-bilancio-2020-viii-conferenza-annuale-ifel



[1] Il Forum Disuguaglianze e Diversità, nel suo tempestivo commento 3 (in parte però basato su bozze governative intermedie, tra la versione del 6 dicembre e quella del 12 gennaio) insiste molto, come valutazione generale, sulla carenza di esplicitazione dei risultati attesi in termini di vantaggi sociali finali per i cittadini/utenti: ad esempio aumento di occupazione, miglioramento della qualità dell’aria, ecc.. Pur concordando su tale principio, coerente con gli indirizzi europei, rileviamo però che in certi casi tali misurazioni – per altro promesse dall’attuale PNRR come successive implementazioni - rischiano di risultare molto astratte o indirette, oppure effettuabili solo a distanza di tempo, per cui ci pare più grave che – in questo stadio di elaborazione del Piano – per molti proposte manchi addirittura la quantificazione fisica degli interventi (ad esempio sulle “infrastrutture sociali”, sull’”housing sociale”, sulla “rigenerazione urbana”), il che impedisce qualsiasi forma di confronto con i fabbisogni e di monitoraggio, anche nelle fasi iniziali e intermedie di progettazione e realizzazione. Altrettanto grave è la presenza di refusi e superficialità nel trattamento dei dati esposti, come specifichiamo nei singoli articoli tematici.

[2] Connessa a queste carenze culturali di fondo sono anche il metodo ed il linguaggio della ‘programmazione scorrevole’ in atto negli ultimi decenni, che ogni anno aggiunge un nuovo anno all’orizzonte triennale (e uno ne perde nel passato), senza mai ‘tirare una riga’ di consuntivo, come invece imponeva, teoricamente, una impostazione classicamente periodica tipo ‘piano quinquennale’, al termine del quale fare un consuntivo ed impostare il successivo programma.

Nulla esclude in realtà di trarre bilanci dalle esperienze svolte, anche nell’ambito dei ‘trienni scorrevoli’, anzi il monitoraggio dovrebbe e potrebbe essere continuo; però nei fatti viene spesso evitato o svuotato, ed il terzo anno delle proiezioni funziona spesso come ‘libro dei sogni’, con entrate improbabili per sorreggere – a parole - spese impossibili (ne parlo per esperienza diretta relativa ai bilanci ed ai ‘programmi delle opere pubbliche’ negli enti locali, ma ho sentito di condotte simili anche nelle imprese private).

 

[3] Nella versione del 6 dicembre, anzi, esplicitava la preoccupazione infine che le ultime ruote del ‘carro pianificatorio’ – e però giuridicamente consistenti – ovvero i Piani Regolatori Comunali (oggi in realtà variamente denominati) non siano di intralcio, e vengano doverosamente piegati alle superiori disposizioni del PNRR, quando sarà tradotto in singole disposizioni operative.  

[4] Nella versione 12 gennaio del PNRR sono distinti i finanziamenti pregressi da quelli aggiuntivi, ed inoltre sono incorporati in parallelo i fondi europei REACT-EU (Coesione Territoriale); inoltre, qua e là, ma non sistematicamente, si accenna ad altri fondi europei, quali P.O.N. (Programmi Operativi nazionali) e FEASR (patrimonio forestale). La tabella finale, che ingloba tutte le Missioni e le Componenti (ma non ne riporta la numerazione che li distingue lungo l’intero testo), include in apposite colonne tali ulteriori fondi, nonché la programmazione ordinaria pluriennale del bilancio statale: purtroppo però tali richiami, non presenti nelle singole tabelle di Missione, risultano in parte contradditori e fuorvianti, come specifichiamo negli articoli con i commenti settoriali.

[5] Il problema del rinnovamento della Pubblica Amministrazione è stato ampiamente studiato dal Forum Disuguaglianze 3; riporto qui anche i dati principali esposti da IFEL 4 sul dimagrimento degli organici in generale e tecnici in particolare: il personale dei Comuni è diminuito del 20% tra il 2007 ed il 2017, con un invecchiamento che ne porta il 67% al di sopra dei 50 anni, ed in tale ambito il peso percentuale del personale tecnico è sceso dal 15,3 al 14,2%.

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