Una serie di ragionamenti poco condivisibili, ma stimolanti, sulla crisi di consenso della sinistra tra i ceti subalterni.
Sommario:
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premessa
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rappresentare i deboli
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cancel culture e libertà di espressione
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scuola, istruzione e cultura
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conclusione sul progressismo (e l’ecologia)
PREMESSA
Ho
letto “La mutazione - come le idee di sinistra sono migrate a destra” 1 con
molti dubbi sulla collocazione politica dell’Autore (mi sembrava2 un
esponente della destra che pretende di insegnare alla sinistra il suo
mestiere): i dubbi mi sono rimasti, ma ritengo il testo, in alcune sue parti,
una utile provocazione per riflettere su crisi e destini della sinistra.
Premetto
inoltre che – essendo stato concluso a ridosso della sconfitta elettorale del
settembre 2022 – il saggio si riferisce all’insieme della linea del Partito
Democratico PRIMA del Congresso e delle Primarie (che hanno portato Elly
Schlein alla guida del partito in una direzione più radicale, ma anche
l’antagonista Bonaccini elaborare contenuti autocritici sulla precedente
gestione).
E
quindi in qualche misura le critiche di Ricolfi possono sembrare più fondate e
meritate, guardando alla sinistra in Italia: mi pare però che a scala europea
Ricolfi sia fermo ad una sinistra della Blairiana “terza via”, che è da tempo
smentita sia dalle esperienza dei governi a guida socialista (ma unitari a sinistra)
di Spagna e Portogallo, sia dai travagli della sinistra in Francia sotto la
nuova egemonia di Melenchon, sia ancora dai ravvedimenti progressisti (in
dialogo con i Verdi) dei partiti socialisti del centro e nord Europa, tanto che
la ‘linea mediana’ del Gruppo S&D all’Europarlamento ha emanato documenti
programmatici ben diversi dalla tradizione Blair-Schroeder 3.
La
tesi di fondo di Ricolfi è che la sinistra politica abbia abbandonato radici e
contenuti, lasciando ampi spazi alla acquisizione di valori e consensi alle
forze di destra, ed articola tale tesi su tre capitoli ed una conclusione.
RAPPRESENTARE I DEBOLI
Per
dimostrare non solo che la sinistra attuale sta con i privilegiati e la destra
con i più deboli, ma anche che tali tendenze sono ben motivate e storicamente
necessarie, Ricolfi costruisce uno schema complesso (ed in parte contraddittorio).
Dapprima
presenta una narrazione della divisione tra la “due sinistre” che contrappone
al filone riformista PDS/Ulivo/PD non la realtà dei vari frammenti da
Rifondazione Comunista ai nostri giorni (obiettivamente
in prevalenza libertari, basta pensare a Nichi Vendola oppure ad un ispiratore
come Rodotà), bensì un pugno di pensatori pseudo-marxisti, da Fusaro a Zizek
fino a Costanzo Preve, avversi alle tematiche liberal dei diritti individuali
(del tipo identità di genere), in quanto meri diversivi capitalisti.
Tra
i gruppi politici così schierati Ricolfi segnala solo il partitino comunista di
Marco Rizzo (il cui seguito mi pare
francamente esiguo) mentre il pugno di pensatori – riferisce l’Autore – non
esita ad esaltare la famiglia tradizionale e ad apprezzare Marine Le Pen.
Ne deriva una
rappresentazione caricaturale di una sinistra riformista persa dietro i diritti
civili e di un popolo di sinistra tradizionalista incarnato da quattro
intellettuali (più Marco Rizzo), per cui però tale popolo non vota (perché
invece si astiene, oppure preferisce direttamente la destra: e lo fa da tempo,
almeno dal 1994 4, prima ancora che la sinistra riformista compisse
la sua parabola fino ai vertici Renziani di stare con Marchionne anziché con
gli operai).
Ricolfi
prosegue proponendo una analisi dei “gruppi sociali” (essendo dissolte le
vecchie “classi”) in cui è determinante la categoria del RISCHIO, collocando:
-
al
di sopra, in quanto garantiti, tutti i percettori di reddito fisso, dipendenti
dalla piccola amministrazione e dalle aziende superiori a 15 addetti, perciò protetti
dai licenziamenti individuali,
-
in
mezzo tutti i percettori di reddito variabile ed i dipendenti dalle piccole
aziende, ed in genere le vittime – vere o
presunte – della globalizzazione (e dei suoi frutti velenosi:
delocalizzazione industriale e soprattutto immigrazione),
-
sotto
i precari, esclusi da contratti di lavoro stabili e a tempo pieno,
cui
corrisponderebbero grosso modo le tendenze ad essere rappresentati,
nell’ordine, dalla sinistra riformista, dalla destra e dal Movimento 5Stelle.
Su
scala europea invece l’Autore utilizza i dati ’eurobarometro’ per rilevare una
prevalente corrispondenza tra voti per la sinistra riformista e alti livelli di
istruzione, e viceversa: il che non
collima con i “gruppi di rischio”, come sopra descritti, perché nel gruppo dei
garantiti parrebbero inclusi molti lavoratori stabili ma non troppo istruiti.
Tale analisi ha il
pregio di avere dei concreti riferimenti sociali, che spesso mancano nelle file
delle sinistre, ma è a mio avviso profondamente errata, perché sopravvaluta il
rischio formale e sottovaluta il potere sostanziale. Nel concreto:
-
i dipendenti delle
aziende medio-grandi non hanno più molte certezze (ed il rischio occupazionale
lambisce anche il pubblico impiego) ed inoltre tutti i ceti con stipendi
medio-bassi oggi rischiano assai in campo sanitario e – se inquilini – sul
fronte abitativo;
-
tra i lavoratori
autonomi e gli imprenditori, il rischio è diffuso, ma spesso temperato da
solide situazioni patrimoniali e/o da posizioni di rendita nel mercato
(assicuratori, taxisti, balneari, ecc.). Inoltre gli imprenditori possono
scaricare i rischi in primis sui loro dipendenti (e non viceversa);
inoltre una
approfondita analisi sociologica sul consenso verso i 5Stelle mi sembra tuttora
carente, ma non escluderei che abbia coinvolto larghe sacche di pubblico
impiego.
Ricolfi
conclude il capitolo assumendo come proprio un pensiero di Marcello Veneziani (che almeno è intellettuale di destra senza
spacciarsi per altra cosa) e cioè che la contraddizione principale non è
più tra destra e sinistra, ma tra liberal (individualisti, cosmopoliti, ecc.) e
comunitari, che salvano i valori “tradizionali” e diffidano degli immigrati.
Nella mia limitata
esperienza, nel poco che vedo di comunitario nella pratica sociale effettiva,
dai comitati di genitori alle feste di quartiere, dalle associazioni sportive
fino al volontariato organizzato (per lo più cattolico) non riscontro
discriminanti anti-immigrati (semmai il contrario, per il volontariato
cattolico).
Non ritengo
particolarmente “comunitario” chi nell’isolamento della sua tastiera esprime
(spesso con violenza) consenso a valori reazionari e discriminatori.
Non accetto comunque
l’idea che per essere “popolare” la sinistra debba far propri valori di destra
(come le barriere anti-immigrati), anche se la diffusione di tale ostilità
negli strati popolari è un problema che la sinistra deve affrontare, nella
consapevolezza degli errori compiuti sottovalutando l’impatto dei flussi
immigratori nei tessuti sociali più deboli.
CANCEL CULTURE E
LIBERTA’ DI ESPRESSIONE
Dopo
una breve e divertente rievocazione storica sulla censura e sulla satira in
Italia dal dopoguerra al Berlusconismo, in cui evidenzia la sostanziale
coincidenza tra sinistre e battaglie per la libertà di espressione, Ricolfi
tesse un quadro delle attuali tendenze, soprattutto in ambito anglo-americano,
verso il “politicamente corretto” e le strategie di inclusione delle minoranze
etniche, sociali e di genere.
L’Autore
tende ad esaltare i singoli esiti, talora paradossali, di queste tendenze che
rischiano di sconfinare (particolarmente in U.S.A.) nella “cancel culture“
(censura accademica, riscrittura forzata della storia, rimozione di simboli e
monumenti) per attribuire nell’insieme alla sinistra italiana una patente di
repressore della libertà di espressione, nonché di arroganza buonista: la
consapevolezza di sostenere buone cause in favore degli esclusi porterebbe ad
uno snobismo culturale dei confronti degli avversari politici, a tali cause
meno sensibili.
Ricolfi
porta anche qualche buon argomento, ad esempio citando Natalia Ginsburg ed
Italo Calvino, sulla artificiosità della lingua ufficiale che si dipana dagli
eufemismi consolatori tipo “non-udente”, fin a cristallizzare una “anti-lingua”
che non comunica più con il linguaggio corrente; segnala che in tale modo si
rischia di assegnare significati spregiativi a termini che in origine erano
neutri, come cieco, sordo, ecc.
Ricolfi
però si rifiuta di cogliere la questione principale che sta a monte delle
politiche inclusive, cioè l’accumulazione secolare delle discriminazioni di
nativi americani e schiavi neri, immigrati latinos, donne e omosessuali, ecc.,
come ha ben capito invece la maggioranza trumpiana della Corte Suprema U.S.A.,
cercando di capovolgere tali politiche con una recente sentenza che abolisce le
quote protettive per l’iscrizione degli afro-americani alle Università.
Dopo di che, solo
accettando il principio dei necessari risarcimenti sociali, può anche essere
opportuno discutere di eccessi, misure e contraccolpi (e fare utili riflessioni
su lingua viva e lingua morta e sull’arroganza dei buonisti).
Inoltre mi sembra
inaccettabile la comparazione tra la censura esercitata dai poteri di uno stato
autoritario (qual era in buona misura anche il regime democristiano degli anni
’50, in quanto aveva ereditato la struttura statuale del fascismo) ed il conformismo
culturale del “politicamente corretto”, che non sequestra libri e non impedisce
spettacoli, tutt’al più condiziona qualche carriera accademica.
Posso apprezzare anche
le rivendicazioni di Ricolfi contro tale conformismo (e le sue possibili degenerazioni),
ma non ritengo che la libertà di espressione per cui battersi sia quella di
andare in giro a chiamare “negri” gli africani, “musi gialli” gli asiatici
oppure “froci” gli omosessuali.
“Libertà” che è stata
più banalmente ma notoriamente rivendicata nella recente vicenda del generale
Vannacci.
SCUOLA, ISTRUZIONE E
CULTURA
Ricolfi
ritiene la sinistra italiana responsabile della situazione di degrado della
pubblica istruzione, degrado che identifica con la “scuola facile” e
apparentemente non selettiva e che comporta fenomeni, su cui non si può
convenire, come il basso livello medio di preparazione nelle scuole dell’obbligo e superiori e la
svalutazione di fatto di molti titoli di studio, con lo spostamento della
effettiva qualificazione – per chi può permetterselo – ad ulteriori tappe
formative, quali, dottorato, master ed altre soluzioni, spesso private,
ricostruendo così di fatto una sostanziale selezione di classe.
L’Autore
segnala che su questo fronte (diversamente dai due temi precedenti) la destra
non tende a subentrare alla sinistra, imitandone invece gli errori e trovando
confacente tale privatizzazione delle carriere.
Ricolfi
denuncia (fin dalla terminologia [1]) l’equivoco della
“meritocrazia”, esaltata da Tony Blair e da tutta la “terza via”, quando non è
accompagnata da robusti sostegni economici per il diritto allo studio dei meno
abbienti, come di fatto in Italia dagli anni ’70 in poi [2].
Però
attribuisce la crisi dell’istruzione a tre nodi ideologici (su cui assolutamente non lo seguo):
-
la
marginalizzazione del latino, a partire dalla scuola media dell’obbligo [3];
-
il
relativismo derivante dalla equiparazione delle culture a seguito degli studi
antropologici di Levi-Strauss e altri, che Ricolfi commenta così: “al
relativismo dell’antropologia, a quanto pare, riesce più facile instillare
sensi di colpa nell’uomo bianco, che convincere i popoli un tempo assoggettati della
desiderabilità della cultura in cui sono ancora intrappolati”;
-
la
critica di classe alle strutture del sapere, ascrivibile a Bourdieu e Passeron
(e al ’68 in genere) secondo i quali “la scuola non trasmette la cultura, ma
una cultura arbitraria e funzionale alla classe dominante”.
Per
cui in sostanza per l’Autore la cura del sistema scolastico consisterebbe nel
tornare al latino, e ricostruire una gerarchia indiscutibile di valori
culturali “occidentali”; mentre si fa beffe di una pedagogia alternativa che
afferma: “buona parte degli errori di lettura e di ortografia dipendono da
scarsa maturazione della capacità di coordinamento spaziale, essi dunque vanno
curati, dopo attenta diagnosi, non insegnando norme ortografiche direttamente,
ma insegnando a ballare, ad apparecchiare ordinatamente la tavola, ad
allacciarsi le scarpe”.
Divergo radicalmente
dalla prognosi di Ricolfi, che – guarda caso – si è dimenticato dell’alto livello
di abbandono scolastico.
Ritengo comunque che
per la sinistra sia decisivo farsi carico della questione scolastica, non tanto
per alcune colpe da espiare, ma per la mancanza oggi di un progetto organico
che miri alla qualità di una formazione di massa dei giovani (e non solo) in quanto
cittadini, in un mondo complesso e multiculturale.
Nella qualità ci sta indubbiamente
il saper leggere e scrivere (e far di conto), ma non credo debba
necessariamente fondarsi sul latino (anche perché in realtà le abilità
linguistiche si apprendono nei primi anni di scuola e addirittura di vita, dove
anche storicamente il latino non è mai stato presente).
CONCLUSIONI SUL
PROGRESSISMO (E L’ECOLOGIA)
Nel
capitolo conclusivo, forse di maggior
pregio, l’Autore, richiamando Freud (secondo cui la civilizzazione ha fatto
perdere quote di libertà) e Marcuse (secondo cui tal libertà andava recuperata
fuori del capitalismo), attribuisce alla sinistra una acquiescenza verso il
capitalismo attuale che permetterebbe nelle sue innovazioni alte quote di
libertà individuale e di auto-realizzazione, ma – sottolinea Ricolfi - solo per
gli ‘inclusi’.
“Insomma,
per la cultura di sinistra la freccia del tempo storico punta sempre nella
direzione giusta: ieri perché il capitalismo era una tappa necessaria sul cammino
che avrebbe portato al socialismo, oggi perché l’evoluzione culturale e l’evoluzione
del diritto possono incanalare il capitalismo sui giusti binari. Specie se a
guidare la corsa sono i progressisti. Che sono tali non perché aspirano al
progresso, ma perché tendono a interpretare come progresso ogni cambiamento,
anche i più controversi e controvertibili…”.
Invece
“… il neotradizionalismo di una parte della destra, con la sua preoccupazione
per i mali della globalizzazione e gli eccessi delle libertà individuali,
riluce in tutta la sua enigmatica capacità di porre domande. Che non provengono
solo da destra… Il lato oscuro del progresso non è invenzione della destra, ma
è radicato nelle preoccupazioni dei pensatori di sinistra più sensibili e
profondi…”.
Ne consegue, per
Ricolfi, una naturale sintonia della sinistra con le élites “post-materialiste”
e della destra con “la pietrosa realtà di chi ancor oggi … è impegnato a
soddisfare i bisogni di base: casa, alimentazione, sicurezza economica…”.
In questo schema
generalizzante colgo anch’io qualche parziale verità (che starà alla sinistra
smentire nei fatti, dimostrando di essere definitivamente – per semplificare -
post-Renziana); verità viziate però dalle incongruenze e dagli inaccettabili
assiomi Ricolfiani di cui sopra.
Mi permetto infine di
rilevare che la parola “ecologia” compare nel testo di Ricolfi solo all’ultima
pagina, tra “i temi che appassionano il mondo di sopra”, come “transizione
digitale, diritti di accoglienza, eutanasia e liberalizzazione delle droghe,
ristoranti e vacanze, gioco e intrattenimento, sessualità e social media”,
mentre in tutto il volume la tematica ambientale e climatica è rigorosamente
assente: forse un po’ poco per valutare destra e sinistra nel XXI secolo, dove
la destra europea (e mondiale) tende sempre più a caratterizzarsi proprio
contro l’ambientalismo e frenando la transizione energetica.
Fonti:
1. Luca Ricolfi – LA MUTAZIONE.
COME LE IDEE DI SINISTRA SONO MIGRATE A DESTRA – Rizzoli, Milano 2022
2 – Aldo Vecchi – ALCUNE OSSERVAZIONI SUL TESTO DAD DI ANTONIO
BALISTRERI – su Utopia21, novembre 2021
https://drive.google.com/file/d/1uqmteC5y73aYMW1q4_7ZHVYAJvPekpv4/view?usp=sharing
3 – Aldo Vecchi – LA
GRANDE SVOLTA (QUASI) ANNUNCIATA DAI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI – su
Utopia21, gennaio 2022 https://drive.google.com/file/d/1yBkWm43n1rFMF92-Gp8D3-xiSGUzha7z/view?usp=sharing
4 - Anna Maria Vailati
e Aldo Vecchi – DOPO LE ELEZIONI POLITICHE: DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E
POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE? - su Utopia21, novembre 2022 https://drive.google.com/file/d/1kSi_8BDxQNIq44U4yzMb1MJc1Tcx2CID/view?usp=share_link
5 - Anna Maria Vailati
e Aldo Vecchi - FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, MILANO, 1968-1971: LE 2 UTOPIE CHE
ABBIAMO ATTRAVERSATO - su Utopia21, settembre 2021 https://drive.google.com/file/d/1y-1G9dVnwBCyJJ3HVBYm8aU_mNSrmAzz/view?usp=sharing
[1]
Secondo Ricolfi la parola
meritocrazia risale ad un romanzo sociologico di M. D. Young, del 1958, che la
descrive come un meccanismo distopico, ed è stata impropriamente traslata dagli
intellettuali filo-Blair come Antony Giddens
[2] Avendola misurata di persona, come riferito
su Utopia21 5, rammento che dal 1971 – proprio mentre si affacciava
all’università la scolarizzazione di massa –fu sancito il divorzio tra quantità
del bisogno (domanda di pre-salari) e quantità delle risorse (definite a priori
e limitate) per tale specifico elemento del welfare (in controtendenza con le
altre riforme ottenute negli anni ’70).
[3]
L’Autore rimpiange l’influenza sul
Partito Comunista Italiano degli anni ’50 di Concetto Marchesi, fiero
sostenitore della permanenza del Latino, in una scuola classicheggiante, in cui
i figli degli operai dovevano aspirare ad entrare; poi invece il PCI si accodò
alla riforma del centro-sinistra, quasi priva del latino; il che fa pensare che Ricolfi forse rimpianga anche la vecchia Scuola
di Avviamento Professionale