domenica 8 ottobre 2023

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2023: LUCA RICOLFI E LA MUTAZIONE DELLA SINISTRA

 Una serie di ragionamenti poco condivisibili, ma stimolanti, sulla crisi di consenso della sinistra tra i ceti subalterni.

 

Sommario:

-       premessa

-       rappresentare i deboli

-       cancel culture e libertà di espressione

-       scuola, istruzione e cultura

-       conclusione sul progressismo (e l’ecologia)

 

 

PREMESSA

 

Ho letto “La mutazione - come le idee di sinistra sono migrate a destra” 1 con molti dubbi sulla collocazione politica dell’Autore (mi sembrava2 un esponente della destra che pretende di insegnare alla sinistra il suo mestiere): i dubbi mi sono rimasti, ma ritengo il testo, in alcune sue parti, una utile provocazione per riflettere su crisi e destini della sinistra.

 

Premetto inoltre che – essendo stato concluso a ridosso della sconfitta elettorale del settembre 2022 – il saggio si riferisce all’insieme della linea del Partito Democratico PRIMA del Congresso e delle Primarie (che hanno portato Elly Schlein alla guida del partito in una direzione più radicale, ma anche l’antagonista Bonaccini elaborare contenuti autocritici sulla precedente gestione).

E quindi in qualche misura le critiche di Ricolfi possono sembrare più fondate e meritate, guardando alla sinistra in Italia: mi pare però che a scala europea Ricolfi sia fermo ad una sinistra della Blairiana “terza via”, che è da tempo smentita sia dalle esperienza dei governi a guida socialista (ma unitari a sinistra) di Spagna e Portogallo, sia dai travagli della sinistra in Francia sotto la nuova egemonia di Melenchon, sia ancora dai ravvedimenti progressisti (in dialogo con i Verdi) dei partiti socialisti del centro e nord Europa, tanto che la ‘linea mediana’ del Gruppo S&D all’Europarlamento ha emanato documenti programmatici ben diversi dalla tradizione Blair-Schroeder 3.

La tesi di fondo di Ricolfi è che la sinistra politica abbia abbandonato radici e contenuti, lasciando ampi spazi alla acquisizione di valori e consensi alle forze di destra, ed articola tale tesi su tre capitoli ed una conclusione.

 

 

RAPPRESENTARE I DEBOLI

 

Per dimostrare non solo che la sinistra attuale sta con i privilegiati e la destra con i più deboli, ma anche che tali tendenze sono ben motivate e storicamente necessarie, Ricolfi costruisce uno schema complesso (ed in parte contraddittorio).

 

Dapprima presenta una narrazione della divisione tra la “due sinistre” che contrappone al filone riformista PDS/Ulivo/PD non la realtà dei vari frammenti da Rifondazione Comunista ai nostri giorni (obiettivamente in prevalenza libertari, basta pensare a Nichi Vendola oppure ad un ispiratore come Rodotà), bensì un pugno di pensatori pseudo-marxisti, da Fusaro a Zizek fino a Costanzo Preve, avversi alle tematiche liberal dei diritti individuali (del tipo identità di genere), in quanto meri diversivi capitalisti.

Tra i gruppi politici così schierati Ricolfi segnala solo il partitino comunista di Marco Rizzo (il cui seguito mi pare francamente esiguo) mentre il pugno di pensatori – riferisce l’Autore – non esita ad esaltare la famiglia tradizionale e ad apprezzare Marine Le Pen.

Ne deriva una rappresentazione caricaturale di una sinistra riformista persa dietro i diritti civili e di un popolo di sinistra tradizionalista incarnato da quattro intellettuali (più Marco Rizzo), per cui però tale popolo non vota (perché invece si astiene, oppure preferisce direttamente la destra: e lo fa da tempo, almeno dal 1994 4, prima ancora che la sinistra riformista compisse la sua parabola fino ai vertici Renziani di stare con Marchionne anziché con gli operai).

 

Ricolfi prosegue proponendo una analisi dei “gruppi sociali” (essendo dissolte le vecchie “classi”) in cui è determinante la categoria del RISCHIO, collocando:

-       al di sopra, in quanto garantiti, tutti i percettori di reddito fisso, dipendenti dalla piccola amministrazione e dalle aziende superiori a 15 addetti, perciò protetti dai licenziamenti individuali,

-       in mezzo tutti i percettori di reddito variabile ed i dipendenti dalle piccole aziende, ed in genere le vittime – vere o presunte – della globalizzazione (e dei suoi frutti velenosi: delocalizzazione industriale e soprattutto immigrazione),

-       sotto i precari, esclusi da contratti di lavoro stabili e a tempo pieno,

cui corrisponderebbero grosso modo le tendenze ad essere rappresentati, nell’ordine, dalla sinistra riformista, dalla destra e dal Movimento 5Stelle.

Su scala europea invece l’Autore utilizza i dati ’eurobarometro’ per rilevare una prevalente corrispondenza tra voti per la sinistra riformista e alti livelli di istruzione, e viceversa: il che non collima con i “gruppi di rischio”, come sopra descritti, perché nel gruppo dei garantiti parrebbero inclusi molti lavoratori stabili ma non troppo istruiti

 

Tale analisi ha il pregio di avere dei concreti riferimenti sociali, che spesso mancano nelle file delle sinistre, ma è a mio avviso profondamente errata, perché sopravvaluta il rischio formale e sottovaluta il potere sostanziale. Nel concreto:

-       i dipendenti delle aziende medio-grandi non hanno più molte certezze (ed il rischio occupazionale lambisce anche il pubblico impiego) ed inoltre tutti i ceti con stipendi medio-bassi oggi rischiano assai in campo sanitario e – se inquilini – sul fronte abitativo;

-       tra i lavoratori autonomi e gli imprenditori, il rischio è diffuso, ma spesso temperato da solide situazioni patrimoniali e/o da posizioni di rendita nel mercato (assicuratori, taxisti, balneari, ecc.). Inoltre gli imprenditori possono scaricare i rischi in primis sui loro dipendenti (e non viceversa);

inoltre una approfondita analisi sociologica sul consenso verso i 5Stelle mi sembra tuttora carente, ma non escluderei che abbia coinvolto larghe sacche di pubblico impiego.

 

Ricolfi conclude il capitolo assumendo come proprio un pensiero di Marcello Veneziani (che almeno è intellettuale di destra senza spacciarsi per altra cosa) e cioè che la contraddizione principale non è più tra destra e sinistra, ma tra liberal (individualisti, cosmopoliti, ecc.) e comunitari, che salvano i valori “tradizionali” e diffidano degli immigrati.

Nella mia limitata esperienza, nel poco che vedo di comunitario nella pratica sociale effettiva, dai comitati di genitori alle feste di quartiere, dalle associazioni sportive fino al volontariato organizzato (per lo più cattolico) non riscontro discriminanti anti-immigrati (semmai il contrario, per il volontariato cattolico).

Non ritengo particolarmente “comunitario” chi nell’isolamento della sua tastiera esprime (spesso con violenza) consenso a valori reazionari e discriminatori.

Non accetto comunque l’idea che per essere “popolare” la sinistra debba far propri valori di destra (come le barriere anti-immigrati), anche se la diffusione di tale ostilità negli strati popolari è un problema che la sinistra deve affrontare, nella consapevolezza degli errori compiuti sottovalutando l’impatto dei flussi immigratori nei tessuti sociali più deboli.

 

 

CANCEL CULTURE E LIBERTA’ DI ESPRESSIONE

 

Dopo una breve e divertente rievocazione storica sulla censura e sulla satira in Italia dal dopoguerra al Berlusconismo, in cui evidenzia la sostanziale coincidenza tra sinistre e battaglie per la libertà di espressione, Ricolfi tesse un quadro delle attuali tendenze, soprattutto in ambito anglo-americano, verso il “politicamente corretto” e le strategie di inclusione delle minoranze etniche, sociali e di genere.

L’Autore tende ad esaltare i singoli esiti, talora paradossali, di queste tendenze che rischiano di sconfinare (particolarmente in U.S.A.) nella “cancel culture“ (censura accademica, riscrittura forzata della storia, rimozione di simboli e monumenti) per attribuire nell’insieme alla sinistra italiana una patente di repressore della libertà di espressione, nonché di arroganza buonista: la consapevolezza di sostenere buone cause in favore degli esclusi porterebbe ad uno snobismo culturale dei confronti degli avversari politici, a tali cause meno sensibili.

Ricolfi porta anche qualche buon argomento, ad esempio citando Natalia Ginsburg ed Italo Calvino, sulla artificiosità della lingua ufficiale che si dipana dagli eufemismi consolatori tipo “non-udente”, fin a cristallizzare una “anti-lingua” che non comunica più con il linguaggio corrente; segnala che in tale modo si rischia di assegnare significati spregiativi a termini che in origine erano neutri, come cieco, sordo, ecc.

 

Ricolfi però si rifiuta di cogliere la questione principale che sta a monte delle politiche inclusive, cioè l’accumulazione secolare delle discriminazioni di nativi americani e schiavi neri, immigrati latinos, donne e omosessuali, ecc., come ha ben capito invece la maggioranza trumpiana della Corte Suprema U.S.A., cercando di capovolgere tali politiche con una recente sentenza che abolisce le quote protettive per l’iscrizione degli afro-americani alle Università.

 

Dopo di che, solo accettando il principio dei necessari risarcimenti sociali, può anche essere opportuno discutere di eccessi, misure e contraccolpi (e fare utili riflessioni su lingua viva e lingua morta e sull’arroganza dei buonisti).

Inoltre mi sembra inaccettabile la comparazione tra la censura esercitata dai poteri di uno stato autoritario (qual era in buona misura anche il regime democristiano degli anni ’50, in quanto aveva ereditato la struttura statuale del fascismo) ed il conformismo culturale del “politicamente corretto”, che non sequestra libri e non impedisce spettacoli, tutt’al più condiziona qualche carriera accademica.

Posso apprezzare anche le rivendicazioni di Ricolfi contro tale conformismo (e le sue possibili degenerazioni), ma non ritengo che la libertà di espressione per cui battersi sia quella di andare in giro a chiamare “negri” gli africani, “musi gialli” gli asiatici oppure “froci” gli omosessuali.

“Libertà” che è stata più banalmente ma notoriamente rivendicata nella recente vicenda del generale Vannacci.

 

 

SCUOLA, ISTRUZIONE E CULTURA

 

Ricolfi ritiene la sinistra italiana responsabile della situazione di degrado della pubblica istruzione, degrado che identifica con la “scuola facile” e apparentemente non selettiva e che comporta fenomeni, su cui non si può convenire, come il basso livello medio di preparazione nelle scuole dell’obbligo e superiori e la svalutazione di fatto di molti titoli di studio, con lo spostamento della effettiva qualificazione – per chi può permetterselo – ad ulteriori tappe formative, quali, dottorato, master ed altre soluzioni, spesso private, ricostruendo così di fatto una sostanziale selezione di classe.

L’Autore segnala che su questo fronte (diversamente dai due temi precedenti) la destra non tende a subentrare alla sinistra, imitandone invece gli errori e trovando confacente tale privatizzazione delle carriere.

Ricolfi denuncia (fin dalla terminologia [1]) l’equivoco della “meritocrazia”, esaltata da Tony Blair e da tutta la “terza via”, quando non è accompagnata da robusti sostegni economici per il diritto allo studio dei meno abbienti, come di fatto in Italia dagli anni ’70 in poi [2].

Però attribuisce la crisi dell’istruzione a tre nodi ideologici (su cui assolutamente non lo seguo):

-       la marginalizzazione del latino, a partire dalla scuola media dell’obbligo [3];

-       il relativismo derivante dalla equiparazione delle culture a seguito degli studi antropologici di Levi-Strauss e altri, che Ricolfi commenta così: “al relativismo dell’antropologia, a quanto pare, riesce più facile instillare sensi di colpa nell’uomo bianco, che convincere i popoli un tempo assoggettati della desiderabilità della cultura in cui sono ancora intrappolati”;

-       la critica di classe alle strutture del sapere, ascrivibile a Bourdieu e Passeron (e al ’68 in genere) secondo i quali “la scuola non trasmette la cultura, ma una cultura arbitraria e funzionale alla classe dominante”.

Per cui in sostanza per l’Autore la cura del sistema scolastico consisterebbe nel tornare al latino, e ricostruire una gerarchia indiscutibile di valori culturali “occidentali”; mentre si fa beffe di una pedagogia alternativa che afferma: “buona parte degli errori di lettura e di ortografia dipendono da scarsa maturazione della capacità di coordinamento spaziale, essi dunque vanno curati, dopo attenta diagnosi, non insegnando norme ortografiche direttamente, ma insegnando a ballare, ad apparecchiare ordinatamente la tavola, ad allacciarsi le scarpe”.

 

Divergo radicalmente dalla prognosi di Ricolfi, che – guarda caso – si è dimenticato dell’alto livello di abbandono scolastico.

Ritengo comunque che per la sinistra sia decisivo farsi carico della questione scolastica, non tanto per alcune colpe da espiare, ma per la mancanza oggi di un progetto organico che miri alla qualità di una formazione di massa dei giovani (e non solo) in quanto cittadini, in un mondo complesso e multiculturale.

Nella qualità ci sta indubbiamente il saper leggere e scrivere (e far di conto), ma non credo debba necessariamente fondarsi sul latino (anche perché in realtà le abilità linguistiche si apprendono nei primi anni di scuola e addirittura di vita, dove anche storicamente il latino non è mai stato presente).

 

 

CONCLUSIONI SUL PROGRESSISMO (E L’ECOLOGIA)

 

Nel capitolo conclusivo, forse di maggior pregio, l’Autore, richiamando Freud (secondo cui la civilizzazione ha fatto perdere quote di libertà) e Marcuse (secondo cui tal libertà andava recuperata fuori del capitalismo), attribuisce alla sinistra una acquiescenza verso il capitalismo attuale che permetterebbe nelle sue innovazioni alte quote di libertà individuale e di auto-realizzazione, ma – sottolinea Ricolfi - solo per gli ‘inclusi’.

“Insomma, per la cultura di sinistra la freccia del tempo storico punta sempre nella direzione giusta: ieri perché il capitalismo era una tappa necessaria sul cammino che avrebbe portato al socialismo, oggi perché l’evoluzione culturale e l’evoluzione del diritto possono incanalare il capitalismo sui giusti binari. Specie se a guidare la corsa sono i progressisti. Che sono tali non perché aspirano al progresso, ma perché tendono a interpretare come progresso ogni cambiamento, anche i più controversi e controvertibili…”.

Invece “… il neotradizionalismo di una parte della destra, con la sua preoccupazione per i mali della globalizzazione e gli eccessi delle libertà individuali, riluce in tutta la sua enigmatica capacità di porre domande. Che non provengono solo da destra… Il lato oscuro del progresso non è invenzione della destra, ma è radicato nelle preoccupazioni dei pensatori di sinistra più sensibili e profondi…”.

 

Ne consegue, per Ricolfi, una naturale sintonia della sinistra con le élites “post-materialiste” e della destra con “la pietrosa realtà di chi ancor oggi … è impegnato a soddisfare i bisogni di base: casa, alimentazione, sicurezza economica…”.

In questo schema generalizzante colgo anch’io qualche parziale verità (che starà alla sinistra smentire nei fatti, dimostrando di essere definitivamente – per semplificare - post-Renziana); verità viziate però dalle incongruenze e dagli inaccettabili assiomi Ricolfiani di cui sopra.

Mi permetto infine di rilevare che la parola “ecologia” compare nel testo di Ricolfi solo all’ultima pagina, tra “i temi che appassionano il mondo di sopra”, come “transizione digitale, diritti di accoglienza, eutanasia e liberalizzazione delle droghe, ristoranti e vacanze, gioco e intrattenimento, sessualità e social media”, mentre in tutto il volume la tematica ambientale e climatica è rigorosamente assente: forse un po’ poco per valutare destra e sinistra nel XXI secolo, dove la destra europea (e mondiale) tende sempre più a caratterizzarsi proprio contro l’ambientalismo e frenando la transizione energetica.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1. Luca Ricolfi – LA MUTAZIONE. COME LE IDEE DI SINISTRA SONO MIGRATE A DESTRA – Rizzoli, Milano 2022

2 – Aldo Vecchi  – ALCUNE OSSERVAZIONI SUL TESTO DAD DI ANTONIO BALISTRERI – su Utopia21, novembre 2021

https://drive.google.com/file/d/1uqmteC5y73aYMW1q4_7ZHVYAJvPekpv4/view?usp=sharing

3 – Aldo Vecchi – LA GRANDE SVOLTA (QUASI) ANNUNCIATA DAI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI – su Utopia21, gennaio 2022 https://drive.google.com/file/d/1yBkWm43n1rFMF92-Gp8D3-xiSGUzha7z/view?usp=sharing

4 - Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi – DOPO LE ELEZIONI POLITICHE: DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE? - su Utopia21, novembre 2022 https://drive.google.com/file/d/1kSi_8BDxQNIq44U4yzMb1MJc1Tcx2CID/view?usp=share_link

5 - Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi - FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, MILANO, 1968-1971: LE 2 UTOPIE CHE ABBIAMO ATTRAVERSATO - su Utopia21, settembre 2021 https://drive.google.com/file/d/1y-1G9dVnwBCyJJ3HVBYm8aU_mNSrmAzz/view?usp=sharing



[1] Secondo Ricolfi la parola meritocrazia risale ad un romanzo sociologico di M. D. Young, del 1958, che la descrive come un meccanismo distopico, ed è stata impropriamente traslata dagli intellettuali filo-Blair come Antony Giddens

[2] Avendola misurata di persona, come riferito su Utopia21 5, rammento che dal 1971 – proprio mentre si affacciava all’università la scolarizzazione di massa –fu sancito il divorzio tra quantità del bisogno (domanda di pre-salari) e quantità delle risorse (definite a priori e limitate) per tale specifico elemento del welfare (in controtendenza con le altre riforme ottenute negli anni ’70).

[3] L’Autore rimpiange l’influenza sul Partito Comunista Italiano degli anni ’50 di Concetto Marchesi, fiero sostenitore della permanenza del Latino, in una scuola classicheggiante, in cui i figli degli operai dovevano aspirare ad entrare; poi invece il PCI si accodò alla riforma del centro-sinistra, quasi priva del latino; il che fa pensare che Ricolfi forse rimpianga anche la vecchia Scuola di Avviamento Professionale

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