Suggestioni e perplessità sollevate dal “manifesto” proposto da Aldo Schiavone per una nuova sinistra universalista e “umanista” (ma poco attenta a clima e ambiente).
Di
Aldo Schiavone ho già recensito nel 2020 “Progresso” 1,2.
“Sinistra”
3 riprende alcuni concetti base del precedente saggio (che aveva uno
sguardo storico lungo quanto la specie umana):
-
la
consapevolezza delle potenzialità del progresso tecnologico per una completa
emancipazione dell’”umano”
-
l’ipotesi
di una nuova soggettività “impersonale ed universale”, capace di criticare e
superare i limiti storici della tecnologia incarnata nel capitalismo.
Concetti
che Schiavone inserisce ora in un ambizioso tentativo di definire un
“manifesto” per la Sinistra in Italia, che include da un lato una analisi del
quadro politico nazionale e internazionale (e in particolare della sinistra
post-comunista) dopo la caduta del socialismo reale e d’altro lato una
rilettura dei rapporti capitale/lavoro/tecnologia, su cui fondare una nuova
adeguata ideologia.
Il
testo è stato pubblicato durante la fase congressuale del Partito Democratico,
ed ha assunto una qualche notorietà mediatica, anche per l’entusiastico
apprezzamento da parte di Walter Veltroni (ed una più distratta attenzione da
parte del candidato segretario Stefano Bonaccini).
La
proposta di Schiavone per altro non è entrata in rapporto dialettico con le
mozioni congressuali, ma si sviluppa su un suo terreno più “alto”, affrontando però temi che a mio avviso
possono essere di utile riflessione nell’ambito delle sinistre.
Nelle
vicende della sinistra italiana dopo il 1989 Schiavone sottolinea soprattutto
il repentino abbandono di ogni strumento di critica (marxista) ai rapporti
sociali, senza alcuna riflessione su questo stesso abbandono (valutazione a mio avviso valida per i
gruppi dirigenti dei PDS, DS e poi PD, meno per l’insieme delle sinistre: ma ciò
con effetti pratici trascurabili).
Il
necessario ritorno alla analisi dei rapporti di produzione, secondo Schiavone,
deve avvenire in termini nuovi, secondo il seguente schema di lettura, che
esclude ogni riferimento alle vecchie “classi sociali”; anzi, escludendo
a-priori che sia ancora possibile la “lotta di classe”:
-
un
segmento di lavoro alto, qualificato, che si intreccia sempre più con il
capitale attraverso contrattazioni individuali in cui il salario sconfina nella
compartecipazione al profitto
-
una
fascia residuale di lavoro salariato tradizionale, sempre più marginale per
effetto di mutamenti tecnologici e delocalizzazione
-
un
inferno di precarietà e lavori dequalificati, subalterni e saltuari, ai limiti
della semi-schiavitù.
Mentre
il capitalismo, rinnovandosi al ritmo della tecnologia, realizza il “valore”
non più in proporzione alle quantità di lavoro incorporato nelle merci, ma
soprattutto per la quantità di tecnologia inclusa nei prodotti, sempre più
immateriali.
Riferisco più avanti
sulle mie perplessità riguardo a tali affermazioni.
Rilevo subito invece
quanto l’invito di Schiavone alla Sinistra, perché torni allo studio dei
rapporti di produzione, si vanifichi di fatto:
- sia a fronte di tali sommarie conclusioni
proposte dall’Autore,
- sia dalla successiva tesi
di Schiavone secondo cui lo stesso frenetico progresso tecnologico,
consustanziale ma anche conflittuale con i rapporti sociali capitalistici,
innescherebbe una “inquietudine”, un “inappagamento”, una “attitudine alla
ricerca del nuovo e del cambiamento” e finalmente ad una “specie di ragione
critica” che però “non corrisponde al punto di vista di un soggetto ben
individuato. E men che meno a quello della classe operaia. La forma liquida, a
legami deboli, della società contemporanea impedirebbe comunque identificazioni
così precise.” ---- Tale ragione critica
“è, invece, in quanto tale, patrimonio di tutto l’umano”.--
Stanti
i limiti intrinseci alle destre sovraniste e corporative, solo una nuova
Sinistra, universalista, ma anche capace di valorizzare le identità nazionali e
di promuovere dal basso una identità europeista, potrebbe raccogliere questa
spinta emancipativa (superando l’attuale comprensibile disincanto verso la
politica), e contrapporla al sistema di potere tecnocapitalista, a scala
sovranazionale.
Non
per riproporre però il vecchio e superato egualitarismo socialista, bensì per
porre barriere di natura “etica”, da cui derivare (attraverso opportune
tassazioni, locali e internazionali) le risorse per assicurare a tutti i
fondamentali beni comuni, tra cui l’istruzione, la sanità, il cibo, nonché una
forma sociale di lavoro, liberato dai ricatti semi-schiavistici del precariato.
Lasciando
libera, in parallelo, a quanto ho capito
(e certamente non condiviso), la dinamica capitalistica delle retribuzioni.
Nonché
il sistema di potere delle imprese, al di fuori di ciò che divenisse “bene
comune” (categorie verso cui l’Autore si
dimentica di citare ambiente, clima ed energia: una dimenticanza che mi sembra
grave nel XXI secolo).
Non mi dilungo sui
dettagli di questa visione utopistica, anche affascinante, sui beni comuni
sottratti al capitalismo (che è già presente in parte nel welfare
socialdemocratico e per altri versi in esperienze di autogestione più o meno
antagonistica), perché mi colpisce la grande debolezza teorica dell’Autore sulla
soggettività, direi quasi idealistica, di questa sinistra disincarnata dalle
condizioni sociali (che pure dovrebbe inutilmente studiare).
E penso che tale
debolezza sia connessa alla lettura che Schiavone fa del rapporto
capitale-lavoro, perché a mio avviso:
-
il segmento alto del
lavoro creativo rimane pur sempre in buona parte lavoro dipendente (così è in
Microsoft, Apple, Amazon, Google, ecc.), ed è in prospettiva aggredito
dall’impiego dell’Intelligenza Artificiale, più di quanto non lo sarà il lavoro
“tradizionale”, che in buona misura già è stato ristrutturato con la
robotizzazione;
-
il segmento intermedio
del lavoro tradizionale, seppur marginalizzato nel potere contrattuale e nel
ruolo politico, è ben lungi dallo scomparire, sia nei paesi occidentali che a
maggior ragione nel resto del mondo (basta guardare senza pregiudizi qualche
statistica nazionale ed estera);
-
la tecnologia
incorporata nei prodotti, più o meno immateriali, è comunque lavoro
incorporato, perché la tecnologia non può incorporarsi da sola (anche i Robot e
l’I.A. sono prodotti del lavoro umano);
-
la lotta di classe
marxisticamente classica è forse finita e irriproducibile, ma resta immanente
il conflitto oggettivo tra profitto e salari, tra capitale e lavoro, e i suoi
riflessi nelle strutture del potere.
Aggiungo che pressoché
nulla è l’attenzione di Schiavone per le problematiche ambientali, dal debito
storico del suo amato “Progresso” rispetto alle energie fossili che ne hanno
consentito lo slancio ‘finale’, al debito ambientale attuale dei paesi
sviluppati verso il resto del mondo, per concluderne che a mio avviso
“Sinistra” è un manifesto da conoscere soprattutto per muoversi ‘in direzione
ostinata e contraria’: ad esempio studiare sì il sistema di potere
tecnocapitalista, ma anche le sue relazioni con l’ambiente e con tutti i
soggetti sociali, variamente sfruttati, dominati e manipolati nel mondo, per
tentare ancora una volta di fondare alternative a partire dalle loro condizioni
oggettive e soggettive, per quanto frantumate e disperse esse siano od appaiano.
Considerando anche che
la crisi bio-climatica impone scadenze comuni a tutta l’umanità, ma forse più
sensibili per gli sfruttati, i dominati ed i manipolati, che non per gli
sfruttatori, i dominatori ed i manipolatori.
Fonti:
1.
Aldo
Schiavone – PROGRESSO – Il Mulino, Bologna 2020
2.
Aldo Vecchi - ALDO SCHIAVONE E IL PROGRESSO – su UTOPIA21,
novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1siZxLeu_EVYxsgHD_IQNoMVN0wXWrzga/view?usp=sharing
3. Aldo
Schiavone – SINISTRA! UN MANIFESTO – Einaudi, Torino 2023
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