Nel dibattito estivo sull’economia,
di cui ho recentemente scritto, mi è rimasto impresso però Luca Ricolfi, sulla
Stampa del 7 agosto, che – accusando gli altri commentatori di ribadire ricette pregresse (compreso il
collega Mario Deaglio, che ripeteva la tesi della “crisi di fiducia”) - ed astenendosi dal reiterare anch’egli la sua,
espressa poche settimane prima, e cioè che sarebbe stato necessario usare le
risorse degli “80 euro” per abbattere l’IRAP a favore delle imprese (e dimenticando anche, del che lo
ringraziamo, di riaffermare che lui è di sinistra; o forse non si dichiara più
tale, del che lo ringrazieremmo ancor di più), ha invece spiegato che tra
le principali ragioni della crisi ci starebbe il ripristino delle tassazioni
sulla casa (governi Monti e Letta), un’operazione che sarebbe disastrosa perché,
a fronte di un gettito di 15.000 miliardi, avrebbe determinato una frana
dell’ordine del migliaio di miliardi nell’edilizia e nel valore patrimoniale
degli immobili, rovinando le famiglie, che non riescono a vendere case e
perdono convenienza ad affittarle.
Anche se ho già approfondito in
passato questi ragionamenti, torno a confutare tale posizione, squisitamente
berlusconiana ed a mio avviso non solo per questo totalmente infondata.
Innanzitutto perché la famiglie
veramente rovinate sono quelle che – per carenza di reddito – in questa fase di
crisi subiscono sfratti da case in affitto oppure da case di cui non riescono
più a sostenere le rate di mutuo; e peggio ancora quelle che una casa decente
non l’hanno mai avuta o i giovani che
non riescono a procurarsela (e tutto ciò non dipende né dalla TASI né
dalla TARI).
In secondo luogo perchè la
tassazione patrimoniale sulle seconde case è in vigore, con poche variazioni,
dal lontano 1992, affiancata da una tassazione più variata sulle prime case, sospesa solo dal 2008 al 2011 e nel
2013: in questo lungo tempo si è assistito ad un grande ciclo espansivo
immobiliare (1997-2005), mentre nei periodi di maggior de-tassazione non si è
verificata nessuna ripresa (nemmeno drogata dalle “semplificazioni” del
piano-casa); ed è stata probabilmente l’eccessiva bolla speculativa degli anni
precedenti ad accentuare la crisi successiva al 2006, intrecciata con le note
cause internazionali della depressione (a ben guardare anche in America
influenzata all’origine dall’eccesso di produzione e mutui per l’edilizia
residenziale).
Inoltre, il nocciolo della
questione è come una tassa dell’ordine dell’1% annuo sul valore catastale possa
scardinare un mercato che si fonda, quando funziona in termini di redditi e
credito, su uno dei bisogni primari delle famiglie, sia per quanto riguarda la
prima-casa in proprietà, sia sugli alloggi in affitto da terzi proprietari, i
sui rendimenti sono certamente superiori al 3% annuo del valore patrimoniale effettivo (a sua volta superiore
al valore catastale), e quindi sono penalizzati solo parzialmente dalla
suddetta tassazione patrimoniale, pur sommata all’IRPEF (attenuabile al 21% con
la cedolare secca, ed ancor meno con i canoni concordati).
Per quanto riguarda le seconde
case (il cui declino a mio avviso non è da rimpiangere troppo, se si ha a cuore
anche la tutela del suolo e del paesaggio), mi pare ben più grave l’influsso
negativo dell’imposta di registro, che grava da sempre per il 10% circa
del valore delle transazioni (scoraggiando le compra-vendite) rispettoall’1%
max annuo di TASI (o ISI o ICI o IMU), che invece stimola dal 1992
all’uso oppure alla cessione del bene (se inutilizzato).
Se dipendesse da me anzi innalzerei l’imposizione patrimoniale per
finanziare una forte riduzione dell’imposta di registro, applicando questa solo
al maggior valore acquisito nel tempo (se breve), anziché al valore totale del
bene venduto (facilitando quindi la fluidità del mercato e penalizzando solo la
speculazione).
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