Tempi duri per il pacifismo,
anche se resta valido in campo, ove riesce ad essere presente, il pacifismo
pratico e militante di Emergency, dei Medici Senza Frontiere e di altri
encomiabili volontari, che mostrano il volto migliore dell’Occidente (ma i popoli
oppressi non dimenticano per questo le ingiustizie del dominio coloniale
europeo, rinnovato negli ultimi decenni dai soprusi del capitalismo globale e
neo-coloniale).
Oltre 10 anni fa, contro la
decisione anglo-americana di attaccare militarmente il regime di Saddam
Hussein, si era formato nel mondo un vasto schieramento di opinione pubblica, intrecciato
con la posizione cauta e saggia di alcuni governi europei e del Vaticano, ed
era sembrato che potesse influire sugli sviluppi diplomatici ed impedire l’inizio
della guerra.
Quel movimento aveva molte ragioni, come la storia ha poi
dimostrato (anche agli elettori USA, che hanno poi scelto Obama), sia riguardo
alle menzogne sulle armi di distruzioni di massa (che per fortuna l’Irak non
possedeva), sia riguardo agli esiti disastrosi della guerra, non solo in numero
di irakeni morti e feriti, ma anche per gli effetti di de-stabilizzazione dei
precari equilibri etnici e religiosi della regione mesopotamica e di
moltiplicazione (e non estinzione) dei focolai di rivolta jihadista, sia in
loco sia altrove (Africa, Europa).
Parimenti poco efficace e molto
coloniale la spedizione in Afghanistan, con una ambigua copertura dell’ONU (ed
una ancor più ambigua partecipazione italiana forzando l’interpretazione
dell’art. 11 della Costituzione).
In generale gli USA e
l’Occidente, ossessionati dal rischio del formarsi di “Stati-canaglia” (salvo
comportarsi come canaglie essi stessi, da Mossadeq al Vietnam, dal Cile al
Nicaragua e dintorni), hanno finito per favorirne l’insediamento; il che è
ambivalente, perché da un lato rafforza lo spirito e la logistica delle
rivolte, ma d’altro lato le rende più facile bersaglio (rispetto alle
guerriglie) ed inoltre è anche un modo perché gli estremismi si stemperino nel
confronto con la pratica quotidiana del governo e della ricerca del consenso
(vedi ad esempio Iran e lo stesso Vietnam).
(Disgustoso inoltre, ma anche
poco “producente” se non di vendette e spirito di rivalsa, l’assassinio di Bin
Laden ordinato dal premio Nobel per la Pace Obama, in luogo di una sua cattura
per sottoporlo ad un processo equo al tribunale dell’Aia).
Tra le vittime dirette della
guerra voluta da Bush e Blair (con l’appoggio anche di Aznar, Berlusconi, ed
altri), però, oltre a Saddam ed alla sua dittatura, bisogna contare anche lo
stesso pacifismo, inteso come movimento politico; per vincere, nel 2003,
avrebbe dovuto rafforzarsi al punto da influire a fondo sull’opinione pubblica
di USA e Gran Bretagna, i regimi democratici più antichi, ma anche tra i più intrisi
di classismo, razzismo e militarismo; così non è stato, e nel successivo
decennio le nostre bandiere della pace si sono consunte e risulta molto
difficile risollevarle per influire sulle sorti dell’umanità.
In particolare, nei conflitti in
corso, le mozioni pacifiste non possono trovare alcun ascolto diretto presso
aggressori del tipo ISIS ed altri aspiranti Califfati (ma nemmeno tra le
fazioni ucraine), né hanno alcuna
efficacia verso i governi occidentali, già indecisi sul da farsi, e certo più propensi
ad azioni militari limitate (bombardamenti e incursioni di commandos) o
indirette (armare i Curdi, come in precedenza si armarono i talebani contro
l’URSS e Saddam contro Khomeini, ed in realtà anche contro gli stessi Curdi…),
che non a sperimentare difficili operazioni di “polizia internazionale” come
l’ONU riuscì in passato a svolgere, con truppe di terra ad armamento leggero (e
non senza clamorosi insuccessi come a Srebrenica).
Personalmente resto affezionato
ai miei ideali pacifisti (che cercai anche
di “mediare” con la diffusa aggressività nei movimenti post-68), ma mi
duole constatare che la non-violenza segnala nella storia poche vittorie, oltre
a quelle grandiose di Gandhi, di Mandela e di Havel&C (tacendo però sui
loro eredi politici), avvenute in specifiche condizioni di territori occupati da potenze ed oligarchie
forse ormai “stanche”, e mancano sperimentazioni vincenti di resistenza
disarmata ad aggressioni militari “totalizzanti” (ad esempio, limitandosi al
‘900, Hitler e nel suo piccolo Mussolini, i Giapponesi in Cina, la Cina in
Tibet, Mladic&C, ecc.), quali sembrano essere gli attuali “Califfati”.
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GRAZIE
M.C.