domenica 19 luglio 2015

BIO-URBANISTICA A FAENZA, DI ENNIO NONNI & C.

Il volume “Biourbanistica –Energia e Pianificazione”, di Ennio Nonni (dirigente del comune di Faenza) ed altri autori  coinvolti nella pianificazione urbanistica ed energetica della città romagnola, edito dal Comune di Faenza e stampato nel 2013 dalla Tipografia Valgimigli di Faenza (pagine 224 in carta patinata con llustrazioni e testo a fronte in inglese) rientra nel progetto Europeo EnSURE, (Energy Saving in Urban Quarters trough Rehabilitation and New Ways of Energy Supply).

Di Ennio Nonni avevo già letto precedenti interventi sulle riviste dell’INU e dintorni, apprezzando in particolare la sua concretezza, legata all’esperienza militante di pubblico funzionario (simile alla mia, nel mio piccolo), e però connessa ad una visione urbanistica di ampio respiro, che ha anticipato di alcuni anni la tematica del risparmio del suolo, intrecciata con le problematiche energetiche ed ambientali (infatti Nonni auto-cita suoi testi del 1990).

Ora Nonni tenta una sintesi più ambiziosa di tali percorsi, introducendo il concetto di “bio-urbanistica”: come afferma il Sindaco Giovanni Malpezzi nell’introduzione del testo, “quanto messo in campo è il tentativo di evitare la semplificazione per cui se tutti isolano la propria casa, la città sarà più sostenibile e più attrattiva” (tema su cui ho avuto occasione di esercitarmi anch’io, sempre nel mio piccolo).

Il testo esplica puntualmente le operazioni svolte dalla città di Faenza per dotarsi di una peculiare pianificazione energetica, con analisi dettagliata dei tessuti edilizi (e – ad esempio –con ulteriore articolazione della classe energetica “G” nazionale, la peggiore, in ulteriori 6 sotto-classi, per meglio definire le condizioni e le azioni di intervento sui tessuti edilizi più datati e più dissipatori di energia), affiancando tale ricerca (che mi è sembrata accurata, ma non molto diversa da altri Piani Energetici Comunali), presentata da Federica Drei (funzionaria comunale) e Massimo Alberti (ingegnere consulente) con interessanti approfondimenti teorici di  Alessandro Rogora e Matteo Clementi (Politecnico di Milano), nonché Nicola Marzot (Architettura Ferrara), che evidenziano le interrelazioni tra consumi energetici, microclima, tipologie edilizie e morfologia urbana, mostrando come l’impostazione progettuale per la riqualificazione energetico-ambientale della città esistente debba affrontare olisticamente numerosi fattori anche conflittuali.

In particolare, il saggio del prof. Rogora pone al centro dell’attenzione (richiamando altri autori contemporanei, tra cui Sergio Los) il clima dell’ambiente urbano esterno ai fabbricati, cercando di definirne, attraverso un ampio excursus storico e geografico, una sorta di teoria generale alla ricerca del miglior equilibrio tra compattezza urbana e soleggiamento/ombreggiatura, particolarmente importante nelle fasce del globo a clima temperato, dove gli spazi urbani esterni sono potenzialmente più vivibili in modo sociale; l’Autore affronta le singole variabili: altitudine (assoluta e relativa, in situazioni vallive), ventilazione (naturale ed indotta dagli stessi insediamenti), acque superficiali, vegetazione ed alberature, in correlazione con le opzioni tipologiche e morfologiche (ad esempio case a torre e corti urbane alla maniera di Cerdà), ideali e reali, ed alle possibili modifiche, sempre assumendo come unità minima l’aggregazione urbana (la strada o la piazza) e non il singolo fabbricato. 

(La parte analitica di questo saggio mi appare illuminante e paragonabile alle lezioni del compianto Gianfranco Caniggia* sulle regole basilari degli insediamenti, in particolare riguardo ai crinali/versanti/fondovalle; un poco deludente è forse la parte finale, dove le proposte operative per i Regolamenti Edilizi si arenano su un  meccanismo di punteggi, poco gerarchizzato, per cercare di contemperare le diverse componenti conflittuali della progettazione; d’altronde anche in Caniggia la parte propositiva non è appagante come quella analitica).

L’intervento di Nicola Marzot si sviluppa con analoghe finalità, focalizzandosi sulle alternativa morfologiche per gli isolati urbani densi e sulla capacità degli stessi di generare ombra e ventilazione, illustrata attraverso esempi recenti di nuovi quartieri europei sorti (o progettati)  nel recupero di aree produttive dismesse.

Matteo Clementi espone criteri di valutazione ambientale per la progettazione degli interventi di trasformazione urbana impostati su un concetto di “sostenibilità forte”, con calcolo sia delle emissioni di CO2 che dall’impronta ecologica complessiva degli insediamenti, includendo tutto il ciclo dei consumi di risorse indotti dallo “stile di vita” degli abitanti, esemplificato su una ipotetica “persona media” di Faenza, e mostra l’incidenza di fattori come il trasporto privato, che possono essere ridotti solo con la nuova organizzazione di una città densa (e resiliente, citando ancora Sergio Los).

Nelle parti redatte direttamente, Ennio Nonni espone una compiuta proposta di “nuova urbanistica” che, marginalizzando le tecniche perequative (in quanto tipiche dell’urbanistica espansiva), da cui riprende però compensazioni ed incentivazioni, ed esaltando una seria valutazione ambientale (vedi sopra Clementi), non ridotta alla santificazione ex-post delle scelte di piano (come di frequente purtroppo avviene), affida in buona misura alla spontaneità dei singoli interventi (anche in auto-costruzione) il conseguimento di una nuova bellezza ed attrattività della città, attraverso l’imposizione di alcune fondamentali nuove regole e la contestuale liberazione da alcune vecchie regole errate.
Limitandomi alle indicazioni più originali (e dando per scontato quanto riguarda la sicurezza sismica ed idrogeologica, il risparmio energetico, ecc.), segnalo:
-          Recingere la città esistente con una cintura verde invalicabile (con il valore iconico e quasi sacrale delle mura medievali) e costringerla a crescere all’interno del recinto, soddisfacendo i nuovi bisogni con il riuso delle aree dismesse e/o sotto-utilizzate;
-          Riqualificare la campagna, finalizzandola alla produzione alimentare per la città, e sopprimere anche con incentivi di compensazione edilizia (in città) gli interventi edilizi sparsi, incongrui e dissipatori di energia trasportistica;
-          Favorire lo sviluppo degli orti urbani e di ogni forma di gestione creativa delle aree verdi, pubbliche e private;
-          Consentire la densificazione edilizia, sopprimendo gli obblighi di distanza tra fabbricati (restano però le norme nazionali) e gli indici di densità edilizia, e indicando solo allineamenti, altezze e coperture (nonché indici di permeabilità del suolo e di piantumazione minima), facilitando e quasi imponendo nel contempo il mix funzionale, soprattutto riguardo alle funzioni non residenziali nei piani terra fronte strada;
-          Sostituire le norme prescrittive con obiettivi prestazionali, dinamizzando così la progettazione  con incentivi qualitativi, premiando sia i miglioramenti ambientali  e sicuritari (es.  anti-sismici) sia quelli identitari (arte e attrattività urbana);
-          Generalizzare le alberature in tutte le strade e rallentare il traffico con la compresenza di varie funzioni ed utenze nelle aree stradali (senza specializzarle tra pedonali e veicolari, queste pericolosamente e inutilmente veloci);
-          Dare spazio all’arte ed ai creativi, comunque attratti da una città compatta e vivace, e capaci di renderla ancor più attrattiva.

Dall’insieme di tali complesse politiche innovative, secondo Nonni, matura una sinergica crescita della bellezza della città compatta e della qualità della vita, con miglioramento energetico anche riguardo ad una minore e migliore mobilità.
Nonni sostiene anche che i valori positivi insiti in queste scelte non sono soggettività estetiche, ma opzioni auto-evidenti: “si preferisce vivere a Siena o nella periferia nebulosa?” è per Nonni una sorta di domanda retorica.

Ed è qui che meno mi convince. Perché a mio avviso è invece palese che non solo per una congiura di immobiliaristi o di vetero-urbanisti, ma per una spontanea adesione degli utenti, il modello della villetta continua a permanere come mito antropologico, e non nascono facilmente nuove Siene.
(D’altronde non è escluso che un tessuto di villette sia dotato di viali alberati e gradevoli spazi pubblici, anche se restano tutti  i problemi trasportistici e sociali della basa densità). 
Non mi convince nemmeno la densificazione delle espansioni novecentesche attuata a colpi di interventi edilizi singoli, senza una pianificazione dettagliata di quartiere (anche come guida ad eventuale auto-costruzione): probabilmente è anche necessaria una potente leva finanziaria per acquisire immobili da demolire e/o accorpare e poi rivendere/ri-assegnare .
E a questo punto mi incuriosirebbe un sopralluogo a Faenza, perché gli “urbanisti condotti” sono molto più esposti alla verifica nei fatti degli urbanisti privi di responsabilità gestionali.
Infine mi sembra un po’ meccanico associare strettamente la battaglia per limitare il consumo di suolo con la delimitazione della città esistente: occorre forse una pianificazione d’area vasta, fondata sui flussi delle areee trasformabili, ma un po’ più flessibile, perché non ovunque coincidono la domanda di nuovi insediamenti  l’offerta di aree dismesse o sottoutilizzate (comprese le residenze del secondo dopoguerra).


*Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei “Lettura dell’edilizia di base” e “Il progetto nell’edilizia di base” Marsilio, Padova 1979 e 1984

1 commento:

  1. PERVENUTO VIA E-MAIL
    Gentmo Aldo Vecchi
    complimenti per la recensione.
    Per una visione più organica e che dovrebbe fugare i residuali dubbi ti segnalo la pubblicazione
    a mia firma edita dall'INU alcuni giorni fa :

    "Una nuova urbanistica: è possibile." pag 160 Inu edizioni Roma di Ennio Nonni

    A mio parere è necessaria infatti una revisione totale del modo di fare urbanistica, radicale e verificata
    nei fatti, al fine di discostarsi da quella marmellata di analisi, finzioni progettuali, chiacchiere dotte,
    mentre il degrado o meglio il non progetto avanza: è molto meglio accettare di conseguenza gli inevitabili
    e temporanei errori.
    Cordialmente
    Ennio Nonni

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