Il volume “Biourbanistica
–Energia e Pianificazione”, di Ennio Nonni (dirigente del comune di Faenza) ed
altri autori coinvolti nella
pianificazione urbanistica ed energetica della città romagnola, edito dal
Comune di Faenza e stampato nel 2013 dalla Tipografia Valgimigli di Faenza
(pagine 224 in carta patinata con llustrazioni e testo a fronte in inglese)
rientra nel progetto Europeo EnSURE, (Energy Saving in Urban Quarters trough
Rehabilitation and New Ways of Energy Supply).
Di Ennio Nonni avevo già letto
precedenti interventi sulle riviste dell’INU e dintorni, apprezzando in
particolare la sua concretezza, legata all’esperienza militante di pubblico
funzionario (simile alla mia, nel mio
piccolo), e però connessa ad una visione urbanistica di ampio respiro, che
ha anticipato di alcuni anni la tematica del risparmio del suolo, intrecciata
con le problematiche energetiche ed ambientali (infatti Nonni auto-cita suoi
testi del 1990).
Ora Nonni tenta una sintesi più
ambiziosa di tali percorsi, introducendo il concetto di “bio-urbanistica”: come
afferma il Sindaco Giovanni Malpezzi nell’introduzione del testo, “quanto messo
in campo è il tentativo di evitare la semplificazione per cui se tutti isolano
la propria casa, la città sarà più sostenibile e più attrattiva” (tema su cui ho avuto occasione di
esercitarmi anch’io, sempre nel mio piccolo).
Il testo esplica puntualmente le
operazioni svolte dalla città di Faenza per dotarsi di una peculiare
pianificazione energetica, con analisi dettagliata dei tessuti edilizi (e – ad
esempio –con ulteriore articolazione della classe energetica “G” nazionale, la
peggiore, in ulteriori 6 sotto-classi, per meglio definire le condizioni e le
azioni di intervento sui tessuti edilizi più datati e più dissipatori di
energia), affiancando tale ricerca (che mi è sembrata accurata, ma non molto
diversa da altri Piani Energetici Comunali), presentata da Federica Drei
(funzionaria comunale) e Massimo Alberti (ingegnere consulente) con
interessanti approfondimenti teorici di
Alessandro Rogora e Matteo Clementi (Politecnico di Milano), nonché
Nicola Marzot (Architettura Ferrara), che evidenziano le interrelazioni tra
consumi energetici, microclima, tipologie edilizie e morfologia urbana,
mostrando come l’impostazione progettuale per la riqualificazione energetico-ambientale
della città esistente debba affrontare olisticamente numerosi fattori anche
conflittuali.
In particolare, il saggio del prof.
Rogora pone al centro dell’attenzione (richiamando altri autori contemporanei,
tra cui Sergio Los) il clima dell’ambiente urbano esterno ai fabbricati,
cercando di definirne, attraverso un ampio excursus storico e geografico, una
sorta di teoria generale alla ricerca del miglior equilibrio tra compattezza
urbana e soleggiamento/ombreggiatura, particolarmente importante nelle fasce
del globo a clima temperato, dove gli spazi urbani esterni sono potenzialmente
più vivibili in modo sociale; l’Autore affronta le singole variabili:
altitudine (assoluta e relativa, in situazioni vallive), ventilazione (naturale
ed indotta dagli stessi insediamenti), acque superficiali, vegetazione ed
alberature, in correlazione con le opzioni tipologiche e morfologiche (ad
esempio case a torre e corti urbane alla maniera di Cerdà), ideali e reali, ed
alle possibili modifiche, sempre assumendo come unità minima l’aggregazione
urbana (la strada o la piazza) e non il singolo fabbricato.
(La parte analitica di questo saggio mi appare illuminante e
paragonabile alle lezioni del compianto Gianfranco Caniggia* sulle regole
basilari degli insediamenti, in particolare riguardo ai
crinali/versanti/fondovalle; un poco deludente è forse la parte finale, dove le
proposte operative per i Regolamenti Edilizi si arenano su un meccanismo di punteggi, poco gerarchizzato,
per cercare di contemperare le diverse componenti conflittuali della
progettazione; d’altronde anche in Caniggia la parte propositiva non è
appagante come quella analitica).
L’intervento di Nicola Marzot si
sviluppa con analoghe finalità, focalizzandosi sulle alternativa morfologiche
per gli isolati urbani densi e sulla capacità degli stessi di generare ombra e
ventilazione, illustrata attraverso esempi recenti di nuovi quartieri europei
sorti (o progettati) nel recupero di
aree produttive dismesse.
Matteo Clementi espone criteri di
valutazione ambientale per la progettazione degli interventi di trasformazione
urbana impostati su un concetto di “sostenibilità forte”, con calcolo sia delle
emissioni di CO2 che dall’impronta ecologica complessiva degli insediamenti,
includendo tutto il ciclo dei consumi di risorse indotti dallo “stile di vita”
degli abitanti, esemplificato su una ipotetica “persona media” di Faenza, e
mostra l’incidenza di fattori come il trasporto privato, che possono essere
ridotti solo con la nuova organizzazione di una città densa (e resiliente,
citando ancora Sergio Los).
Nelle parti redatte direttamente,
Ennio Nonni espone una compiuta proposta di “nuova urbanistica” che,
marginalizzando le tecniche perequative (in quanto tipiche dell’urbanistica
espansiva), da cui riprende però compensazioni ed incentivazioni, ed esaltando
una seria valutazione ambientale (vedi sopra Clementi), non ridotta alla
santificazione ex-post delle scelte di piano (come di frequente purtroppo avviene), affida in buona misura alla
spontaneità dei singoli interventi (anche in auto-costruzione) il conseguimento
di una nuova bellezza ed attrattività della città, attraverso l’imposizione di
alcune fondamentali nuove regole e la contestuale liberazione da alcune vecchie
regole errate.
Limitandomi alle indicazioni più
originali (e dando per scontato quanto riguarda la sicurezza sismica ed
idrogeologica, il risparmio energetico, ecc.), segnalo:
-
Recingere la città esistente con una cintura
verde invalicabile (con il valore iconico e quasi sacrale delle mura medievali)
e costringerla a crescere all’interno del recinto, soddisfacendo i nuovi
bisogni con il riuso delle aree dismesse e/o sotto-utilizzate;
-
Riqualificare la campagna, finalizzandola alla
produzione alimentare per la città, e sopprimere anche con incentivi di
compensazione edilizia (in città) gli interventi edilizi sparsi, incongrui e
dissipatori di energia trasportistica;
-
Favorire lo sviluppo degli orti urbani e di ogni
forma di gestione creativa delle aree verdi, pubbliche e private;
-
Consentire la densificazione edilizia,
sopprimendo gli obblighi di distanza tra fabbricati (restano però le norme nazionali) e gli indici di densità edilizia,
e indicando solo allineamenti, altezze e coperture (nonché indici di permeabilità
del suolo e di piantumazione minima), facilitando e quasi imponendo nel
contempo il mix funzionale, soprattutto riguardo alle funzioni non residenziali
nei piani terra fronte strada;
-
Sostituire le norme prescrittive con obiettivi
prestazionali, dinamizzando così la progettazione con incentivi qualitativi, premiando sia i
miglioramenti ambientali e sicuritari
(es. anti-sismici) sia quelli identitari
(arte e attrattività urbana);
-
Generalizzare le alberature in tutte le strade e
rallentare il traffico con la compresenza di varie funzioni ed utenze nelle
aree stradali (senza specializzarle tra pedonali e veicolari, queste
pericolosamente e inutilmente veloci);
-
Dare spazio all’arte ed ai creativi, comunque
attratti da una città compatta e vivace, e capaci di renderla ancor più
attrattiva.
Dall’insieme di tali complesse
politiche innovative, secondo Nonni, matura una sinergica crescita della
bellezza della città compatta e della qualità della vita, con miglioramento
energetico anche riguardo ad una minore e migliore mobilità.
Nonni sostiene anche che i valori
positivi insiti in queste scelte non sono soggettività estetiche, ma opzioni
auto-evidenti: “si preferisce vivere a Siena o nella periferia nebulosa?” è per
Nonni una sorta di domanda retorica.
Ed è qui che meno mi convince. Perché a mio avviso è invece palese che
non solo per una congiura di immobiliaristi o di vetero-urbanisti, ma per una
spontanea adesione degli utenti, il modello della villetta continua a permanere
come mito antropologico, e non nascono facilmente nuove Siene.
(D’altronde non è escluso che un tessuto di villette sia dotato di
viali alberati e gradevoli spazi pubblici, anche se restano tutti i problemi trasportistici e sociali della
basa densità).
Non mi convince nemmeno la densificazione delle espansioni
novecentesche attuata a colpi di interventi edilizi singoli, senza una
pianificazione dettagliata di quartiere (anche come guida ad eventuale
auto-costruzione): probabilmente è anche necessaria una potente leva
finanziaria per acquisire immobili da demolire e/o accorpare e poi
rivendere/ri-assegnare .
E a questo punto mi incuriosirebbe un sopralluogo a Faenza, perché gli
“urbanisti condotti” sono molto più esposti alla verifica nei fatti degli
urbanisti privi di responsabilità gestionali.
Infine mi sembra un po’ meccanico associare strettamente la battaglia
per limitare il consumo di suolo con la delimitazione della città esistente:
occorre forse una pianificazione d’area vasta, fondata sui flussi delle areee
trasformabili, ma un po’ più flessibile, perché non ovunque coincidono la
domanda di nuovi insediamenti l’offerta
di aree dismesse o sottoutilizzate (comprese le residenze del secondo
dopoguerra).
*Gianfranco Caniggia e
Gian Luigi Maffei “Lettura dell’edilizia di base” e “Il progetto nell’edilizia
di base” Marsilio, Padova 1979 e 1984
PERVENUTO VIA E-MAIL
RispondiEliminaGentmo Aldo Vecchi
complimenti per la recensione.
Per una visione più organica e che dovrebbe fugare i residuali dubbi ti segnalo la pubblicazione
a mia firma edita dall'INU alcuni giorni fa :
"Una nuova urbanistica: è possibile." pag 160 Inu edizioni Roma di Ennio Nonni
A mio parere è necessaria infatti una revisione totale del modo di fare urbanistica, radicale e verificata
nei fatti, al fine di discostarsi da quella marmellata di analisi, finzioni progettuali, chiacchiere dotte,
mentre il degrado o meglio il non progetto avanza: è molto meglio accettare di conseguenza gli inevitabili
e temporanei errori.
Cordialmente
Ennio Nonni