Welfare e diritto alla casa come “minimo
vitale”
Dopo la fine dei contributi Gescal (a metà
degli anni ’90) e anche grazie all’alta percentuale di famiglie pervenute alla
proprietà dell’abitazione (circa 80%), gli interventi pubblici per la casa si
sono ridotti ad entità irrisorie, lasciando così crescere numerosi e
differenziati fronti di fabbisogno e malessere abitativo: giovani coppie precarie, single, immigrati e fuori sede, nuove povertà
(divorziati, lavoratori “esodati”, inquilini morosi o sfrattati e mutuatari in
difficoltà).
Benché i problemi dell’abitare non vadano disgiunti dal più generale “diritto
a vivere” (lavoro e reddito, servizi e assistenza) e quindi al “diritto alla
città” (e alla sua auspicabile “bellezza” - vedi tra gli altri i testi di Graziella Tonon
e Giancarlo Consonni),
confrontandosi con i nodi complessivi dell’economia politica (sviluppo e
occupazione, salari e profitti, fisco, autonomie locali), ritengo che sia
essenziale per qualsivoglia intervento sugli assetti urbani la ri-affermazione
del DIRITTO ALLA CASA come diritto di cittadinanza (così recentemente anche il
Vescovo Cattolico di Roma, Papa Francesco), meglio se a livello europeo, e la
sua articolazione concreta, nelle norme nazionali e locali e nella prassi
urbanistica.
Anche se talvolta impoverisce l’azione e il dibattito su
aspetti quantitativi e burocratici, LA INDIVIDUAZIONE DI “STANDARD” HA
COSTITUITO SU DIVERSI FRONTI UNA IMPORTANTE TAPPA NELLA MATERIALIZZAZIONE DEI
“DIRITTI” E DELLE LOTTE PER OTTENERLI: così è stato per l’istruzione, con
l’obbligo scolastico al termine della scuola media unica (e sarebbe ora di rivedere in alto tale obiettivo, ancorché non sempre
raggiunto), per la connessa edilizia scolastica e per i discussi “standard
urbanistici”, ed il principio agisce, ad esempio, dall’Europa contro le
inadempienze italiane, per i minimi vitali dell’edilizia carceraria; funziona
tuttora, a livello nazionale, per la sanità, attraverso la definizione e l’aggiornamento dei L.E.A.,
Livelli Essenziali di Assistenza, purtroppo talora teorici, ma positivamente
UNIVERSALI.
Nel welfare italiano, piuttosto asimmetrico, mancano
invece altri standard minimi vitali, da quello centrale del lavoro e del
reddito, a quello per l’appunto altrettanto
fondamentale della CASA (forse perché tutti ci si ammala, mentre i “senza-casa”
ed i “senza-casa-in-proprietà” sono pur sempre delle minoranze).
Ritengo che LO STANDARD MINIMO RESIDENZIALE CORRISPONDA, OGGI COME
IERI, AD UN ALLOGGIO DIGNITOSO PER OGNI NUCLEO FAMILIARE, CON ALMENO UNA STANZA
PER PERSONA, ED IN CONDIZIONI DI NORMALE URBANIZZAZIONE ED ACCESSIBILITÀ AL
LAVORO ED AI SERVIZI.
A questo concetto elementare può corrispondere – sul territorio - una
gamma di “valori catastali” (una volta conclusa la lenta riforma in itinere e
come già anticipabile – volendo - sulla base della estensione in metri quadrati
e delle valutazioni collaudate dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare).
Fiscalità immobiliare ed incentivi
Partendo dalla suddetta definizione di un “minimo vitale residenziale”
(e tenendo anche in conto che la rigidità
del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà
dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce problemi di tipo nuovo, all’interno della
crisi economica in atto), per introdurre equità e flessibilità
nell’abitare, ed anche per reperire
una parte delle risorse necessarie alla
estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica
valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la
residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di
proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dalla TASI
(già ICI ed IMU) e dall’IRPEF, procedendo nelle seguenti direzioni:
-
per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di
case sociali a canoni adeguati, affiancata
- in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e
permanente contributo per gli affitti (da integrare con le altre politiche di
sostegno al reddito);
-
per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle
imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una
soglia pari al “minimo vitale” ed equivalente con la fascia di esenzione dalla
TASI per i proprietari (tale
detraibilità, per la nota legge del “contrasto fiscale”, dovrebbe anche aiutare
a far emergere gli affitti “in nero”);
-
per i redditi da locazione di abitazioni, la
cosiddetta ‘cedolare’ (cioè una percentuale fissa, indipendente dall’aliquota
marginale sul reddito del proprietario), ma limitata al “canone concordato”,
con tassazione normale della quota dei canoni eccedenti;
-
per i residenti in alloggi di proprietà, la
completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa, e la
conferma della TASI oltre il “minimo vitale”;
-
per gli acquirenti di abitazioni gravati da
mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di
permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del
mutuo alla conversione definitiva in locazione;
-
per gli immobili sfitti e inutilizzati, la
conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente
con il protrarsi del mancato utilizzo (ai sensi dell’art. 42 della Costituzione,
vedi ragionamenti di Paolo Maddalena) affiancata anche da incentivi alla
vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (come
sperimentato in Veneto);
-
sperimentazione di interventi degli ex-IACP
per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei
trasferimenti per lavoro.
Limitati ritocchi all’insù, ma in senso progressivo (nel tempo ed in
relazione alle consistenze patrimoniali), della TASI-IMU e dell’IRPEF sulle
case non usufruite dai proprietari (e loro parenti stretti, e trattando in modo
specifico le case di origine degli emigrati), potrebbero bastare per compensare
le maggiori spese derivanti dagli altri punti della proposta, ad eccezione del
primo (offerta di case sociali e sostegno ai costi di affitto), che richiede
invece un rilevante impegno sia del bilancio statale che delle risorse ed
iniziative a livello locale, ma che potrebbe forse giocarsi internamente alla
tassazione sul settore immobiliare, includendovi
le aree edificabili (tema che sviluppo altrove).
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