giovedì 23 giugno 2016

21^ TRIENNALE

Ho visitato due tra le principali mostre che caratterizzano questa 21^ Triennale, dopo 20 anni di sospensione, e sono rimasto abbastanza perplesso.
W. Women in Italian Design - Design Museum Nona Edizione“ a cura di Silvana Annichiarico, dopo una affascinante ma ambigua sala/gineceo di “pizzi e merletti” (le abilità tessili ovvero il  confino in cui a lungo è stata relegata la donna, non si capisce se rivendicato o da vendicare) espone, meritoriamente, oggetti di design realizzati in Italia da donne negli ultimi 100 anni (e cioè: quasi nulla e per lo più bambole e ninnoli fino agli anni ’50; poco dai ‘50 agli ’80, e spesso esibendo un paio di cognomi, di cui uno maschile; molto solo dopo il 2000), ma senza un raffronto (neanche numerico o riassuntivo) con l’altra (e finora preponderante) metà maschile del cielo, per cui risulta difficile capire il vero peso quantitativo e qualitativo della componente femminile nella storia nazionale del disegno industriale (ad esempio: quante donne  laureate nel settore nei vari anni e quante di loro affermate nella professione?; oppure quali evoluzioni grazie alle donne/progettiste sono emerse nelle tipologie dei prodotti, nelle soluzioni progettuali, nel modo di progettare e di produrre?).
Guardando gli oggetti esposti relativi agli ultimi decenni, e ripensando all’insieme del Museo del Design attualmente collocato alla Villa Reale di Monza (e sempre diretto da Annichiarico), mi sembra di capire che i designers di ambedue i sessi si stiano perdendo nella progettazione di cose inutili, intercambiabili con moda&arte, per clienti ricchi e annoiati, mentre il popolo – me compreso - va all’IKEA (e ci trova cosa in prevalenza utili e spesso ben disegnate, ma all’estero) oppure a Conforama (eccetera) e ci trova cose, sempre abbastanza utili, meno ben disegnate, che costano un po’ meno, e di cui la Triennale comunque non si interessa, anche se riempiono le case degli italiane e delle italiane, e ne condizionano gli stili di vita.
Allettanti, ma di dubbia scientificità, i temi dell’ultima sala, con schemi e test su cervello e percezione maschile/femminile e su e gli embrioni di analisi statistiche su pochi dati numerici relativi alla facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano.
STANZE. Altre filosofie dell’abitare a cura di Beppe Finessi, si compone di due parti:
-          La prima è una ampia ma superficiale carrellata, con una sola foto di una porzione di casa arredata (talora porzioni non significative) per ogni autore, riferita ai progettisti di interni italiani degli ultimi 80 anni   
-          La seconda è una rassegna alquanto delirante di “soluzioni abitative” realizzate specificamente in sito da autori contemporanei, accompagnate da testi ancora più autoreferenziali e deliranti (le “filosofie”), con la sola eccezione di una sorta di “bungalow per studenti”  proposto da Umberto Riva, un vecchio maestro che mostra ancora un ancoraggio con la realtà;
-          vecchio maestro è ormai anche Alessandro Mendini, che ha avuto il merito di svecchiare il clima negli anni ‘70/’80 con spiritose e simpatiche provocazioni, ma non capisco che senso abbia oggi – mentre 70.000 persone vagano senza-casa per le città italiane (e mentre la situazione carceraria continua ad essere più penosa che semplicemente penale) -  annunciare che lui si sente un po’ imprigionato e quindi impiega il suo stand per rappresentare una condizione di invivibilità in stile optical/ossessivo (una stanza a violente bande bianco-nere con feroce illuminazione): abbiamo ancora bisogno di simili provocazioni?
-          mentre Carlo Ratti(e Associati), giovane maestro di smart-city, presenta un mobile assemblaggio di sgabelli imbottiti, comandabile però da remoto smartphone (che utilità può avere, al di là di un single, che a metà serata, programmi di aver piacere al suo rientro di un divano ad una piazza piuttosto che a 2 o più piazze?);
-          l’unica istallazione con un cenno di attenzione alla tematica del cambio climatico e del risparmio energetico, --, si limita a recepire l’esistenza di moderni film fotovoltaici, e li spalma in fasce parallele su pareti esterne totalmente vetrate (che a mio avviso rendono invivibile lo spazio per usi residenziali, mancando ogni controllo su luce esterna e visioni dall’esterno), con dentro un arredo del tutto indifferente a clima/risorse/rinnovabilità.
Capisco e rispetto la libertà di ricerca e di espressione, l’impossibilità di definire confini tra architettura ed altri arti, ecc. ecc. (e anche il peso della progettazione e progettazione di oggetti di lusso nel PIL di Milano, Monza e Brianza) ecc. ecc., ma mi chiedo anche se questa rassegna rappresenta la progettazione di interni in Italia oggi: perché in tal caso significa che nessuno si preoccupa di cosa sta progettando, per chi sta progettando, di quali sono i problemi delle persone comuni, tanto in Italia quanto peggio nei paesi emergenti ed in quelli in via di sommersione, e di come cambieranno nei prossimi decenni, tra crisi economica e crisi ecologica.

Nel mio piccolo non mi sono mai occupato di interni in quanto tali, se non per arredare sobriamente edifici pubblici (oppure casa nostra), ma sono abbastanza fiero, come architetto e funzionario, di avere speso il mio tempo per fognature, semafori, marciapiedi, cimiteri, case popolari, centri sociali ed altre cose più utili alla comune umanità.

3 commenti:

  1. PERVENUTO VIA FACE-BOOK
    Le ho viste anch'io e sarei ancora più critica di te. Ormai la Triennale espone (malamente) solo un design decadente ,tutto luccichii di pessimjo gusto, che si vanta dell'assoluta mancanza di funzionalità e buonsenso. Non parliamo della mostra sul design al femminile che meriterebbe una denuncia. La gente giustamente va all'Ikea e trova un desigtn semplice, lineare e funzionale con un ottimo senso dello spazio. Cosa dire? i soldi di queste orrende mostre chi li paga?
    C.C.

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  2. PERVENUTO VIA E-MAIL
    triennale ( e ciò che ne sta attorno): l'Architettura è morta anche se non escludo quello strano processo per cui dalle ceneri risorge un qualcosa (l'architettura e ciò che le sta attorno sono sovrastrutture della società, pertanto se questa si decompone, ne consegue..per farla breve.).
    Sul design che poi significa per i nordici progetto ma per noi sgabelli, poltrone, caffettiere ed altro, da tempo evito le frequentazioni; mi bastano le rassegne tele-visive per affermare: "ancora lì?" del resto si continua,anche se sottovoce, nella "ricerca sulla casa" o abitazione. Ri-cerca? ancora non si è trovato dopo 50 anni? Però!
    Dunque.Inutili forse anche al mercato.
    M.F.

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  3. PERVENUTO VIA E-MAIL
    Mi è piaciuta molto la tua conclusione nel testo sulla triennale. Condivido pienamente.
    M.P.

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