A fronte della faticosa
gestazione del nuovo governo 5Stelle/Lega, molti commentatori hanno già
evidenziato le anomalie di metodo rispetto al dettato costituzionale (da ultimo
riguardo al rispetto del ruolo del Presidente della Repubblica nella nomina sia
del Primo che degli altri Ministri); mi pare di poter sottolineare che in
questi comportamenti affiorano molte analogie con le abitudini in atto nella
cosiddetta Prima Repubblica per la formazione di governi di coalizione
(abitudini attenuate ma non scomparse nel periodo delle leggi elettorali
maggioritarie, tra il 1994 ed il 2013, cosiddetta Seconda Repubblica):
- gli
accordi di governo comportavano lunghe negoziazioni preliminari sui programmi
(e non solo sulle “poltrone”: un ministero del Bilancio affidato al socialista
Antonio Giolitti, negli anni 60 o 70, ad esempio, implicava precise, anche se
poi spesso disattese, concessioni della DC in materia di politica economica),
anche se non assumevano la forma quasi privatistica del “contratto”, ma quella
più sfumata delle “dichiarazioni programmatiche” (la riduzione di 7 decenni di
storia repubblicana ad un mero balletto di poltrone mi sembrerebbe una
inaccettabile caricatura);
- il
“manuale Cencelli” per la spartizione ed il bilanciamento delle cariche parlamentari,
governative e sotto-governative vigeva allora come vige oggi, perché è una
oggettiva legge della politica, salvo che dagli anni ’40 ad oggi nessuno aveva
promesso di trasmettere tutte le trattative in diretta streaming, mentre oggi
chi lo ha promesso ha anche poi rapidamente cancellato tale dogma;
- il
ventilato “comitato di conciliazione” tra gli alleati di governo per dirimere
eventuali controversie, assomiglia parecchio, in sostanza, alla tradizione
delle “verifiche di maggioranza” in cui i maggiorenti dei partiti sottoponevano
Governi e Ministri (ma anche Sindaci e Assessori, ecc., un po’ meno dopo le
leggi sull’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione).
Quanto sopra a mio avviso può
attenuare lo scandalo per gli strappi istituzionali (anche se vigilare è
comunque opportuno da parte dell’opinione pubblica, che ad oggi però può
contare sul Presidente Mattarella), ma
evidenzia quanto poco di nuovo ci sia – sotto questo profilo – nel conclamato
“Governo di Cambiamento”.
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Riguardo ai contenuti, con
riserva di un esame approfondito del programma governativo sotto il profilo
della “sostenibilità ambientale”, la maggior parte dei commentatori (tra cui
gli autorevoli professori Cottarelli e Perotti) ne ha evidenziato la probabile
insostenibilità economica, che potrebbe tradursi in una insostenibilità sociale
quando l’Italia cominciasse a risentire dei contraccolpi finanziari evocati
dall’allegro ricorso ad un ulteriore indebitamento, anche se a breve termine potrà
prevalere il consenso demagogico alle diverse promesse elettorali enunciate. Il
“cambiamento” promesso è vasto, resta da vedere quanto sarà attuabile quanto (poco?) sarà apprezzabile; perché
propone alcuni rimedi agli effetti del neo-liberismo, mentre ne rafforza gli
elementi strutturali (disuguaglianze).
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Mi pare invece che si possa
esprimere di già qualche giudizio sull’asse politico del contratto
programmatico tra Lega e 5Stelle, valutando ciò che effettivamente unisce le 2
componenti, oltre alla semplice sommatoria delle rispettive istanze
programmatiche (pur talora contraddittorie), che ciascuna parte cercherà di far
valere dalle postazioni ministeriali conquistate (Salvini agli Interni contro i
migranti; Di Maio al Lavoro per il reddito di cittadinanza, ecc. ecc. ecc.).
Per una valutazione di questo
genere, a mio avviso occorre risalire a monte della crisi economica dell’ultimo
decennio, e cioè alle radici del declino delle democrazie parlamentari (nonché
in particolare delle forze politiche socialdemocratiche) e degli stessi stati
nazionali, manifestatosi sul finire del Novecento, a fronte della
globalizzazione e dell’offensiva neo-liberista.
Le risposte tentate, con qualche
parziale successo dagli anni ’90 fino a ieri, dal multiforme schieramento del
Centro-Sinistra italiano, sono consistite da un lato nel rafforzamento delle
istituzioni sovranazionali (Europa innanzitutto, ovvero una nuova sovranità
condivisa e con dimensioni adeguate al mondo contemporaneo, ma anche ONU, WTO,
ecc.) e dall’altro lato in una riforma del sistema politico nazionale
(primarie, leggi elettorali maggioritarie, bipartitismo, aggiornamenti della
Costituzione). Senza una sostanziale alternativa, ma solo parziali
attenuazioni, rispetto alle politiche economiche neo-liberiste
Alle loro origini, i due
movimenti, che ora convergono al Governo, hanno incarnato invece due divergenti
possibili correttivi:
- la Lega, quando era Nord, aveva
raccolto l’egoismo sociale delle provincie più ricche sotto le bandiere delle
identità locali e del federalismo (non antagonistico alla ”Europa delle
Regioni”, ma contrapposto a “Roma Ladrona”),
- i 5Stelle, allo stato nascente,
avevano polarizzato il rancore diffuso contro “la casta” in direzione della
democrazia diretta (uno-vale-uno, i portavoce a rotazione, la diretta
streaming, le votazioni in rete).
Entrambe queste posizioni sono
state progressivamente o repentinamente abbandonate e superate, senza un
granché di spiegazioni (anche se permane
un ministro senza portafoglio “alla democrazia diretta”, e e talvolta circa
quarantamila fedelissimi della piattaforma Rousseau vengono chiamati a
ratificare le scelte dei vertici del non-partito, decidendo per conto di
milioni di elettori), assumendo come elemento unificante e caratterizzante
la contrapposizione allo spirito solidaristico sovranazionale, ed in
particolare verso l’Europa e verso i profughi e migranti.
In particolare il cemento
sovranista che unisce Lega e 5Stelle (e sull’onda dell’entusiasmo anti-europeo,
ora attrae anche i Fratelli d’Italia) si alimenta del disagio provocato dalla
crisi e lo indirizza “contro la Germania”, fomentando un vittimismo
nazionalista che ricorda (spero ripetendola in farsa, e non in tragedia) la
sindrome della “vittoria mutilata”, che dopo la prima guerra mondiale polarizzo
l’insoddisfazione dei combattenti-e-reduci verso i complotti delle potenze dominanti
(Francia, Gran Bretagna, USA).
(Dimenticando che il più grande
debito pubblico d’Europa è stato accumulato nei decenni dagli stessi Italiani,
votando Andreotti&C, Craxi, e da ultimo Berlusconi).
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Non escludo che il declino della
democrazia rappresentativa e del welfare state (sullo sfondo dei limiti
ecologici del pianeta) comporti la ricerca di nuove strade (democrazia
inclusiva di piccole comunità in orizzonti universalisti pacifici?); il ritorno
al nazionalismo va nella direzione opposta e reazionaria: è di certo un
“cambiamento”, di certo non è il mio “cambiamento”.
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RispondiEliminaGrazie per aver condiviso le tue riflessioni.
M.P.
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RispondiEliminaCaro Aldo,
concordiamo su quanto scrivi, punto per punto.
Grazie.
G&G
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RispondiEliminaDopo passaggi da “tragedia” con tanto di accusa di tradimento a Mattarella, eccoci alla soluzione proprio in vista del 2 giugno, in tempo massima per unificare tutti, o quasi, in celebrazione della Repubblica. Le forme della democrazia soffrono e ne è un risultato questa fase di consultazione per formare un governo, il presidente del consiglio scelto dai due “azionisti”, riunioni informali, e drammatizzazione su Savona. Sempre i presidenti hanno posto problemi su qualche ministro proposto anche se il fatto non era ben conosciuto e trapelava fuori dal Quirinale. Bene! Riassumendo, “ dal dire al fare c’e’ di mezzo il mare” , vedremo i fatti, per ora vedo una compagine contraddittoria, si può anche dire che per certi aspetti destra e sinistra sono davvero superate; certo quello che mi piace meno è Salvini anche se in questi momenti sembra un po’ moderato, saluti
A.P.
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RispondiEliminaCondivido.
Ciao.
gb.
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RispondiElimina..dunque stiamo a vedere!
ciao
M.F.
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RispondiEliminaGrazie per l'acuta analisi della situazione presente e ... passata.
E.P.
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RispondiElimina….quanto al governo del cambiamento, concordo con quanto scrivi ed aggiungo che il vero cambiamento mi sembra il seguente.
Il ruolo della politica è stato raccordare ed integrare legittime richieste individuali e di categoria in un quadro unitario dettato dalle esigenze nazionali, o meglio dall'interpretazione delle esigenze da parte della coalizione di governo. In questo consisteva il ruolo di governo, con una componente pedagogica: ti convinco che esistono altre esigenze, compatibilità, relazioni internazionali, con cui bisogna costruire equilibri.
Ora invece, vedi intervento di Di Maio alla Confcommercio, con chiunque parli li convinco che le loro esigenze saranno soddisfatte, al pari di tutte le altre, anche se incompatibili. E' la rinuncia a fare politica, a collegare tanti spezzoni di società in un disegno collettivo unitario, ed al ruolo pedagogico che ogni autorità istituzionale dovrebbe avere. E 'il "collasso della politica" che segue anziché dirigere, di cui parlava Roberto Esposito in un articolo su Repubblica ....
F.F