venerdì 15 giugno 2018

UTOPIA21 - MAGGIO 2018: INTERVISTA A MARIO VARALLI SULLA STORIA DEI VETRAI SESTESI




In connessione con il dibattito sulla trasformazione del lavoro che è in atto e sulle ipotesi di ulteriori salti qualitativi, che UTOPIA21 sta sviluppando (anche in relazione al Festival dell’Utopia 2017 in Varese), questa intervista a Mario Varalli, in quanto storico del movimento operaio e socialista a Sesto Calende, cerca di enucleare i motivi e le modalità della svolta nei rapporti di lavoro che maturò a cavallo tra Ottocento e Novecento, in particolare nella categoria dei vetrai, ed i successivi sviluppi nel secolo seguente, con il conseguimento di obiettivi che allora parevano largamente utopici come il primo contratto collettivo nazionale di lavoro per una categoria e la formazione di una grande cooperativa di produzione

Sommario:

-       L’industria del vetro a fine Ottocento a Sesto Calende ed in generale in Italia

-       Rapporti di lavoro e gerarchia professionale

-       Dai contratti di lavoro individuali e stagionali (e nomadi) al primo contratto nazionale di categoria nel 1901; contenuti specifici del contratto

-       La Federazione dei Bottigliai e le altre forme di organizzazione sociali, politiche e culturali a Sesto Calende

-       La Fondazione della Vetreria Operaia Federale, con 6 stabilimenti in Italia nel 1910, tra cui Livorno e Sesto Calende; la successiva crisi da cui si salva a Vetreria di Sesto

-       Il ruolo degli agitatori socialisti e il solidarismo dei vetrai

-       La resistenza al Fascismo e la trasformazione della Cooperativa in Società per Azioni; l’assorbimento in gruppi privati negli anni ‘60

-       Riflessioni sugli echi di questa e di altre simili esperienze di autogestione nel cooperativismo di oggi e nella trasformazione delle imprese

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 PER LE IMMAGINI, VEDI "UTOPIA21" SUL SITO www.universauser.it



 Nel seguito D) segnala una mia domanda R) la risposta di Varalli.



PREMESSA: Data la scarsa conoscenza dei fatti storici e la difficoltà di accedere a parte della bibliografia, si è ritenuto necessario inserire qua e là qualche breve riassunto, tratto dalla bibliografia, a cura dell’intervistatore.  



RIASSUNTO PRIMO
Negli ultimi decenni dell’Ottocento si estese nel Verbano, sulla scorta di antiche tradizioni e della disponibilità di materie prime, l’industria vetraria (in prevalenza orientata verso la produzione di bottiglie, damigiane, bicchieri) che però era essenzialmente fondata sul lavoro manuale e sulla soffiatura del vetro fuso, come nei due precedenti millenni: una lavorazione artigianale, ma applicata a scala industriale con riguardo alla serialità della produzione, all’ingente peso degli investimenti – soprattutto per i forni – ed ai rapporti di lavoro ed alle modalità di commercializzazione, che nell’Ottocento erano  ormai divenuti di tipo capitalistico.
L’organizzazione del lavoro era stata inizialmente fortemente corporativa, con trasmissione ereditaria del sapere e del ruolo dei “maestri vetrai” (o “monsu’”, per le ascendenze francesi di asserita nobiltà) e fortissimi differenze di ruolo e di retribuzione e di orari tra questi, i loro primi aiutanti o “gran garzoni”, i subalterni “levavetro” (a contatto più diretto con il fuoco) e giù giù a figure ausiliarie, comprendenti donne e bambini.
Per tutti quanti i contratti erano individuali e stagionali (la “campagna lavorativa” escludeva i mesi estivi), anche con trasferimenti in regioni remote, e non c’era previdenza né per malattie ed infortuni né per le pensioni.
Nella lotta per la conquista del primo contratto, e nel contratto stesso, comparvero strumenti ed istituti molto lontani dalle nostre esperienze negli ultimi decenni: scioperi ad oltranza sorretti da collette, boicottaggio verso le aziende più aggressive e che utilizzavano i “crumiri”, esercizio “monopolistico” da parte delle stesse leghe sindacali del collocamento dei lavoratori, autogestione delle prime forme di previdenza sotto forma di cassa mutua.



D) Nel raccontare l’esemplare (e a mio avviso anche  commovente) vicenda dei vetrai sestesi dalla fine dell’Ottocento, Tu segnalavi, nel 1993, che queste pagine peculiari nella storia del movimento operaio (i vetrai furono la prima categoria ad ottenere un contratto collettivo nazionale di lavoro, nel 1901) erano state trascurate dagli storici  a scala nazionale, con la sola eccezione di Alessandro Marianelli1 (le cui opere segnaliamo tra le fonti di questa intervista, anche se le trovo assenti dal sistema bibliotecario varesino, mentre vi si possono reperire gli scritti Tuoi2,3,4 e quello di Gianni di Bella5): Ti risulta che sia ancora così? Dove si possono consultare i documenti originali, come le raccolte dei periodici sindacali dei “bottigliai”?



R) Alessandro Marianelli è tuttora il massimo storico dei vetrai italiani. Il suo lavoro principale, ”Proletariato di fabbrica e organizzazione sindacale in Italia all'inizio del secolo: il caso dei lavoratori del vetro”,1 purtroppo manca sia nel Sistema Bibliotecario Urbano di Varese che nella Rete Bibliotecaria Provinciale di Varese. E' però disponibile a Milano in diverse sedi (come specificato nella NOTA A, ove sono elencate altre sue opere connesse, di cui una reperibile a Varese).

   Ricordo che il professor Marianelli è stato ospite a Sesto Calende, il 20 marzo 1994, al convegno “Il passato per il futuro. 90° di fondazione della Vetreria Operaia Federale”, promosso dalla Cooperativa “La Proletaria” e dall'Ente Autonomo pro Cultura Popolare, dove ha svolto la relazione “La Federazione Bottigliai nella storia del movimento operaio italiano”.

   Dopo è uscito uno studio di Massimo Sanacore, dell'Archivio di Stato di Livorno, “Capitalisti e imprese del vetro a Livorno dall'unificazione alla prima guerra mondiale“  sulla rivista “Nuovi Studi Livornesi”, vol. II, 1994 che, pur essendo incentrato sulla città labronica, tratta in generale della Vetreria Operaia Federale.

   Non conosco altre opere degne.

   Fonte fondamentale sulla storia dei vetrai a bottiglie è il periodico “La Bottiglia”, organo della Federazione Italiana dei Bottigliai, consultabile presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze o la Biblioteca Civica A. G. Barrili di Savona.



D) Di fronte alla rigidità corporativa dei “Monsù”, come riuscirono Ernesto Varalli (Tuo nonno) ed altri vetrai sestesi a superare il livello di “gran garzoni”?



R) Nelle vetrerie a bottiglie l'unità lavorativa era chiamata piazza (cioè lo spazio antistante la bocca del forno) ed era composta da quattro lavoratori: il levavetro che immergeva la punta della canna nella massa in fusione ed estraeva la quantità di vetro necessaria a fare la bottiglia e la passava al grangarzone che iniziava la soffiatura, il maestro poi realizzava la bottiglia, infine il portantino la trasportava nel forno di ricottura detto ferrazza. Marx, nel Capitale, prende proprio la piazza come esempio di manifattura organica. Il lavoro era parcellizzato, rigidamente gerarchico, con alla testa il maestro, responsabile dell'ordine della piazza e della produzione e gratificato da un livello salariale superiore alla media. Il sistema della soffiatura a canna è rimasto inalterato dal I secolo dopo Cristo e ciò ha consentito la permanenza tra i vetrai di un residuo di corporazione medioevale con la trasmissione ereditaria del mestiere, che veniva chiamata casta. Fino a tutto Ottocento solo i figli dei vetrai delle varie categorie potevano fare apprendistato con il padre. Questa situazione cambia con il nuovo secolo, con iniziativa separata ma convergente dei datori di lavoro e dei prestatori d'opera (oppure padroni e lavoratori, se vogliamo evitare il "terrore semantico" e il "risarcimento linguistico" disapprovati da Tullio De Mauro e Andrea Camilleri). Ai primi conveniva l'allargamento dell'apprendistato e il passaggio da una mansione all'altra per avere a disposizione una maggiore quantità di mano d'opera e ridurre quindi la forza contrattuale dei maestri. Fra i secondi si diffondono i principi socialisti di uguaglianza e solidarietà di classe e infatti al congresso di Livorno del 1900, nel quale viene fondata la Federazione Italiana dei Bottigliai, viene abolito il privilegio dell'ereditarietà, il principio ugualitario socialista predicato dall'apostolo dei vetrai Giuseppe Emanuele Modigliani prevale sul concetto della casta.

     Il mio bisnonno Luigi Pedretti, nato nel 1863, pur essendo capace di svolgere il lavoro del maestro non poteva averne la qualifica e non lo poteva esercitare, non essendo figlio di maestro, ed era inchiodato alla mansione di grangarzone. A fine Ottocento si trovava a fare la campagna, così si chiamava il contratto annuale, alla Vetreria Rachetti di Torino e i vicini di casa lo chiamavano monsù, appellativo che spettava ai maestri; questo per dire come le cose stavano cambiando nella mentalità comune.

     A Sesto, il primo colpo alla casta è inferto, già nel 1881, alla Vetreria Bertoluzzi di Sant'Anna dalla proprietà: il cambiamento del vecchio forno con uno più moderno richiede maggiore personale e così dei portantini sono promossi levavetro e dei levavetro grangarzone.

     Comunque sarà poi l'introduzione delle macchine che porrà fine allo status sociale privilegiato dei maestri.



D) Con una situazione di partenza così caratterizzata dalle diversità gerarchiche tra i lavoratori, come fu possibile in pochi anni (tra il 1897 ed il 1901), sebbene con alterne vicende, costituire organizzazioni unitarie, inclusive anche delle figure professionali più umili? Senza un precedente in Italia, era un’utopia arrivare ad un contratto collettivo nazionale di lavoro? Quanto pesavano le condizioni materiali e quelle culturali dei lavoratori (la diffusa provenienza dal mondo contadino, la netta separazione rispetto ai ceti più elevati, l’alfabetizzazione promossa con fatica dopo l’Unità d’Italia) e quanto la predicazione dei primi “apostoli del socialismo”?



                      



              Figure 1 e 2: Ernesto Varalli e Giuseppe Emanuele Modigliani     



R) I vetrai lavorano con un contratto individuale annuale e, terminata la campagna, facilmente si spostano in un'altra vetreria dove c'è lavoro o retribuzione più interessante, questo fenomeno è chiamato nomadismo. Questi continui spostamenti, in Italia o all'estero (a Bilbao ci sarà una sezione della Federazione Italiana dei Bottigliai), rendono i vetrai più colti rispetto agli altri lavoratori, nel caso di Sesto rispetto ai contadini o alle operaie tessili che vivono in un ambiente ristretto. Girare per vetrerie consente di vedere ambienti nuovi, conoscere gente, frequentare vetrai italiani o stranieri (in Italia vengono ad esempio vetrai dalla Prussia) e conoscere esperienze di organizzazione proletaria. A questo si aggiunge la predicazione e l'azione sindacale dei socialisti. Nel caso dei bottigliai, alla loro testa c'è un grande personaggio, Giuseppe Emanuele Modigliani, un uomo che, rinunciando alla vita tranquilla e agiata che gli avrebbe potuto procurare la professione di avvocato, dedica l'intera vita all'emancipazione della classe lavoratrice, subendo carcere, aggressioni fasciste, esilio e povertà. A quei tempi non c'era l'incompatibilità sindacale vigente oggi e i socialisti operavano, come si diceva allora, nell'economico e nel politico, cioè svolgevano contemporaneamente attività di partito e sindacale. Modigliani ha organizzato, nel tempo, scalpellini, scaricatori del porto, contadini, metallurgici, tranvieri e, quello che interessa a noi ora, i bottigliai ai quali ha portato i principi socialisti dell'egualitarismo e della solidarietà.

     L'utopia del contratto collettivo nazionale di lavoro è progettata al congresso di Livorno del 1900, con l'obiettivo della conquista entro due campagne e ridiscussa al congresso di Sesto del 1901. Allora Modigliani si trovava a trattare con gli industriali vetrari divisi in due gruppi, denominati Il Vetro e Fabbriche Vetrarie Consorziate in concorrenza tra loro. La situazione era resa ulteriormente difficile, anzi grave, dal fatto che il Vetro aveva deciso di introdurre il lavoro a macchina dimezzando il personale e abbassando il salario a un terzo e di conseguenza le Consorziate, prive di macchine, avrebbero dimezzato la produzione e il personale. Quindi Modigliani, con mossa dettata da intelligente pragmatismo, restringe la trattativa alle Consorziate con le quali conclude un contratto collettivo basato su punti significativi: tariffa unica nazionale deliberata del congresso di Sesto, riduzione della sperequazione tra qualifiche, riduzione del turno da otto a sei ore per occupare maggiore personale ed esclusiva della Federazione nel collocamento. E nelle vetrerie della Vetro viene proclamato lo sciopero generale a tempo indeterminato. Questo nel 1901.



D) Quali furono i limiti del contratto del 1901, sia riguardo alla estensione ai vari gruppi aziendali, sia riguardo alla durata temporale?



R) Nel 1904 le Consorziate acquisiscono la Vetro, con la conseguente estensione del contratto collettivo e così finisce lo sciopero che era durato ben tre anni. A questo punto il contratto valeva per tutte le principali vetrerie a bottiglie italiane.

     Il contratto collettivo nazionale aveva valore annuale, come annuale era la durata della campagna, solitamente dall'inizio di settembre alla fine di giugno (in estate venivano rifatti i forni per la corrosione subita dal materiale refrattario). 



D) Dai Tuoi testi emerge una stretta connessione, nel periodo da fine Ottocento alla Prima Guerra Mondiale, tra le attività più strettamente sindacali dei vetrai sestesi, la nascita di altre leghe di lavoratori, la crescita della sezione del Partito Socialista e la fondazione della Cooperativa di Consumo “La proletaria”, nonché dell’Ente Autonomo pro Cultura Popolare (biblioteca, banda musicale,  corsi e conferenze): che rapporto c’era con le altre forme associative preesistenti, come la Società Operaia di Mutuo Soccorso, le tradizioni mazziniane/garibaldine e – quasi contrapposto - il mondo cattolico?



R)  La Società di Mutuo Soccorso è espressione di una benemerita filantropia borghese ed è presieduta da Carlo Bertoluzzi, l'industriale vetrario di Sant'Anna. Nel 1905 "Popolo e Libertà", il settimanale socialista del Gallaratese, pubblica una lettera aperta di un bottigliaio che afferma essere Bertoluzzi indegno di ricoprire la carica di presidente causa il suo comportamento antisindacale, infatti allora la vetreria di Sant'Anna aveva rifiutato l'applicazione del contratto nazionale, era boicottata dai vetrai e aveva ingaggiato crumiri provenienti dall'estero. Poi, nel 1908, i lavoratori conquistano la maggioranza del consiglio di amministrazione della Società che diventa un ulteriore tassello dell'egemonia socialista nella Sesto del primo ventennio del secolo.

     Non c'era amore tra vetrai e preti, i vetrai erano tutti socialisti e abbracciavano quell'orientamento culturale del socialismo di cent'anni fa che vedeva una netta contrapposizione tra socialismo e Chiesa, che era poi l'antitesi tra progresso sociale e conservazione. Il Primo Maggio 1907 è emblematico: ci sono due distinti cortei, con bande e bandiere, oltre al solito corteo socialista c'è anche, per la prima volta, quello delle organizzazioni cattoliche (Circolo San Bernardino e Lega del Lavoro). Quando i due cortei si incontrano, davanti all'ingresso della Vetreria Operaia Federale, si comincia con i fischi e si finisce con la rissa e le aste delle bandiere che colpiscono gli avversari. La forza pubblica separa i contendenti che si ritroveranno però il mese successivo davanti al Pretore di Gallarate.



D) Nei Tuoi racconti emergono anche aspetti di specifico interesse antropologico, come ad esempio la questione di quali malattie potevano essere coperte dalla cassa mutua oppure il ruolo delle donne nella tutela del risparmio familiare e la difficoltà di coinvolgerle nelle raccolte di fondi per gli scioperi, prima, e per la fondazione della vetrerie cooperative poi…



R. Si, mi riferisco al congresso di Livorno della Federazione del 1904 nel quale viene deliberata la creazione di una mutua per sussidiare i vetrai che, in seguito a malattia, sono impossibilitati a lavorare. E' esclusa dal beneficio la malattia causata da abuso di bevande alcooliche o da rissa. C'è da dire che già nel congresso di Livorno del 1900 era stata votata una risoluzione contro l'alcoolismo, forse favorita dalla campagna educativa e dissuasiva che dalla vicina Università di Pisa svolgeva il penalista socialista Adolfo Zerboglio, professore di Modigliani. L'alcoolismo era infatti allora una grave piaga che i socialisti cercavano di combattere e questo è testimoniato dal vecchio slogan "per il libro, contro il litro". E già che siamo in argomento di bevande, ricordiamo che il lavoro accanto ai forni costringeva i vetrai a berne giornalmente litri e litri, ovviamente non vino ma acqua, resa più gradevole da qualche goccia di limone. E esistevano anche degli ausiliari, con qualifica di acquaioli che avevano il compito di dare l'acqua ai maestri. Tornando alla mutua, c'è una minoranza, compresi anche alcuni congressisti sestesi, che vorrebbe escludere dalla previdenza gli affetti da malattie veneree. L'orientamento maggioritario è ben espresso da Modigliani in nome del superamento dei "vecchi pregiudizi di una morale che ha fatto il suo tempo". L'argomento era importante per i vetrai, la sifilide era una loro malattia professionale, trasmessa con l'uso promiscuo della canna da soffio. Il problema verrà superato con l'invenzione di un bocchino mobile di dotazione individuale.



RIASSUNTO SECONDO
Per sfuggire alla aleatorietà dei contratti ed alle manovre padronali (connesse anche ai primi tentativi di introdurre delle macchine automatiche) i vetrai sindacalizzati decisero di fondare una vetreria cooperativa, arrivando a costruire e gestire fino ad un massimo di 6 stabilimenti nel 1910  (Livorno, Imola, Sesto Calende, Vietri, Asti, Gaeta), con oltre 1.000 posti di lavoro.
La Vetreria Operaia Federale riuscì ad essere il primo produttore nazionale. Fallì commercialmente però, nell’ambito di una crisi settoriale di sovra-produzione, nel 1911. Dal 1912 risorse a Sesto in forma cooperativa la “Vetreria Lombarda”, che “nel 1919 istituisce una cassa pensioni interna e nel 1923 costruisce le case per i vetrai”. Avversata dal fascismo, si convertì formalmente in Società per Azioni nel 1924 (introducendo le macchine automatiche dal 1936, quando i lavoratori erano circa 150) e conservò tale assetto, di sostanziale autogestione dei soci operai, fino al 1961, quando la maggioranza delle azioni fu rilevata da un gruppo capitalistico nazionale.
Lo stabilimento di Sesto continuò la produzione fino al 1997, quando il passaggio del controllo ad un gruppo americano ne determinò la chiusura, suggerita anche da problematiche ambientali.



D) Se il contratto nazionale poteva apparire utopico, ma generalizzava i contratti individuali e si rifaceva ad esempi europei, la scelta di fondare una vetreria con i risparmi dei vetrai sembra ancora più utopico, quasi senza precedenti e modelli. Sopprimere il profitto padronale sembrò sufficiente per essere competitivi sul mercato?  Proponendosi nel contempo obiettivi di avanzamento nelle condizioni di lavoro, nelle limitazioni di orario e di cottimi?



R) L'idea, avanzata già nel 1901 al congresso di Sesto dalle sezioni di Sarzana e Bilbao, di creare una propria vetreria era diventata nel 1902 una necessità dato che in seguito allo sciopero proclamato contro la Vetro, e in corso ormai da un anno, i vetrai lavoravano solo sei ore al giorno e dovevano inoltre versare un sussidio a favore dei disoccupati. Era un'idea sicuramente molto audace, l'unico precedente era la Verrerie Ouvrière di Albi creata dai vetrai di Carmaux dopo un lungo sciopero fallito. Lo stesso Modigliani era esitante, ma l'idea partì grazie alla lungimiranza di Cesare Ricciardi. Egli era stato assunto, dopo il congresso di Sesto, come segretario della Federazione e, al pari degli altri socialisti riformisti, era tenace assertore della cooperazione tant'è che, oltre alla Vetreria Operaia Federale, fu promotore di altre cooperative a Livorno: l'Unione Poligrafica, la Cooperativa Falegnami e le cooperative di consumo Avanti! e San Jacopo. La VOF è decollata pur facendo a meno di un imprenditore ed è stata sicuramente competitiva sul mercato, ciò è dimostrato dal fatto che è diventata la più grande vetreria italiana.



             



                Figura 3: La Vetreria Operaia Federale di Sesto Calende



D) Nel successo della fondazione della V.O.F. quanto contarono però il lavoro volontario, gli straordinari non pagati, l’aiuto degli intellettuali/agitatori socialisti?



R) La prima cosa che ha contato nel successo della fondazione della VOF è stata la fiducia dei vetrai, che hanno creduto nella loro capacità di emanciparsi e hanno impegnato i loro soldi per costituire il capitale sociale; molti arrivano a ipotecare la casa, il maestro Giuseppe Milano per partecipare vende la bicicletta. Ha contato molto anche la guida di Modigliani e l'entusiasmo di Ricciardi, grande trascinatore.

     E vorrei aggiungere che, adesso che è stata sistemata l'area della Vetreria a nuova destinazione, sarebbe doveroso che la toponomastica del luogo ricordasse, con l'intitolazione di via Modigliani e via Ricciardi, chi tanto ha dato alla crescita di Sesto.



D) Quanto ha contato in quest'esperienza una specificità tutta locale, un contesto sociale particolarmente favorevole? Ci sono casi simili nella storia del movimento cooperativo per durata e dimensioni raggiunte?



R) Penso che all'origine della vivacità sestese di allora ci fosse il fatto che la prima vetreria di Sant'Anna è stata aperta nel 1813 e da noi sono venuti i maestri di Altare, i Prussiani e i Francesi e questo deve pure aver aperto la mente dei nostri nonni e bisnonni.

   Nella storia, ci sono state altre cooperative di produzione, di lavoro e di consumo di grandi dimensioni, ma non avendone conoscenza diretta non posso fare raffronti con la VOF.



            



    Figure 4 e 5: una azione della Vetreria Operaia Federale; Cesare Ricciardi





D) Come ha funzionato nel tempo la governance della cooperativa? C'è stata continuità, o fasi e trasformazioni? Se si, che motivazioni ne erano alla base? Ci sono state figure che hanno assicurato nel tempo continuità gestionale?



R) Il governo d'impresa della VOF, della Vetreria Lombarda cooperativa e della Vetreria Lombarda società per azioni è basato sull'assemblea dei soci e sull'elezione, democratica e combattuta, del consiglio di amministrazione. I soci hanno molto peso, lo dimostra l'esempio dell'introduzione delle macchine che a Sesto avviene solo nel 1936, molto tardi rispetto ad altre vetrerie (avevamo detto prima che la Vetro le aveva introdotte nel 1901) proprio per non togliere il lavoro ai vecchi soffiatori.

     C'è stata sicuramente continuità gestionale, Ricciardi è stato direttore generale per tutto il periodo di attività della VOF e a Sesto Ernesto Varalli è stato direttore per cinquant'anni.

     Chiaramente non è sempre stata una happy family, la fraternità socialista non può certo essere introdotta da una delibera. Ci sono stati contrasti, anche molto forti. Ricordo ad esempio un oppositore, Marco Bruscherini: egli era un grangarzone, segretario del PSI sestese nel 1903, diventa poi anarchico; la sua critica a Ricciardi è talmente forte da finire nelle aule dei tribunali. Per concludere, un altro episodio significativo: ad un certo punto Ricciardi, per contrasti interni, si dimette da direttore e accetta poi di tornare in carica, ponendo però alcune condizioni una delle quali era che i vetrai analfabeti in servizio dovessero obbligatoriamente alfabetizzarsi.



D) La capacità di resistenza e resilienza, anche mimetica (trasformazione in S.p.A.) dei vetrai sotto il fascismo (e non solo dei vetrai, stando a quanto racconti della Cooperativa “La proletaria” poi “Italia” e poi di nuovo “Proletaria”) ha dell’incredibile e testimonia evidentemente di una compatta solidarietà sociale. Tutto questo è venuto meno invece al cospetto del neo-capitalismo e del consumismo, negli anni del “boom”?



R)  L'atteggiamento dei fascisti nei confronti della Vetreria, come del resto succede per tutta la cooperazione, non segue una linea coerente. Inizialmente c'è l'attacco violento: irruzione squadristica (respinta dai vetrai armati di canne con attaccato il vetro fuso), ingaggio delle squadracce di Gallarate per assalto con bombe a mano e incendio della fabbrica (annullato all'ultimo momento), bando dell'impiegato Sanguanini, aggressione mortale del presidente Masnaghetti e del consigliere Brusa. Successivamente c'è l'intenzione di impadronirsi della Vetreria. Cosa che viene sventata con mossa abile e rapida: il direttore Ernesto Varalli si reca a Milano e torna a Sesto dopo due giorni con in tasca la trasformazione della cooperativa in società per azioni e la costituzione di un sindacato interno vincolativo per il trasferimento delle azioni. L'astuta operazione lascia con un palmo di naso i fascisti che pretendevano le azioni della cooperativa e si trovano invece di fronte al muro della S.p.A.       Ovviamente la Vetreria deve convivere con la dominazione fascista ma, con la trasformazione societaria, ha evitato odiose infiltrazioni politiche ed è rimasta un'isola democratica dove non era richiesta la "tessera del pane". Anche se formalmente non era più una cooperativa, in pratica ne manteneva la sostanza avendo un azionariato molto diffuso, i dipendenti erano azionisti. E questa sostanza è rimasta anche dopo il fascismo e sintomatico è lo svolgimento delle assemblee della società: gli operai si riunivano nella mensa aziendale.



D) Oggi il modello cooperativo, se può annoverare un colosso presente in molti settori, sembra però aver perso la sua "spinta propulsiva" di carattere solidale. Che valutazioni si possono dare? Che futuro potrebbe avere anche alla luce del caso sestese? E' naturalmente confinato alla piccola scala o ha la possibilità di "scalare" a dimensioni di grande impresa?



R) Oggi in Italia, per fortuna, la cooperazione è una componente importante dell'economia nazionale. Ci sono delle grandi imprese cooperative, se guardiamo il rapporto dell'Osservatorio Grandi Imprese dell'Alleanza delle Cooperative Italiane dal titolo “Le grandi cooperative italiane”, vediamo che nel 2015 c'erano ben duecentocinquanta cooperative che vantavano ricavi superiori a 50 milioni di euro. Se oggi si fa fatica a vedere la spinta di carattere solidale nella cooperazione tradizionale, la si vede, eccome, nelle cooperative sociali, prevalentemente giovanili, nate in gran numero in questi ultimi anni e dedicate alla gestione dei servizi sociosanitari e educativi o all'inserimento lavorativo, in ambiente protetto, di soggetti svantaggiati. In Provincia di Varese sono ben più di cento le cooperative sociali attive, a Sesto abbiamo l'opportunità di averne due, L'Aquilone che progetta e attua interventi educativi e sociali rivolti a bambini, adolescenti e giovani e Erre Esse che svolge attività di inserimento lavorativo, sia nel proprio laboratorio che nella gestione del verde.



D) Che cosa insegna la governance della cooperativa dei vetrai sestesi del ‘900 alla governance di imprese orientate al profitto, ma sensibili a temi di responsabilità sociale (in senso “olivettiano”)? Quali forme potrebbero essere estese dall'uno all'altro campo?



R) Indubbiamente nelle imprese capitalistiche si sta facendo strada una nuova idea del lavoro basata sul concetto di responsabilità sociale d'impresa. In una fase storica nella quale il contenimento della spesa pubblica avviene sulle spalle delle fasce più deboli della popolazione con la progressiva dismissione del welfare, assume rilievo quello che viene definito welfare d'impresa, già presente, secondo i dati di Assolombarda, in un terzo degli accordi aziendali stipulati in Italia. Si tratta di buone pratiche, per esempio l'orario flessibile o le prestazioni integrative sanitarie e previdenziali, rivolte al benessere dei lavoratori e delle famiglie che migliorano il clima aziendale e la competitività dell'impresa.

     La responsabilità sociale d'impresa che adesso si afferma era già stata "inventata" più di cent'anni fa dalle cooperative dei vetrai con i sussidi ai malati, agli orfani, ai disoccupati, le pensioni e le case.    



    

    

      Figura 6: le Case dei Vetrai in Sesto Calende    



E' sempre utile studiare la storia, vedere come in passato sono stati affrontati i problemi aiuta a risolverli oggi.



NOTA A: Il testo di Marianelli è reperibile alla Biblioteca Nazionale Braidense, alla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli (dove ha condotto la ricerca), all'Istituto Ferruccio Parri e alle Biblioteche di Scienze Politiche e di Scienze della Storia dell'Università degli Studi di Milano. Sempre a Milano, alla Fondazione Feltrinelli e alla Biblioteca di Scienze Politiche, è presente il volume miscellaneo “G. E. Modigliani e il socialismo italiano” nel quale compare il suo contributo “Modigliani e gli operai del vetro”. E' reperibile inoltre nell'emeroteca della Biblioteca Civica di Varese “I lavoratori del vetro in Italia all'inizio del '900: condizioni di vita e di lavoro“ (“Società e storia”, n. 8, 1980) e nell'emeroteca della Braidense “Un'aristocrazia operaia agli inizi del Novecento: i lavoratori del vetro“ (“Calendario del popolo”, n. 437, ottobre 1981).





Fonti

1.    Alessandro Marianelli  ”PROLETARIATO DI FABBRICA E ORGANIZZAZIONE SINDACALE IN ITALIA ALL'INIZIO DEL SECOLO: IL CASO DEI LAVORATORI DEL VETRO” Franco Angeli, Milano, 1983

2.    Mario Varalli “GIUSEPPE EMANUELE MODIGLIANI E I VETRAI DI SESTO CALENDE. 1900-1906” in TRACCE, volumi 14-15, 1993

3.    Mario Varalli “SESTO CALENDE:UNA STORIA DI VETRO” in Autori Vari : “ARCHITETTURE NEL SEGNO DELL'ACQUA”, a cura di Luciano Crespi, Alinea Editrice, Firenze 1998

4.    Mario Varalli “LA PROLETARIA – CENTODIECI ANNI PER I SESTESI”, edito da “La Proletaria Cooperativa di Consumo e Agricola, Sesto Calende 2017

5.    Giovanni Di Bella “LA VETRERIA OPERAIA FEDERALE DI SESTO CALENDE E IL MANOSCRITTO DI GUGLIELMO ZAMPERINI” Pro Sesto, Sesto Calende 2006


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