In
connessione con il dibattito sulla trasformazione del lavoro che è in atto e
sulle ipotesi di ulteriori salti qualitativi, che UTOPIA21 sta sviluppando
(anche in relazione al Festival dell’Utopia 2017 in Varese), questa intervista
a Mario Varalli, in quanto storico del movimento operaio e socialista a Sesto
Calende, cerca di enucleare i motivi e le modalità della svolta nei rapporti di
lavoro che maturò a cavallo tra Ottocento e Novecento, in particolare nella
categoria dei vetrai, ed i successivi sviluppi nel secolo seguente, con il
conseguimento di obiettivi che allora parevano largamente utopici come il primo
contratto collettivo nazionale di lavoro per una categoria e la formazione di
una grande cooperativa di produzione
Sommario:
-
L’industria del vetro a
fine Ottocento a Sesto Calende ed in generale in Italia
-
Rapporti di lavoro e
gerarchia professionale
-
Dai contratti di lavoro
individuali e stagionali (e nomadi) al primo contratto nazionale di categoria
nel 1901; contenuti specifici del contratto
-
La Federazione dei
Bottigliai e le altre forme di organizzazione sociali, politiche e culturali a
Sesto Calende
-
La Fondazione della
Vetreria Operaia Federale, con 6 stabilimenti in Italia nel 1910, tra cui
Livorno e Sesto Calende; la successiva crisi da cui si salva a Vetreria di
Sesto
-
Il ruolo degli
agitatori socialisti e il solidarismo dei vetrai
-
La resistenza al
Fascismo e la trasformazione della Cooperativa in Società per Azioni;
l’assorbimento in gruppi privati negli anni ‘60
-
Riflessioni sugli echi
di questa e di altre simili esperienze di autogestione nel cooperativismo di
oggi e nella trasformazione delle imprese
-
PER LE IMMAGINI, VEDI "UTOPIA21" SUL SITO www.universauser.it
Nel
seguito D) segnala una mia domanda R) la risposta di Varalli.
PREMESSA: Data la scarsa
conoscenza dei fatti storici e la difficoltà di accedere a parte della
bibliografia, si è ritenuto necessario inserire qua e là qualche breve
riassunto, tratto dalla bibliografia, a cura dell’intervistatore.
RIASSUNTO PRIMO
Negli ultimi decenni
dell’Ottocento si estese nel Verbano, sulla scorta di antiche tradizioni e
della disponibilità di materie prime, l’industria vetraria (in prevalenza
orientata verso la produzione di bottiglie, damigiane, bicchieri) che però era
essenzialmente fondata sul lavoro manuale e sulla soffiatura del vetro fuso,
come nei due precedenti millenni: una lavorazione artigianale, ma applicata a
scala industriale con riguardo alla serialità della produzione, all’ingente
peso degli investimenti – soprattutto per i forni – ed ai rapporti di lavoro ed
alle modalità di commercializzazione, che nell’Ottocento erano ormai divenuti di tipo capitalistico.
L’organizzazione del
lavoro era stata inizialmente fortemente corporativa, con trasmissione
ereditaria del sapere e del ruolo dei “maestri vetrai” (o “monsu’”, per le
ascendenze francesi di asserita nobiltà) e fortissimi differenze di ruolo e di
retribuzione e di orari tra questi, i loro primi aiutanti o “gran garzoni”, i
subalterni “levavetro” (a contatto più diretto con il fuoco) e giù giù a figure
ausiliarie, comprendenti donne e bambini.
Per tutti quanti i
contratti erano individuali e stagionali (la “campagna lavorativa” escludeva i
mesi estivi), anche con trasferimenti in regioni remote, e non c’era previdenza
né per malattie ed infortuni né per le pensioni.
Nella lotta per la
conquista del primo contratto, e nel contratto stesso, comparvero strumenti ed
istituti molto lontani dalle nostre esperienze negli ultimi decenni: scioperi
ad oltranza sorretti da collette, boicottaggio verso le aziende più aggressive
e che utilizzavano i “crumiri”, esercizio “monopolistico” da parte delle stesse
leghe sindacali del collocamento dei lavoratori, autogestione delle prime forme
di previdenza sotto forma di cassa mutua.
D) Nel raccontare
l’esemplare (e a mio avviso anche
commovente) vicenda dei vetrai sestesi dalla fine dell’Ottocento, Tu
segnalavi, nel 1993, che queste pagine peculiari nella storia del movimento
operaio (i vetrai furono la prima categoria ad ottenere un contratto collettivo
nazionale di lavoro, nel 1901) erano state trascurate dagli storici a scala nazionale, con la sola eccezione di
Alessandro Marianelli1 (le cui opere segnaliamo tra le fonti di
questa intervista, anche se le trovo assenti dal sistema bibliotecario
varesino, mentre vi si possono reperire gli scritti Tuoi2,3,4 e
quello di Gianni di Bella5): Ti risulta che sia ancora così? Dove si
possono consultare i documenti originali, come le raccolte dei periodici
sindacali dei “bottigliai”?
R) Alessandro Marianelli
è tuttora il massimo storico dei vetrai italiani. Il suo lavoro principale, ”Proletariato di fabbrica e organizzazione
sindacale in Italia all'inizio del secolo: il caso dei lavoratori del vetro”,1
purtroppo manca sia nel Sistema Bibliotecario Urbano di Varese che nella Rete
Bibliotecaria Provinciale di Varese. E' però disponibile a Milano in diverse
sedi (come specificato nella NOTA A, ove sono elencate altre sue
opere connesse, di cui una reperibile a Varese).
Ricordo che il professor Marianelli è stato
ospite a Sesto Calende, il 20 marzo 1994, al convegno “Il passato per il futuro. 90° di fondazione della Vetreria Operaia
Federale”, promosso dalla Cooperativa “La Proletaria” e dall'Ente Autonomo
pro Cultura Popolare, dove ha svolto la relazione “La Federazione Bottigliai nella storia del movimento operaio italiano”.
Dopo è uscito uno studio di Massimo
Sanacore, dell'Archivio di Stato di Livorno, “Capitalisti e imprese del vetro a Livorno dall'unificazione alla prima
guerra mondiale“ sulla rivista
“Nuovi Studi Livornesi”, vol. II, 1994 che, pur essendo incentrato sulla città
labronica, tratta in generale della Vetreria Operaia Federale.
Non conosco altre opere degne.
Fonte fondamentale sulla storia dei vetrai a
bottiglie è il periodico “La Bottiglia”,
organo della Federazione Italiana dei Bottigliai, consultabile presso la
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze o la Biblioteca Civica A. G. Barrili
di Savona.
D) Di fronte alla
rigidità corporativa dei “Monsù”, come riuscirono Ernesto Varalli (Tuo nonno)
ed altri vetrai sestesi a superare il livello di “gran garzoni”?
R) Nelle vetrerie a
bottiglie l'unità lavorativa era chiamata piazza (cioè lo spazio antistante la
bocca del forno) ed era composta da quattro lavoratori: il levavetro che
immergeva la punta della canna nella massa in fusione ed estraeva la quantità
di vetro necessaria a fare la bottiglia e la passava al grangarzone che
iniziava la soffiatura, il maestro poi realizzava la bottiglia, infine il
portantino la trasportava nel forno di ricottura detto ferrazza. Marx, nel
Capitale, prende proprio la piazza come esempio di manifattura organica. Il
lavoro era parcellizzato, rigidamente gerarchico, con alla testa il maestro,
responsabile dell'ordine della piazza e della produzione e gratificato da un
livello salariale superiore alla media. Il sistema della soffiatura a canna è
rimasto inalterato dal I secolo dopo Cristo e ciò ha consentito la permanenza
tra i vetrai di un residuo di corporazione medioevale con la trasmissione
ereditaria del mestiere, che veniva chiamata casta. Fino a tutto Ottocento solo
i figli dei vetrai delle varie categorie potevano fare apprendistato con il
padre. Questa situazione cambia con il nuovo secolo, con iniziativa separata ma
convergente dei datori di lavoro e dei prestatori d'opera (oppure padroni e
lavoratori, se vogliamo evitare il "terrore semantico" e il
"risarcimento linguistico" disapprovati da Tullio De Mauro e Andrea
Camilleri). Ai primi conveniva l'allargamento dell'apprendistato e il passaggio
da una mansione all'altra per avere a disposizione una maggiore quantità di
mano d'opera e ridurre quindi la forza contrattuale dei maestri. Fra i secondi
si diffondono i principi socialisti di uguaglianza e solidarietà di classe e
infatti al congresso di Livorno del 1900, nel quale viene fondata la
Federazione Italiana dei Bottigliai, viene abolito il privilegio
dell'ereditarietà, il principio ugualitario socialista predicato dall'apostolo
dei vetrai Giuseppe Emanuele Modigliani prevale sul concetto della casta.
Il mio bisnonno Luigi Pedretti, nato nel
1863, pur essendo capace di svolgere il lavoro del maestro non poteva averne la
qualifica e non lo poteva esercitare, non essendo figlio di maestro, ed era
inchiodato alla mansione di grangarzone. A fine Ottocento si trovava a fare la
campagna, così si chiamava il contratto annuale, alla Vetreria Rachetti di
Torino e i vicini di casa lo chiamavano monsù, appellativo che spettava ai
maestri; questo per dire come le cose stavano cambiando nella mentalità comune.
A Sesto, il primo colpo alla casta è
inferto, già nel 1881, alla Vetreria Bertoluzzi di Sant'Anna dalla proprietà:
il cambiamento del vecchio forno con uno più moderno richiede maggiore
personale e così dei portantini sono promossi levavetro e dei levavetro
grangarzone.
Comunque sarà poi l'introduzione delle
macchine che porrà fine allo status sociale privilegiato dei maestri.
D) Con una situazione di
partenza così caratterizzata dalle diversità gerarchiche tra i lavoratori, come
fu possibile in pochi anni (tra il 1897 ed il 1901), sebbene con alterne
vicende, costituire organizzazioni unitarie, inclusive anche delle figure
professionali più umili? Senza un precedente in Italia, era un’utopia arrivare
ad un contratto collettivo nazionale di lavoro? Quanto pesavano le condizioni
materiali e quelle culturali dei lavoratori (la diffusa provenienza dal mondo
contadino, la netta separazione rispetto ai ceti più elevati,
l’alfabetizzazione promossa con fatica dopo l’Unità d’Italia) e quanto la
predicazione dei primi “apostoli del socialismo”?
Figure 1 e 2: Ernesto Varalli e Giuseppe Emanuele Modigliani
R) I vetrai lavorano con
un contratto individuale annuale e, terminata la campagna, facilmente si
spostano in un'altra vetreria dove c'è lavoro o retribuzione più interessante,
questo fenomeno è chiamato nomadismo. Questi continui spostamenti, in Italia o
all'estero (a Bilbao ci sarà una sezione della Federazione Italiana dei
Bottigliai), rendono i vetrai più colti rispetto agli altri lavoratori, nel
caso di Sesto rispetto ai contadini o alle operaie tessili che vivono in un
ambiente ristretto. Girare per vetrerie consente di vedere ambienti nuovi,
conoscere gente, frequentare vetrai italiani o stranieri (in Italia vengono ad
esempio vetrai dalla Prussia) e conoscere esperienze di organizzazione
proletaria. A questo si aggiunge la predicazione e l'azione sindacale dei
socialisti. Nel caso dei bottigliai, alla loro testa c'è un grande personaggio,
Giuseppe Emanuele Modigliani, un uomo che, rinunciando alla vita tranquilla e
agiata che gli avrebbe potuto procurare la professione di avvocato, dedica
l'intera vita all'emancipazione della classe lavoratrice, subendo carcere,
aggressioni fasciste, esilio e povertà. A quei tempi non c'era
l'incompatibilità sindacale vigente oggi e i socialisti operavano, come si
diceva allora, nell'economico e nel politico, cioè svolgevano
contemporaneamente attività di partito e sindacale. Modigliani ha organizzato,
nel tempo, scalpellini, scaricatori del porto, contadini, metallurgici,
tranvieri e, quello che interessa a noi ora, i bottigliai ai quali ha portato i
principi socialisti dell'egualitarismo e della solidarietà.
L'utopia del contratto collettivo
nazionale di lavoro è progettata al congresso di Livorno del 1900, con
l'obiettivo della conquista entro due campagne e ridiscussa al congresso di
Sesto del 1901. Allora Modigliani si trovava a trattare con gli industriali
vetrari divisi in due gruppi, denominati Il Vetro e Fabbriche Vetrarie
Consorziate in concorrenza tra loro. La situazione era resa ulteriormente
difficile, anzi grave, dal fatto che il Vetro aveva deciso di introdurre il
lavoro a macchina dimezzando il personale e abbassando il salario a un terzo e
di conseguenza le Consorziate, prive di macchine, avrebbero dimezzato la
produzione e il personale. Quindi Modigliani, con mossa dettata da intelligente
pragmatismo, restringe la trattativa alle Consorziate con le quali conclude un
contratto collettivo basato su punti significativi: tariffa unica nazionale
deliberata del congresso di Sesto, riduzione della sperequazione tra
qualifiche, riduzione del turno da otto a sei ore per occupare maggiore
personale ed esclusiva della Federazione nel collocamento. E nelle vetrerie
della Vetro viene proclamato lo sciopero generale a tempo indeterminato. Questo
nel 1901.
D) Quali furono i limiti
del contratto del 1901, sia riguardo alla estensione ai vari gruppi aziendali,
sia riguardo alla durata temporale?
R) Nel 1904 le
Consorziate acquisiscono la Vetro, con la conseguente estensione del contratto
collettivo e così finisce lo sciopero che era durato ben tre anni. A questo
punto il contratto valeva per tutte le principali vetrerie a bottiglie
italiane.
Il contratto collettivo nazionale aveva
valore annuale, come annuale era la durata della campagna, solitamente
dall'inizio di settembre alla fine di giugno (in estate venivano rifatti i
forni per la corrosione subita dal materiale refrattario).
D) Dai Tuoi testi emerge
una stretta connessione, nel periodo da fine Ottocento alla Prima Guerra
Mondiale, tra le attività più strettamente sindacali dei vetrai sestesi, la
nascita di altre leghe di lavoratori, la crescita della sezione del Partito
Socialista e la fondazione della Cooperativa di Consumo “La proletaria”, nonché
dell’Ente Autonomo pro Cultura Popolare (biblioteca, banda musicale, corsi e conferenze): che rapporto c’era con
le altre forme associative preesistenti, come la Società Operaia di Mutuo
Soccorso, le tradizioni mazziniane/garibaldine e – quasi contrapposto - il
mondo cattolico?
R) La Società di Mutuo Soccorso è espressione di
una benemerita filantropia borghese ed è presieduta da Carlo Bertoluzzi,
l'industriale vetrario di Sant'Anna. Nel 1905 "Popolo e Libertà", il
settimanale socialista del Gallaratese, pubblica una lettera aperta di un
bottigliaio che afferma essere Bertoluzzi indegno di ricoprire la carica di presidente
causa il suo comportamento antisindacale, infatti allora la vetreria di
Sant'Anna aveva rifiutato l'applicazione del contratto nazionale, era
boicottata dai vetrai e aveva ingaggiato crumiri provenienti dall'estero. Poi,
nel 1908, i lavoratori conquistano la maggioranza del consiglio di
amministrazione della Società che diventa un ulteriore tassello dell'egemonia
socialista nella Sesto del primo ventennio del secolo.
Non c'era amore tra vetrai e preti, i
vetrai erano tutti socialisti e abbracciavano quell'orientamento culturale del
socialismo di cent'anni fa che vedeva una netta contrapposizione tra socialismo
e Chiesa, che era poi l'antitesi tra progresso sociale e conservazione. Il
Primo Maggio 1907 è emblematico: ci sono due distinti cortei, con bande e
bandiere, oltre al solito corteo socialista c'è anche, per la prima volta,
quello delle organizzazioni cattoliche (Circolo San Bernardino e Lega del
Lavoro). Quando i due cortei si incontrano, davanti all'ingresso della Vetreria
Operaia Federale, si comincia con i fischi e si finisce con la rissa e le aste
delle bandiere che colpiscono gli avversari. La forza pubblica separa i
contendenti che si ritroveranno però il mese successivo davanti al Pretore di
Gallarate.
D) Nei Tuoi racconti
emergono anche aspetti di specifico interesse antropologico, come ad esempio la
questione di quali malattie potevano essere coperte dalla cassa mutua oppure il
ruolo delle donne nella tutela del risparmio familiare e la difficoltà di
coinvolgerle nelle raccolte di fondi per gli scioperi, prima, e per la
fondazione della vetrerie cooperative poi…
R. Si, mi riferisco al
congresso di Livorno della Federazione del 1904 nel quale viene deliberata la
creazione di una mutua per sussidiare i vetrai che, in seguito a malattia, sono
impossibilitati a lavorare. E' esclusa dal beneficio la malattia causata da
abuso di bevande alcooliche o da rissa. C'è da dire che già nel congresso di
Livorno del 1900 era stata votata una risoluzione contro l'alcoolismo, forse
favorita dalla campagna educativa e dissuasiva che dalla vicina Università di
Pisa svolgeva il penalista socialista Adolfo Zerboglio, professore di
Modigliani. L'alcoolismo era infatti allora una grave piaga che i socialisti
cercavano di combattere e questo è testimoniato dal vecchio slogan "per il
libro, contro il litro". E già che siamo in argomento di bevande,
ricordiamo che il lavoro accanto ai forni costringeva i vetrai a berne
giornalmente litri e litri, ovviamente non vino ma acqua, resa più gradevole da
qualche goccia di limone. E esistevano anche degli ausiliari, con qualifica di
acquaioli che avevano il compito di dare l'acqua ai maestri. Tornando alla
mutua, c'è una minoranza, compresi anche alcuni congressisti sestesi, che
vorrebbe escludere dalla previdenza gli affetti da malattie veneree.
L'orientamento maggioritario è ben espresso da Modigliani in nome del
superamento dei "vecchi pregiudizi di una morale che ha fatto il suo tempo".
L'argomento era importante per i vetrai, la sifilide era una loro malattia
professionale, trasmessa con l'uso promiscuo della canna da soffio. Il problema
verrà superato con l'invenzione di un bocchino mobile di dotazione individuale.
RIASSUNTO SECONDO
Per sfuggire alla
aleatorietà dei contratti ed alle manovre padronali (connesse anche ai primi
tentativi di introdurre delle macchine automatiche) i vetrai sindacalizzati
decisero di fondare una vetreria cooperativa, arrivando a costruire e gestire
fino ad un massimo di 6 stabilimenti nel 1910
(Livorno, Imola, Sesto Calende, Vietri, Asti, Gaeta), con oltre 1.000
posti di lavoro.
La Vetreria Operaia
Federale riuscì ad essere il primo produttore nazionale. Fallì commercialmente
però, nell’ambito di una crisi settoriale di sovra-produzione, nel 1911. Dal
1912 risorse a Sesto in forma cooperativa la “Vetreria Lombarda”, che “nel 1919
istituisce una cassa pensioni interna e nel 1923 costruisce le case per i
vetrai”. Avversata dal fascismo, si convertì formalmente in Società per Azioni
nel 1924 (introducendo le macchine automatiche dal 1936, quando i lavoratori
erano circa 150) e conservò tale assetto, di sostanziale autogestione dei soci
operai, fino al 1961, quando la maggioranza delle azioni fu rilevata da un gruppo
capitalistico nazionale.
Lo stabilimento di Sesto
continuò la produzione fino al 1997, quando il passaggio del controllo ad un
gruppo americano ne determinò la chiusura, suggerita anche da problematiche
ambientali.
D) Se il contratto
nazionale poteva apparire utopico, ma generalizzava i contratti individuali e
si rifaceva ad esempi europei, la scelta di fondare una vetreria con i risparmi
dei vetrai sembra ancora più utopico, quasi senza precedenti e modelli.
Sopprimere il profitto padronale sembrò sufficiente per essere competitivi sul
mercato? Proponendosi nel contempo
obiettivi di avanzamento nelle condizioni di lavoro, nelle limitazioni di
orario e di cottimi?
R) L'idea, avanzata già
nel 1901 al congresso di Sesto dalle sezioni di Sarzana e Bilbao, di creare una
propria vetreria era diventata nel 1902 una necessità dato che in seguito allo
sciopero proclamato contro la Vetro, e in corso ormai da un anno, i vetrai
lavoravano solo sei ore al giorno e dovevano inoltre versare un sussidio a
favore dei disoccupati. Era un'idea sicuramente molto audace, l'unico
precedente era la Verrerie Ouvrière di Albi creata dai vetrai di Carmaux dopo
un lungo sciopero fallito. Lo stesso Modigliani era esitante, ma l'idea partì
grazie alla lungimiranza di Cesare Ricciardi. Egli era stato assunto, dopo il
congresso di Sesto, come segretario della Federazione e, al pari degli altri
socialisti riformisti, era tenace assertore della cooperazione tant'è che,
oltre alla Vetreria Operaia Federale, fu promotore di altre cooperative a
Livorno: l'Unione Poligrafica, la Cooperativa Falegnami e le cooperative di
consumo Avanti! e San Jacopo. La VOF è decollata pur facendo a meno di un
imprenditore ed è stata sicuramente competitiva sul mercato, ciò è dimostrato
dal fatto che è diventata la più grande vetreria italiana.
Figura 3: La
Vetreria Operaia Federale di Sesto Calende
D) Nel successo della
fondazione della V.O.F. quanto contarono però il lavoro volontario, gli
straordinari non pagati, l’aiuto degli intellettuali/agitatori socialisti?
R) La prima cosa che ha
contato nel successo della fondazione della VOF è stata la fiducia dei vetrai,
che hanno creduto nella loro capacità di emanciparsi e hanno impegnato i loro
soldi per costituire il capitale sociale; molti arrivano a ipotecare la casa,
il maestro Giuseppe Milano per partecipare vende la bicicletta. Ha contato
molto anche la guida di Modigliani e l'entusiasmo di Ricciardi, grande
trascinatore.
E vorrei aggiungere che, adesso che è
stata sistemata l'area della Vetreria a nuova destinazione, sarebbe doveroso
che la toponomastica del luogo ricordasse, con l'intitolazione di via
Modigliani e via Ricciardi, chi tanto ha dato alla crescita di Sesto.
D) Quanto ha contato in
quest'esperienza una specificità tutta locale, un contesto sociale
particolarmente favorevole? Ci sono casi simili nella storia del movimento
cooperativo per durata e dimensioni raggiunte?
R) Penso che all'origine
della vivacità sestese di allora ci fosse il fatto che la prima vetreria di
Sant'Anna è stata aperta nel 1813 e da noi sono venuti i maestri di Altare, i
Prussiani e i Francesi e questo deve pure aver aperto la mente dei nostri nonni
e bisnonni.
Nella storia, ci sono state altre
cooperative di produzione, di lavoro e di consumo di grandi dimensioni, ma non
avendone conoscenza diretta non posso fare raffronti con la VOF.
Figure 4 e 5: una azione della Vetreria Operaia
Federale; Cesare Ricciardi
D) Come ha funzionato nel
tempo la governance della cooperativa? C'è stata continuità, o fasi e
trasformazioni? Se si, che motivazioni ne erano alla base? Ci sono state figure
che hanno assicurato nel tempo continuità gestionale?
R) Il governo d'impresa
della VOF, della Vetreria Lombarda cooperativa e della Vetreria Lombarda
società per azioni è basato sull'assemblea dei soci e sull'elezione,
democratica e combattuta, del consiglio di amministrazione. I soci hanno molto
peso, lo dimostra l'esempio dell'introduzione delle macchine che a Sesto avviene
solo nel 1936, molto tardi rispetto ad altre vetrerie (avevamo detto prima che
la Vetro le aveva introdotte nel 1901) proprio per non togliere il lavoro ai
vecchi soffiatori.
C'è stata sicuramente continuità
gestionale, Ricciardi è stato direttore generale per tutto il periodo di
attività della VOF e a Sesto Ernesto Varalli è stato direttore per
cinquant'anni.
Chiaramente non è sempre stata una happy
family, la fraternità socialista non può certo essere introdotta da una
delibera. Ci sono stati contrasti, anche molto forti. Ricordo ad esempio un
oppositore, Marco Bruscherini: egli era un grangarzone, segretario del PSI
sestese nel 1903, diventa poi anarchico; la sua critica a Ricciardi è talmente
forte da finire nelle aule dei tribunali. Per concludere, un altro episodio
significativo: ad un certo punto Ricciardi, per contrasti interni, si dimette
da direttore e accetta poi di tornare in carica, ponendo però alcune condizioni
una delle quali era che i vetrai analfabeti in servizio dovessero obbligatoriamente
alfabetizzarsi.
D) La capacità di
resistenza e resilienza, anche mimetica (trasformazione in S.p.A.) dei vetrai
sotto il fascismo (e non solo dei vetrai, stando a quanto racconti della
Cooperativa “La proletaria” poi “Italia” e poi di nuovo “Proletaria”) ha
dell’incredibile e testimonia evidentemente di una compatta solidarietà
sociale. Tutto questo è venuto meno invece al cospetto del neo-capitalismo e
del consumismo, negli anni del “boom”?
R) L'atteggiamento dei fascisti nei confronti
della Vetreria, come del resto succede per tutta la cooperazione, non segue una
linea coerente. Inizialmente c'è l'attacco violento: irruzione squadristica
(respinta dai vetrai armati di canne con attaccato il vetro fuso), ingaggio
delle squadracce di Gallarate per assalto con bombe a mano e incendio della
fabbrica (annullato all'ultimo momento), bando dell'impiegato Sanguanini,
aggressione mortale del presidente Masnaghetti e del consigliere Brusa.
Successivamente c'è l'intenzione di impadronirsi della Vetreria. Cosa che viene
sventata con mossa abile e rapida: il direttore Ernesto Varalli si reca a
Milano e torna a Sesto dopo due giorni con in tasca la trasformazione della
cooperativa in società per azioni e la costituzione di un sindacato interno
vincolativo per il trasferimento delle azioni. L'astuta operazione lascia con
un palmo di naso i fascisti che pretendevano le azioni della cooperativa e si
trovano invece di fronte al muro della S.p.A. Ovviamente la Vetreria deve convivere con
la dominazione fascista ma, con la trasformazione societaria, ha evitato odiose
infiltrazioni politiche ed è rimasta un'isola democratica dove non era
richiesta la "tessera del pane". Anche se formalmente non era più una
cooperativa, in pratica ne manteneva la sostanza avendo un azionariato molto
diffuso, i dipendenti erano azionisti. E questa sostanza è rimasta anche dopo
il fascismo e sintomatico è lo svolgimento delle assemblee della società: gli
operai si riunivano nella mensa aziendale.
D) Oggi il modello
cooperativo, se può annoverare un colosso presente in molti settori, sembra
però aver perso la sua "spinta propulsiva" di carattere solidale. Che
valutazioni si possono dare? Che futuro potrebbe avere anche alla luce del caso
sestese? E' naturalmente confinato alla piccola scala o ha la possibilità di
"scalare" a dimensioni di grande impresa?
R) Oggi in Italia, per
fortuna, la cooperazione è una componente importante dell'economia nazionale.
Ci sono delle grandi imprese cooperative, se guardiamo il rapporto
dell'Osservatorio Grandi Imprese dell'Alleanza delle Cooperative Italiane dal
titolo “Le grandi cooperative italiane”, vediamo che nel 2015 c'erano ben
duecentocinquanta cooperative che vantavano ricavi superiori a 50 milioni di
euro. Se oggi si fa fatica a vedere la spinta di carattere solidale nella
cooperazione tradizionale, la si vede, eccome, nelle cooperative sociali,
prevalentemente giovanili, nate in gran numero in questi ultimi anni e dedicate
alla gestione dei servizi sociosanitari e educativi o all'inserimento
lavorativo, in ambiente protetto, di soggetti svantaggiati. In Provincia di
Varese sono ben più di cento le cooperative sociali attive, a Sesto abbiamo
l'opportunità di averne due, L'Aquilone che progetta e attua interventi
educativi e sociali rivolti a bambini, adolescenti e giovani e Erre Esse che
svolge attività di inserimento lavorativo, sia nel proprio laboratorio che
nella gestione del verde.
D) Che cosa insegna la
governance della cooperativa dei vetrai sestesi del ‘900 alla governance di
imprese orientate al profitto, ma sensibili a temi di responsabilità sociale
(in senso “olivettiano”)? Quali forme potrebbero essere estese dall'uno
all'altro campo?
R) Indubbiamente nelle
imprese capitalistiche si sta facendo strada una nuova idea del lavoro basata
sul concetto di responsabilità sociale d'impresa. In una fase storica nella
quale il contenimento della spesa pubblica avviene sulle spalle delle fasce più
deboli della popolazione con la progressiva dismissione del welfare, assume
rilievo quello che viene definito welfare d'impresa, già presente, secondo i
dati di Assolombarda, in un terzo degli accordi aziendali stipulati in Italia.
Si tratta di buone pratiche, per esempio l'orario flessibile o le prestazioni
integrative sanitarie e previdenziali, rivolte al benessere dei lavoratori e
delle famiglie che migliorano il clima aziendale e la competitività
dell'impresa.
La responsabilità sociale d'impresa che
adesso si afferma era già stata "inventata" più di cent'anni fa dalle
cooperative dei vetrai con i sussidi ai malati, agli orfani, ai disoccupati, le
pensioni e le case.
Figura 6: le Case dei Vetrai in Sesto
Calende
E'
sempre utile studiare la storia, vedere come in passato sono stati affrontati i
problemi aiuta a risolverli oggi.
NOTA A: Il testo di
Marianelli è reperibile alla Biblioteca Nazionale Braidense, alla Fondazione
Giangiacomo Feltrinelli (dove ha condotto la ricerca), all'Istituto Ferruccio
Parri e alle Biblioteche di Scienze Politiche e di Scienze della Storia
dell'Università degli Studi di Milano. Sempre a Milano, alla Fondazione
Feltrinelli e alla Biblioteca di Scienze Politiche, è presente il volume miscellaneo
“G. E. Modigliani e il socialismo
italiano” nel quale compare il suo contributo “Modigliani e gli operai del vetro”. E' reperibile inoltre
nell'emeroteca della Biblioteca Civica di Varese “I lavoratori del vetro in Italia all'inizio del '900: condizioni di
vita e di lavoro“ (“Società e storia”, n. 8, 1980) e nell'emeroteca della
Braidense “Un'aristocrazia operaia agli
inizi del Novecento: i lavoratori del vetro“ (“Calendario del popolo”, n.
437, ottobre 1981).
Fonti
1.
Alessandro
Marianelli ”PROLETARIATO DI FABBRICA E
ORGANIZZAZIONE SINDACALE IN ITALIA ALL'INIZIO DEL SECOLO: IL CASO DEI
LAVORATORI DEL VETRO” Franco Angeli, Milano, 1983
2.
Mario
Varalli “GIUSEPPE EMANUELE MODIGLIANI E I VETRAI DI SESTO CALENDE. 1900-1906”
in TRACCE, volumi 14-15, 1993
3.
Mario
Varalli “SESTO CALENDE:UNA STORIA DI VETRO” in Autori Vari : “ARCHITETTURE NEL
SEGNO DELL'ACQUA”, a cura di Luciano Crespi, Alinea Editrice, Firenze 1998
4.
Mario
Varalli “LA PROLETARIA – CENTODIECI ANNI PER I SESTESI”, edito da “La
Proletaria Cooperativa di Consumo e Agricola, Sesto Calende 2017
5.
Giovanni
Di Bella “LA VETRERIA OPERAIA FEDERALE DI SESTO CALENDE E IL MANOSCRITTO DI
GUGLIELMO ZAMPERINI” Pro Sesto, Sesto Calende 2006
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