mercoledì 25 marzo 2020

UTOPIA21 - MARZO 2020: L’ELOGIO DELL’UTOPIA DA PARTE DI ROBERTO MORDACCI




Il testo di Mordacci classifica con precisione, nella storia del pensiero occidentale, le teorie (palesemente) utopiche ruotando attorno all’archetipo “Utopia” di Thomas More, che l’Autore tende a riproporre come modello da adeguare all’oggi ed alle problematiche dello sviluppo sostenibile. Sollevando però qualche mia perplessità.

Sommario:
-       l’utopia di Thomas More nel contesto rinascimentale e nel confronto con i precedenti
-       gli sviluppi del pensiero utopico nell’età moderna
-       in contrapposizione, le “distopie”
-       variazioni sul tema, nella crisi della modernità: eterotopie, retrotopia, …
-       ritorno all’utopia e suo rilancio: Anterotopia
-       qualche riflessione critica
(in corsivo le annotazioni più personali del recensore)

Roberto Mordacci, filosofo, è preside della facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute dell’Istituto San Raffaele di Milano.


L’UTOPIA DI THOMAS MORE NEL CONTESTO RINASCIMENTALE E NEL CONFRONTO CON I PRECEDENTI

“Ritorno a Utopia”1 esalta il pensiero di Thomas More [A], specificando come la sua Utopia2 attingesse al campo del possibile, con una proposta di riforma delle leggi economiche e socio-politiche (in contrapposizione alla china accumulatrice del tardo feudalesimo, che recintava e sottraeva le terre ai contadini poveri, scacciandoli in miseria verso le città), ma ancorata ad un visione realistica della natura umana, in un quadro letterario di finzione geografica su di una isola (anzi ex-penisola), esistente in quella contemporaneità (1516), ma non effettivamente raggiungibile.
L’espediente narrativo, ricco di ironia, consentiva a More di spingersi nella critica alla società del suo tempo limitando i pericoli di repressione, e si ricollegava ad una tradizione letteraria di viaggi fantastici e mondi immaginari di origine classica (da Luciano di Samosata - e forse anche dagli Argonauti - a Platone ed epigoni) ed anche cristiana e medievale (Atti degli Apostoli; Bonvesin della Riva ed a mio avviso forse anche Agostino e Dante, ed il mito del regno esotico del “Prete Gianni”): ma Mordacci evidenza come More si staccasse da tali modelli, sia per la scarsa importanza data alla componente viaggio&avventura e mitologia, sia per l’aderenza alla realtà “da capovolgere”, laddove Platone nel Crizia si riferisce ad un mitico passato di semi-dei, e nella Repubblica e nelle Leggi invece ad un riordino radicale dell’anima umana (quanto meno per i “custodi”, ovvero militari e filosofi), in funzione del buon governo della società.

Con una voluta ambiguità lessicale, il neologismo grecizzante “Utopia” coniato da More, significava sia “non-luogo, nessun luogo” (da cui anche l’Isola-Che-Non-C’è di Peter Pan), sia “Eu-topia”, ovvero “luogo buono”: una repubblica fondata sulla comunanza dei beni e sulla ripartizione egualitaria del lavoro necessario, a turni, nell’agricoltura, con una giornata lavorativa di 6 ore, e molto spazio per il sapere, le arti, la ricerca della felicità, e molti altri dettagli sulla famiglia, le istituzioni e la giustizia (moderatamente repressiva), nonché la libertà religiosa [B]; ed una politica estera prudentemente isolazionista, per prevenire l’imperialismo sia proprio che altrui; infine Utopia aveva anche una sua storia ed un divenire progressivo.

L' utopia - Tommaso Moro - copertina

Figura 1 – un’immagine editoriale dell’Utopia di Thomas More

Contrapponendolo al realismo senza orizzonti del contemporaneo Machiavelli, e inquadrandolo nel contesto rinascimentale, Mordacci sottolinea, tra i caratteri dell’Utopia di More, la concretezza dell’immaginazione e la incarnazione razionale delle speranze di giustizia, in un’opera che riassorbe e trascende il programma politico-costituzionale e l’Allegoria del Buon Governo, ma non va confusa con la profezia, l’escatologia  di un futuro Paradiso (e tanto meno con il rimpianto dell’età dell’oro).


GLI SVILUPPI DEL PENSIERO UTOPICO NELL’ETA’ MODERNA

Tali aspetti escatologici invece in parte si intrecciano con le successive fortune dell’Utopia come “genere letterario”, fondato o ri-fondato da More, ad esempio nella “Città del Sole” di Tommaso Campanella (1602), di impronta teocratica e monastica (con una rigida eugenetica, già presente in Platone), oppure nell’incompiuta “Nuova Atlantide” di Francis Bacon (1627), di carattere scientista, ma assai gerarchizzata.

Facendo propria la distinzione, espressa nel 1929 dal sociologo Karl Mannheim[C]  tra utopia ed ideologia, dove la prima tende a rompere l’ordine sociale prevalente, mentre la seconda resta ancorata al presente, ma finisce per cristallizzarlo, occultando e mistificando la realtà in difesa degli interessi dominanti, il testo di Mordacci esamina le componenti utopiche delle teorie politiche progressive emerse nei secoli successivi a Thomas More, ed in particolare:
-       l’illuminismo, con numerosi autori che si cimentano sia nei racconti di viaggio (veri o presunti) anche come occasione di critica sociale (a partire dalle “Lettere persiane” di Montesquieu oppure dal Telemaco di Fenelon, con il suo Salento immaginario), sia nella progettualità politica esplicita, dall’Abbé di Saint-Pierre (da cui Kant si ispira per la pace perpetua) a Rousseau, e nel mezzo Condorcet, il cui frammento su Atlantide (proiettato al futuro e non verso il passato) include anticipazioni assai interessanti, come la parità dei diritti per le donne e la discussione pubblica sulla ricerca scientifica;
-       i socialismi utopisti ottocenteschi di Saint Simon, di Fourier e di Owen, parzialmente sperimentati in Comuni, Falansteri, opifici e comunità locali, con diversi presupposti e analoghi fallimenti, e l’anarchismo individualista di Proudhon, tutti duramente criticati quali ingenui sognatori ed imbelli interclassisti, e di fatto superati dal “socialismo scientifico” di Marx ed Engels, effettivamente molto più attrezzato nell’analizzare la concretezza delle condizioni sociali e la dinamica degli scontri di classe, salvo ricadere, per le sue pretese “scientifiche”, nella rigidità delle (erronee)  previsioni sul glorioso cammino rivoluzionario del proletariato: una sorta di utopia che da “possibile” diverrebbe “necessaria”.


IN CONTRAPPOSIZIONE, LE “DISTOPIE”

Ma nell’Ottocento, mentre il marxismo si contrappone all’utopismo filantropico e nel contempo sequestra e cerca di monopolizzare nel suo progetto le istanze di trasformazione sociale (il che non esclude la rivalutazione dell’Utopia classica da parte di Kautski – dirigente tedesco della 2^ Internazionale – e poi da parte del filosofo Ernst Bloch[D] , cui aggiungerei l’utopismo evangelico di molti predicatori del socialismo in seno al popolo, come ad esempio Camillo Prampolini), il diffondersi della paura borghese per lo “spettro del comunismo” induce intellettuali e politici liberali, pur di tradizione progressista, come Stuart Mill e Bentham, a schierarsi apertamente contro i pericoli di ogni utopismo, coniando anzi – 1868 - i termini di “distopia” e “cacotopia” per descrivere le inevitabili conseguenze liberticide e catastrofiche di ogni pretesa ricerca di una società perfetta: ciò benché all’origine del pensiero liberale fosse presente una certa dose di utopismo (come Bloch rileva a proposito dello stesso Adam Smith).

Mordacci rammenta che il primo archetipo della “distopia” è incluso nella stessa Bibbia, dove la narrazione sulla Torre di Babele indicherebbe un intervento diretto dello stesso Dio per stroncare le pretese comunicative (una sola lingua) e costruttive (la scalata al cielo) di quella comunità mesopotamica.
Ci racconta poi del florido sviluppo della distopia, dall’Ottocento e ancor di più nel Novecento, a fronte dei successi, nefandezze e crolli dei grandi stati totalitari (ma io non disdegnerei di affiancarci anche nefandezze “democratiche”, come le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki), nella letteratura e poi nel cinema, con svariati contenuti, che l’Autore distingue in:
-       totalitari e fantascientifici, da Zamjatin a Orwell, da Aldous Huxley a Fahrenight 451, Blade Runner, ecc.
-       post-apocalittici, in conseguenza di disastri naturali oppure indotti da mostruosità iper-tecnologiche.


VARIAZIONI SUL TEMA, NELLA CRISI DELLA MODERNITA’

L’Autore individua – in diverse parti del testo -  i seguenti pensatori, nodali nella critica all’utopia e dintorni, dal secondo Novecento in qua (in parte anche da me considerati in precedenti articoli 3 ):
-       Herbert Marcuse (1898-1979), che – partito dal conflitto tra principio di piacere e principio di realtà in Freud (che già confinava l’utopia nella fantasia) – approda ad una visione disincantata, in cui non solo il lavoro ma anche il consumo risulta “alienato”, e le pulsioni libertarie aleggiano come teorie inoffensive, perché anestesizzate dalla “tolleranza repressiva”, che riassorbe le trasformazioni graduali, mentre restano invariati i sostanziali meccanismi di dominio;

-       Michel Foucault (1926-1984), che - indagando sull’uomo e sulla società - da un lato confina l’utopia nella proiezione soggettiva dell’individuo e del suo corpo, che ha una “spietata topia” (la ritrova nello specchio, nell’amore, nella morte), ma tende a sfuggirne con varie trasfigurazioni, dall’altro rileva che socialmente – invece di luoghi fantastici di armonia “utopica” – esistono concrete “etero-topie”, luoghi “altri” (di cui Foucault propone una articolata tassonomia), spesso rimossi dalla vita quotidiana, in cui si svolgono funzioni peculiari, e dove i rapporti sociali sono alterati/sospesi/invertiti: dai giardini ai cimiteri, dalle carceri ai manicomi, fino alle navi ed in particolare alle crociere (che sono una sorta di parodia dell’utopia, tutta risolta nel consumismo più sfacciato);

-       Hans Jonas (1903-1993), che – preoccupato per gli effetti accumulativi del “progresso infinito” (anche nella versione marxista), ai danni dell’ambiente – denuncia come perniciosa “utopia moderna” il connubio tra la tradizione della profezia giudaico-cristiana e la “hybris” scientifico-tecnologica, ed invoca invece la necessità  di subordinare le applicazioni della ricerca scientifica ad un ragionevole “principio di precauzione”, fino a paventare l’opportunità di una sorta di “eco-dittatura” per arginare i pericoli di una “democratica” distruzione della biosfera;

-       Zigmunt Bauman (1925-2017) , che - nel tentativo di decifrare la deriva della società contemporanea - introduce tra l’altro il concetto di retro-topia, come sintesi del processo di disgregazione sociale, sfiducia nello stato, insicurezza, caduta delle speranze in un futuro migliore (collettivo)  e quindi ricerca di una (illusoria) salvezza individuale, ma con il mito di un passato localista e tribale, che scarica sulla ”globalizzazione” tutte le colpe per i disagi dell’esistenza. Associandosi anche alla lettura di Svetlana Boym (1966-2015) sulla “grande nostalgia” della fine del XX secolo, in cui l’individuo rimpiange l’infanzia (regressione narcisista al ventre materno) e la comunità rifiuta la storia e la responsabilità della storia.


RITORNO ALL’UTOPIA E SUO RILANCIO: ANTEROTOPIA

Ma tra i filosofi di fine Novecento, Mordacci rileva anche la rinascita di correnti favorevoli all’utopia come (paradossalmente), in campo liberale, Robert Nozick (1938-2002), teorico di uno stato minimo (che si occupa solo di sicurezza e di libertà del mercato) ed invece in campo democratico il più noto John Rawls (1921-2002), che prospetta una sorta di “utopia realistica”, dove ordinamenti illuminati favoriscono la coesistenza pacifica tra comunità pluraliste, assicurando diritti sociali minimi (fondandosi però sulla proprietà privata, per “evitare sprechi”, diversamente che nel modello comunistico di More).

Ed è soprattutto lo stesso Mordacci, riprendendo nella parte finale del testo diversi spunti già seminati nel corso della trattazione storica, ad affermare l’attualità e la praticabilità dell’Utopia, sviluppando e attualizzando le intuizioni umanistiche di Thomas More, fino ad articolare la proposta di una anterotopia, ovvero la prefigurazione di un luogo davanti a noi in cui la critica alle forme (e deformazioni) attuali della convivenza umana si traduca in una visione complessiva e coordinata, “uno sforzo creativo ordinato e costruttivo”, nella scala globale necessaria per fronteggiare le emergenze climatico-ambientali, tentando di dare un senso al nostro muoversi nella storia, in contrapposizione:
-       ai pensieri nostalgici e reazionari, al determinismo catastrofico, al cinico compiacimento della decadenza
-       al nichilismo post-moderno (oggetto polemico di un altro recente libro di Mordacci 4, che ancora non ho letto) che dal relativismo sfocia nel solipsismo o nella retro-topia.

Secondo Mordacci, la velocità delle trasformazioni tecnologiche e sociali in atto, pur generando alienazione, non deve impedirci di leggerle in correlazione alle precedenti “grandi svolte” dell’umanità, come la stampa di Gutenberg ai tempi della riforma luterana, oppure il motore a vapore nell’età illuminista, per comprendere:
- da un lato, che molte conquiste nel frattempo raggiunte erano in precedenza considerate utopie (istruzione di massa, sanità pubblica, diritti personali e tolleranza religiosa, tutela delle donne e dei bambini, dei lavoratori, di svariate minoranze)
- d’altro lato, che – pur nell’incertezza del suo farsi – la rivoluzione digitale in atto può aprirsi a nuove utopie (che vengono contrastate così come in passato lo erano le conquiste suddette), anche se per ora non hanno un disegno unitario: dalla riduzione generale degli orari di lavoro alla ridistribuzione del reddito, dalla ricerca della felicità (in luogo dell’arido “PIL”) alla libera circolazione delle persone attraverso i confini (com’è oggi quasi solo dentro l’Europa), fino alla “più colossale” (e più urgente) “delle utopie”, ovvero lo “sviluppo sostenibile”.

In contrasto con Jonas (vedi sopra), l’Autore ritiene che la tecnologia non vada demonizzata, ma che solo una “tecnica sostenibile” possa rientrare nel percorso verso i 17 “Goals” individuati dall’ONU come orizzonte positivo dell’umanità: però l’urgenza della questione ambientale richiede una visione cosmopolita, che vada oltre la mera coesistenza, e costruisca una convivenza giusta e cooperativa, una “repubblica di repubbliche sovrane”.
Se sul piano psicologico ed emotivo il desiderio di giustizia dà valore alla vita, l’utopia diviene necessaria ed ineludibile come pensiero razionale e consapevole (non solo però sistema logico, ma immaginazione, narrazione del possibile), per costituire l’unica alternativa alla crisi[E] ed alla rassegnazione catastrofica.


QUALCHE RIFLESSIONE CRITICA

Se per un redattore di “Utopia21” il libro di Mordacci è evidentemente di gran conforto (ed anche di monito ad utilizzare con precisione il temine di “utopia” ed i suoi derivati), mi sento comunque di esprimere qualche riserva:

-       sull’inquadramento storico dell’opera di More proposta da Mordacci, perché:
o   tralascia di rapportare il pensiero di More alla sua (successiva) condotta pratica, come ministro e persecutore degli eretici luterani (come già ho segnalato in nota B),
o   sottovaluta la componente profetica del pensiero religioso cristiano (anche quando non configurata come canonica “utopia”) quale tensione ricorrente rispetto agli assetti del potere (come invece ben tratteggiato da Paolo Prodi 5), da Agostino a Francesco d’Assisi, dai catari ai patari, da Valdo a fra Dolcino, da Giordano Bruno allo stesso Ignazio da Loyola (vedasi le missioni gesuite in Sud America),
o   trascura le correnti utopiche estranee  (o parzialmente estranee) al pensiero occidentale, come negli ultimi cent’anni Gandhi, Mandela e M.L.King 6, ed i loro ascendenti extra-europei;

-       sulla contrapposizione al pensiero post-moderno: a mio avviso occorre arrivare ad un programma di azione cosmopolita (per la pace, l’uguaglianza e la salvezza della biosfera) anche attraverso la critica serrata alle presunzioni scientiste della modernità (per esempio LeCorbusier) e attraverso il dubbio sistematico verso ogni certezza: atteggiamento necessario anche per meglio capire gli altri, cioè sia “le ragioni” (o almeno le pulsioni ed linguaggio) degli avversari[F],  sia le diverse logiche dei possibili e necessari alleati (a partire ad esempio da Papa Bergoglio, che si fonda con evidenza su un' “Utopia” diversa);

-       sull’auto-sufficienza e sulla rappresentatività di un “nuovo umanesimo”, da una parte verso le altre specie viventi, dall’altro all’interno dell’umana specie, che non a caso si  muove divisa (oggi assai confusamente) in una serie di conflitti, etnici, religiosi, sociali: senza approfondire una adeguata “teoria dei conflitti”, c’è il rischio di ri-proporre – galleggiando sui conflitti stessi, oppure un domani da questi sommersi - una concezione illuministica/paternalistica, al limite anche potenzialmente totalitaria (occorre cioè capire che la  mia utopia può essere molto diversa non solo da quella del Papa, ma da quella di una donna nigeriana, di un giovane nero haitiano, di un dissidente tibetano, ecc. ecc.);

-       e comunque, pur restando tra gli intellettuali progressisti europei, sulla difficile componibilità concettuale di un grande affresco utopico unitario (“coordinato negli scopi, nelle realizzazioni, negli attori”, come postula Mordacci), sia riguardo alla divergenza delle discipline scientifiche e dei linguaggi (come già ipotizzava Mannheim, citato da Mordacci a pag. 24), sia riguardo alla lettura critica dello stato di cose presenti, che può essere molto differenziata, a mio avviso, soprattutto in merito al “nocciolo” del tecno-capitalismo (si veda in proposito il confronto tra Ferraris e Demichelis, ampiamente illustrato su UTOPIA218); lo mostrano ad esempio anche le diverse, e non sempre complementari, elaborazioni dell’ASVIS di Giovannini rispetto al FORUM di Barca, pur coerenti ambedue con i 17 Goals dell’ONU (che sono necessariamente alquanto generici).
Pertanto, a mio avviso, la costruzione di auspicabili livelli di unità di azione verso gli obiettivi condivisibili, indicati da Mordacci, può essere solo una ricerca molto parziale e faticosa di “minimi (massimi) comuni denominatori” tra soggetti diversi, rispetto alla quale le prefigurazioni utopiche sono soprattutto necessari ma temporanei strumenti (come lo sono gli “scenari” abitualmente utilizzati nelle scienze probabilistiche, quali la climatologia, e nelle scienze sociali, quali l’economia, la demografia, l’urbanistica): nella permanente consapevolezza della odierna “complessità” dell’insieme uomo/mondo.

Per parte mia non so se una “utopia relativista” è possibile, ma temo che sia comunque necessaria, date le immani dimensioni dei problemi da risolvere per salvare (da se stessa) l’umanità: nel contempo mi rendo conto che molti altri la pensano diversamente, anche sulla stessa natura dei suddetti problemi. Per questo mi preoccupa invece l’ipotesi di una “utopia fondamentalista”, anche se laica, ugualitaria e ambientalista.



Fonti:
1.    Roberto Mordacci – RITORNO A UTOPIA – Laterza, Bari 2020
2.    Thomas More – UTOPIA – tra le varie edizioni: Feltrinelli, Milano 2016
3.    Aldo Vecchi - UTOPIE, TRA FILOSOFIA E PSICANALISI – Quaderno n° 11 di UTOPIA21, settembre 2019 https://drive.google.com/file/d/1aExhFltmWwSyn0N3ld5ZP5rzAsTFEeL8/view?usp=sharing
4.    Roberto Mordacci – LA CONDIZIONE NEOMODERNA – Einaudi, Torino 2017
5.    Paolo Prodi – SETTIMO NON RUBARE – Il Mulino, Bologna 2009, e – IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE – Il Mulino, Bologna 2015, da me recensiti su UTOPIA 21, nel marzo 2017  - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQ29aT0Q2QjhvSG8/view - e settembre2018 - https://drive.google.com/file/d/1yhn8fOy9AWX1zXrx1LjcxtqaMJ2opsHk/view.
6.    Aldo Vecchi – TRE RIFLESSIONI POLITICHE: ’68, POPULISMO, NONVIOLENZA - Quaderno n° 9 di UTOPIA21, settembre 2019 https://drive.google.com/file/d/1B4slM22JS6pimQksVvuKm3zldsaOc8fZ/view?usp=sharing
7.    Fulvio Fagiani - UTOPIA PER REALISTI DI RUTGER BREGMAN – su UTOPIA21 del novembre 2017 . https://drive.google.com/file/d/1bzTcvMqU8CAYWU58Wm-zJ4QIQGGwJMF9/view.
8.    Fulvio Fagiani e Aldo Vecchi - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E UMANITÀ’ – su UTOPIA21 del novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1kfQ6QaOfbN_IiJCPZMlkIEikXUFzBynG/view.


[A] intellettuale umanista inglese – 1478-1535 -,  fu anche primo ministro sotto Eduardo VIII Tudor, che lo fece infine giustiziare perché More – cattolico – non accettò lo scisma protestante anglicano
[B] Libertà religiosa teorizzata da Thomas More, ma non altrettanto praticata nella sua successiva carriera politica di oppositore, piuttosto feroce, alla riforma luterana
[C] Ebreo tedesco, nato a Budapest nel 1893 e morto a Londra nel 1947, passato attraverso il marxismo di Lukacs ed il sociologismo di Max Weber
[D] Ernst Bloch (1885/1977) filosofo marxista tedesco, rivaluta l’utopia e la speranza come valenze antropologiche che muovono la storia in ogni tempo
[E] Mordacci richiama anche il contributo di Rutger Bregman (recensito su Utopia21 da Fulvio Fagiani come autore di “Utopia per realisti”7) in particolare riguardo alla mancanza di alternative, anche solo immaginate, da parte del mondo intellettuale, anche di opposizione, spiazzato di fronte alla crisi iniziata nel 2007
[F] Non dimenticando che tra gli avversari di uno sviluppo sostenibile vi siamo in parte noi stessi, data la pervasività sociale del modello consumista e più in generale del paradigma tecno-capitalista “senza alternative”.

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