mercoledì 25 marzo 2020

UTOPIA21 - MARZO 2020 - L’UTOPIA DEL RIFORMISMO?



Una riflessione aperta sulla possibilità di un salto “utopico” per conseguire gli obiettivi ambientali e sociali che oggi appaiono necessari, a partire da un intervento del Presidente della Repubblica: il tutto però da rivedere attraverso l’esperienza della pandemia Coronavirus

Riassunto:
-   - gli obiettivi ONU 2030 ed Europa 2050, secondo Giovannini (ASVIS) e secondo il Presidente Mattarella: scenario utopico?
-    - per raggiungerli occorrono trasformazioni profonde nello stato delle cose presenti (cioè nel tecno-capitalismo)
-  - le alternative politico-ideologiche in campo quali varianti inefficaci per tali trasformazioni
-       - la speranza di movimenti di massa consapevoli della pluralità dei punti di vista, degli inevitabili conflitti e delle difficoltà nella ricerca del consenso e nella costruzione del progetto di transizione


Mi permetto di utilizzare (spero non scorrettamente), una lunga citazione dall’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2019-2020 dell’Università degli Studi di Parma1, in data 29/11/2019, intervento correlato ad un relazione del presidente dell’ASVIS Enrico Giovannini (il cui pensiero è già noto ai lettori di UTOPIA212,3,4,5 ):

Vorrei anche sottolineare, in questo brevissimo saluto, il significato della scelta di porre al centro la fondamentale questione della sostenibilità dello sviluppo, d’altronde attestata da questo Ateneo con il rapporto sulla sostenibilità che ho appena ricevuto dal Magnifico Rettore.
Sostenibilità evoca quel complesso ampio di questioni e di nodi strategici che condizionano il futuro dell’umanità, e che poc’anzi il Professor Giovannini ha così lucidamente illustrato in maniera coinvolgente e persuasiva. Questioni che riguardano, appunto, la realtà, il futuro dell’umanità.
Non avrei nulla da aggiungere a quanto detto dal Professor Giovannini, non saprei farlo neppure con l’efficacia con cui lui vi ha provveduto. Ma vorrei che fosse recepito il senso di futuro che ha proiettato con la sua prolusione. Sottolineo soltanto l’importanza degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e l’importanza dell’obiettivo che si è data la nuova Commissione dell’Unione europea, con l’intendimento dichiarato di fare dell’Unione Europea, per il 2050, una realtà neutra dal punto di vista ambientale, una realtà che non contribuisca più in alcuna misura, neanche minima, all’inquinamento del globo.
È’ un obiettivo impegnativo, non semplice, ma possibile. Ed è impegnativo, da sostenere in ogni modo. Credo che le alternative che poc’anzi il Professor Giovannini ci ha presentato richiedano una riflessione. Mi limito ai due punti alternativi che mi sembrano preminenti rispetto ai quattro che ha indicato: la retrotopia e l’utopia. Gli altri mi sembrano abbastanza di nicchia. Non il primo, quello di andare avanti così come si è – che è diffuso, ma è quello meno affascinante - ma quello di andare su un’astronave o in Nuova Zelanda mi pare abbastanza di nicchia.
Ma gli altri due sono invece i veri poli alternativi che abbiamo di fronte. Perché c’è una forte tentazione, di fronte alle novità, di tornare al passato. È come un capovolgimento della prospettiva che vi si è sempre stata. Tutti ricorderanno lo splendido dialogo che Giacomo Leopardi pone tra un venditore di almanacchi e un passeggere. Il venditore di almanacchi asserisce, comprensibilmente, che ogni anno che verrà è migliore di quello che l’ha preceduto. E, con grande garbo e con grande raffinatezza, Leopardi in quel dialogo, in quello scritto, ci spiega che in realtà è il fascino del futuro che rende migliore l’attesa dell’anno a venire, degli anni a venire. Il fascino del futuro, il fascino di quello che l’umanità può fare di stagione in stagione, contro la tentazione e la pretesa che i giovani siano ingabbiati nelle formule, negli strumenti e nelle soluzioni del passato, dei vecchi che li hanno preceduti. Questa è un’indicazione di fondo che non può che far optare ovviamente per l’utopia, che è tutt’altro che uscire dalla realtà, è tutt’altro che una fuga dal reale.
E, del resto, quando Tommaso Moro, cinque secoli addietro, scrisse ‘Utopia’ poi adottò comportamenti così concreti nella vita reale da sacrificare la propria vita a un obbligo morale. Perché in realtà, Professor Giovannini, tra utopia e dovere morale c’è una strettissima connessione.”

Come è noto il professor Giovannini, già presidente dell’ISTAT e poi brevemente ministro del Lavoro nel Governo Letta  (2013-2014), non è diventato un rivoluzionario, ma “si limita” ad esplicare nella realtà europea ed italiana i contorni concreti degli obiettivi “ONU 2030”, che legano le problematiche ambientali a quelle socio-economiche.
Parimenti rivoluzionario non risulta finora il Presidente Mattarella, che però non esita a cogliere, dalla relazione di Giovannini, la necessità di una svolta utopica, seppur ‘realistica’, per perseguire effettivamente tali obiettivi di carattere “riformistico”.

Rinviando alla recensione sul libro di Roberto Mordacci, che pubblico in questo numero di UTOPIA213 (ed a numerosi scritti di Fulvio Fagiani6,7,8,9,10), l’approfondimento sul rapporto tra realismo ed utopia, vorrei qui esporre la mia convinzione (pur non esente da dubbi) che le riforme oggi necessarie per “salvare la biosfera”, in un contesto di cooperazione pacifica, ci sembrino difficilmente realizzabili, e quindi imparentate con l’utopia, perché la loro attuazione si scontra con la permanenza di un sistema di dominio, per semplicità denominabile come “tecno-capitalista”, che è profondamente radicato anche in quanto “paradigma antropologico”.

Così mi sembra si possa leggere presso autorevoli e differenziate fonti (già commentate su UTOPIA21), tra cui Papa Bergoglio (Enciclica Laudato sì” 11,12,13):
 “Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale.”
Oppure il professor Lelio Demichelis 14,15:
La tecnica ucciderà la democrazia, ha detto – e noi condividiamo – il filosofo Emanuele Severino; ma a differenza di Severino (che li crede diversi) noi sosteniamo che tecnica e capitalismo sono una cosa sola (appunto: tecno-capitalismo), perché i loro scopi apparentemente diversi – l’accrescimento infinito del profitto privato, il capitalismo; l’accrescimento infinito della propria potenza, la tecnica – sono funzionali e integrati l’uno all’altro.

In tale ipotesi, non si tratta genericamente di elaborare “un” progetto di trasformazione (tra i molti che sono teoricamente possibili), ma di ricercare il superamento della specifica crisi del “presente stato delle cose”: il che non è affatto scontato, perché non è per nulla facile accordarsi, usando un comune linguaggio, su quali ”cose” non vanno bene, e perché, e come cambiarle, in quale direzione, ed a chi credere, quando spesso (vedi anche il movimento delle Sardine), come il poeta Montale “codesto solo … possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” 16.

Ma anche se non abbiamo granitiche certezze, l’evidenza dei problemi ambientali e sociali, e la loro dimensione mondiale, ci inducono ad esprimere ad alta voce l’espressione del nostro pensiero critico (ciascuno il proprio, ma cercando di capirsi e di confrontarsi), nella riflessione sugli errori compiuti nella recente storia dell’umanità.
Senza arrivare ad una equiparazione totalitaria (e perciò, di fatto, qualunquistica), mi sembra di poter affermare che il successo della rivoluzione industriale abbia portato alla fine del Novecento ad una assimilazione delle alternative socio-politiche attive (che di seguito tenterò di classificare) attorno al nucleo forte del suddetto tecno-capitalismo, rispetto al quale si sono poste o si pongono come mere varianti “ideologiche” (nel senso marxiano di “falsa  coscienza” ovvero “mascheramento di interessi”): perché nessuna di esse ha finora scalfito sostanzialmente il paradigma culturale dominante della delega alla tecnica, né l’assetto sociale fondato sullo sfruttamento del lavoro subordinato e sull’accumulazione del capitale finanziario:

-       Il “socialismo reale”, come l’abbiamo conosciuto dalla rivoluzione russa del 1917 alla caduta del muro di Berlino nel 1989, non è fallito solo per la mancanza di libertà e la scarsa efficienza produttiva, ma anche per aver sostanzialmente riproposto una divisione classista del lavoro e del potere, sia pure concentrando quest’ultimo e l’accumulazione finanziaria nelle mani di una oligarchia statalista, anziché delle imprese private; subordinando nel contempo la natura e l’ambiente ad ogni sorta di prevaricazione, in nome dello sviluppo industrialista (fino a sbattere in disastri epocali, come la contaminazione nucleare di Chernobyl); pertanto risulta scarsa la credibilità e l’attrattività dei pochi epigoni attuali;

-       Il sistema cinese, come si è evoluto dalla fine degli anni ’70 del 900, dopo il tramonto del Maoismo (ed imitato anche in Vietnam e dintorni), pur conseguendo importanti risultati in termini di sviluppo economico (partendo da immani condizioni di povertà materiale), conferma il monopolo del potere politico ad un solo Partito ed affida il dinamismo sociale a meccanismi esplicitamente capitalistici, temperati da originali forme di dirigismo statale[1]: con sensibilità ambientali solo recenti e di incerto esito;

-       Il neo-liberismo anglosassone, coincidente (senza dissimulazioni) con il paradigma tecno-capitalista, e largamente egemone in tutto il mondo occidentale, malgrado le crisi periodiche che smentiscono la credibilità degli automatismi di mercato per soddisfare i bisogni dell’umanità (e tanto meno dell’ambiente), sta evolvendo verso assetti monopolistici in settori strategici (finanza, informatica e comunicazione), che negano nei fatti anche il mito della concorrenza;

-       Le varianti socialdemocratiche, soprattutto europee (ed europeiste) al neo-liberismo imperante, pur adoperandosi per attenuarne gli effetti più deleteri (disuguaglianze e disgregazione sociale, degrado ambientale), con strumenti in parte resi inefficaci dalla globalizzazione (quali i sindacati e i poteri dei singoli stati), non hanno finora delineato una alternativa politico-culturale complessiva al paradigma “ordo-liberale” 17 (anche se qualche embrione si può ritrovarne, ad esempio, nel programma della Commissione Europea presieduta da Ursula Van der Leyen, come rilevato da Fulvio Fagiani 18);

-       Le varianti sovraniste del modello neo-liberista, pur difficilmente omologabili tra loro, per l’immediata divergenza dei diversi interessi nazionali che pretendono di incarnare, esprimono solo una generica opposizione alla globalizzazione, da cui cercano di estrarre quanto può giovare al consenso elettorale (sì alle esportazioni, filtro alle importazioni, guerra apparente alle migrazioni [2]): oltre – evidentemente - a non mettere in discussione gli assetti fondamentali  del tecno-capitalismo, i sovranisti mancano di una seria teoria della cooperazione internazionale, senza la quale pare difficile non solo gestire l’emergenza climatico-ambientale, ma anche prevenire le guerre, quali potenziali prosecuzioni delle sfide “daziarie”; [3]

-       Le varianti religiose al discorso sovranista, per come si traducono in politiche nazionali (talvolta un po’ stataliste, e spesso illiberali, ma comunque sostanzialmente tecno-capitaliste), dalla Turchia all’India, passando per l’Iran e per l’Arabia Saudita (e vicini Emirati), mi pare abbiano poco da offrire all’attenzione del pubblico laico ed occidentale, mentre il magistero socio-ambientale di Papa Bergoglio (e di quella parte – minoritaria? - della Chiesa Cattolica e del Cristianesimo che lo condividono) – pur chiaramente apprezzabile agli occhi miei e di molti altri lettori dell’enciclica “Laudato sì” 11,12,13 - ha finora il difetto di non corrispondere alla concreta azione politico-economica di nessun partito e di nessuno stato (anche se potrebbe meglio influenzare la sinistra europeista, come si manifesta ad esempio in Spagna e Portogallo e si è manifestata – pur in condizioni di estrema difficoltà - nella Grecia del governo Tsipras).


Se questo è – per sommi capi – il paesaggio geo-politico ed “ideologico” odierno, la speranza di una trasformazione sostanziale della società, che permetta di controllare il cambio climatico, invertire la china distruttiva della bio-diversità, far convivere in pace e con una ragionevole distribuzione del benessere l’intera umanità, rivedendo necessariamente l’organizzazione:
-       del sapere (da estendere a tutti, da controllare socialmente)
-       del lavoro (attraverso l’insubordinazione del lavoro subordinato),
-       delle imprese (più etiche e meno monopolistiche)  e dei mercati (meno selvaggi e più regolati)
-       degli stati (in un quadro di federazioni continentali cooperanti),
può nascere solo da grandi movimenti di massa (a partire dall’esperienza dei giovani dei Friday For Future), che coinvolgano i partecipanti sia come cittadini/elettori, sia come consumatori consapevoli, sia ancora come studenti e lavoratori “critici” (molto interessante in tal senso mi sembra la riflessione all’interno dei sindacati italiani 20,21,22). [4]

In tale complessa e ambiziosa direzione, può essere utile una coraggiosa battaglia culturale, ciascuno con il contributo che meglio può sviluppare (e dove lo ritiene opportuno, dentro o fuori da movimenti, partiti o chiese), nella consapevolezza che il cammino possibile verso una transizione ad un diverso assetto socio-economico ed ambientale (come in parte già tracciato, almeno in termini di ricerca scientifica e culturale da numerosi esperti ed anche da centri di elaborazione ufficiali, ad esempio presso le istituzioni europee 18) dovrà attraversare e – se si riesce – ri-orientare gran parte dei conflitti sociali e politici già aperti, e che il successo può nascere solo dalla faticosa conquista di un consenso maggioritario, e di una capacità di dialogo anche con chi permane fuori o contro tale consenso.


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Quanto sopra esposto dovrà essere integralmente riconsiderato attraverso l’esperienza, che si profila pressoché “globale”, dell’epidemia in corso di “Coronavirus” (oramai riclassificata “pandemia”), che purtroppo, mentre ne scrivo, è particolarmente acuta anche in Italia.

Oltre al carico immediato di morti e lutti, di sofferenze e di angoscia per le persone e le famiglie direttamente colpite (e di stress, e spesso di abnegazione, da parte del personale sanitario), l’epidemia e le direttive per contrastarla stanno determinando una gigantesca alterazione negli assetti economici, sociali ed antropologici dei Paesi coinvolti, come numerosi commentatori già hanno rilevato.
Gli aspetti che mi preme evidenziare, per porre alcune domande cui tenteremo di ripondere nei prossimi  mesi, sono:
-       il capovolgimento delle priorità nelle preoccupazioni quotidiane delle persone, anche quelle non ancora raggiunte o lambite dal virus, sia negli aspetti materlali (proteggersi dal contagio, assicurarsi cibo, farmaci e cure, sopperire alla chiusura di asili e scuole, rispetto alle usuali e pur persistenti necessità di studiare/lavorare, cercare reddito, progettare la propria vita), sia negli aspetti emotivi (la paura della pandemia, e del connesso impoverimento economico ed esistenziale, nasconde, se non rimuove, i timori consolidati – ed anche artificialmente sostenuti -  verso gli stranieri/migranti e  verso le istituzioni sovranazionali ed i connessi occulti poteri);
-       la riduzione temporanea dello “sviluppo” (e purtroppo dell’occupazione, a partire dai lavori più precari nel commercio/turismo/servizi) e la compressione obbligata dei consumi (soprattutto voluttuari), ma non sempre in direzione “ecologica” (per evidenti motivi, la mobilità residua delle persone, se possibile, opta per i mezzi privati e non per il trasporto pubblico);
-       la profonda modificazione dei comportamenti individuali e collettivi, in parte imposta ed in parte (con difficoltà) interiorizzata[5], motivata dalla salute pubblica, in un difficile rapporto di fiducia/sfiducia tra cittadini, esperti ed istituzioni, variamente canalizzato dai mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi (anche qui, se la sobrietà dei consumi si sovrappone agli obiettivi ecologisti, l’isolamento individuale ne rappresenta invece l’opposto, perché una decrescita “felice” dovrebbe combinarsi con un massimo di socialità e di scambi culturali);
-       la sospensione degli usuali meccanismi nella governance effettiva della “cosa pubblica”, sia pure in un quadro di formale rispetto delle regole, con indebolimento dei centri di propaganda politico-mediatici [6], dei partiti e del Parlamento (e forse dello stesso Governo) ed un rafforzamento di organi concertativi di raccordo tra Governo e Regioni, tra tecnici (sanitari) e politici; tra l’altro, con ovvio annichilimento, almeno temporaneo, di movimenti di base, come le “sardine” o i FFF.

E queste sono le domande che mi pongo, dopo quella – fondamentale, valida per ciascuno e per tutti – “se, come e quando usciremo (vivi?) dalla pandemia”:
-       una austerità di questa portata, anche se più “intelligente”, quale è probabilmente quella necessaria per affrontare adeguatamente il cambio climatico e la connessa crisi ecologica, potrebbe essere accettata dalle popolazioni già abituate agli standard di vita e di consumo “occidentali”? anche se funzionale ad una “emergenza” meno capillarmente evidente? ed, in particolare, DOPO, la pesante cura di dimagrimento socio-economico in atto?
-       l’auspicabile superamento della crisi sanitaria e delle conseguenze socio-economiche determinerà inevitabilmente una richiesta corale di rilancio “tal quale” del precedente (e vigente) modello di sviluppo “tecno-capitalista” (pur azzoppato materialmente nella sua dimensione globalista), oppure i frammenti  di solidarismo necessari per contrapporsi alla pandemia (comportamenti disciplinati, concordia istituzionale, credibilità degli esperti, carattere pubblico della sanità, centralità della spesa pubblica) potranno essere valorizzati per costruire una alternativa?



Fonti:
1.    Sergio Mattarella - INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ALLA CERIMONIA DI INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2019-2020 DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA - in data 29/11/2019 https://www.quirinale.it/elementi/42214
2.    Enrico Giovannini – UTOPIA SOSTENIBILE - Laterza, Bari 2018
3.    Fulvio Fagiani - PROGRAMMI PER LA SOSTENIBILITA’ – su UTOPIA21 del maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1SCkVUbP8f9MImeKMD9FZEZTy3r3dAsS8/view
4.    Enrico Giovannini - SLIDES DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA - VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1x8RnF2wIGLpQd6Cw85zLFs1UlvLcHB80/view?usp=sharing
5.    Enrico Giovannini - REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA - VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1_8T0tOUbACvNyLa15K_7B_mtP-e-WYKd/view?usp=sharing
6.    Fulvio Fagiani – L’UTOPIA DI UTOPIA21 – Pubblicato sul numero di ottobre 2016 di UTOPIA21 - http://www.universauser.it/images/Ottobre_2016._Editoriale.pdf-
7.    Fulvio Fagiani – UTOPIA PER REALISTI DI RUTGER BREGMAN – Pubblicato sul numero di novembre 2017 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1bzTcvMqU8CAYWU58Wm-zJ4QIQGGwJMF9/view.
8.    Fulvio Fagiani – L’UTOPIA DEL XXI SECOLO A CINQUANT’ANNI DAL ’68 – Pubbliato sul numero di gennaio 2018 di UTOPIA21 -  https://drive.google.com/file/d/1J3FdaOX5oKmZhWGQ3-1yJgLFpi-Da1ZX/view.
9.    Fulvio Fagiani – IDEE E PROSPETTIVE PER LA TRANSIZIONE – Pubblicato sul numero di settembre 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/12V6iBTJQkOfM69VDbgvpbeqPzsiIphdo/view.
10. Fulvio Fagiani – LE MOLTE TRAPPOLE DELL’UTOPIA E LA NECESSITA’ DELLE NARRAZIONI – Pubblicato sul numero di lugli 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1avDnD_3VlPmdI4YdA4qnXkf5ZkpLzj0j/view.
12. Aldo Vecchi – L’ENCICLICA LAUDATO SI’ DI PAPA BERGOGLIO - https://aldomarcovecchi.blogspot.com/2015/11/lenciclica-laudato-si-di-papa-bergoglio.html
13. Fulvio Fagiani - A TRE ANNI DALL'ENCICLICA "LAUDATO, SI'" – su UTOPIA21 del maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/11T3Ge_Vw6OTmj3_2qd60yxFUOMJOr_6d/view
14. Lelio Demichelis - DEMOCRATIZZARE LA TECNICA, PER SALVARE LA DEMOCRAZIA DAL TECNO-CAPITALISMO
15. Fulvio Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS – su UTOPIA21 del settembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQVBhYlJnelhWZVk/view.
16. Eugenio Montale – OSSI DI SEPPIA – Piero Gobetti Editore, Torino 1925
17. Andrea Kalajzic - ORDOLIBERALISMO ED ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO – Quaderno n° 8 di UTOPIA21 – settembre 2018 https://www.universauser.it/i-quaderni/quaderno-8-ordoliberalismo-ed-economia-sociale-di-mercato.html
18. Fulvio Fagiani - CRISI DELLA GOVERNABILITA’, RISCHI SISTEMICI E SEGNALI POSITIVI – gennaio 2020 - https://drive.google.com/file/d/1zVLO1fcNzT5DOr5wMPkpFGnkSTGX4GA5/view.
19. Manuel Castells – LA NASCITA DELLA SOCIETA’ IN RETE – UBE Paperback, Milano 2008
20. CGIL, CISL, UIL – PER UN MODELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE - https://asvis.it/public/asvis2/files/Documento_Unitario_per_un_modello_di_svilupposostenibile.pdf -  Pubblicato nel 2019.
21. Fulvio Fagiani – IL LAVORO TRA DIGITALIZZAZIONE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – Pubblicato sul numero di gennaio 2020 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1v5kAD-aGrjsDL0w4VJCheuqjYS-8GZzt/view
22. Fulvio Fagiani - CONVERSAZIONE/INTERVISTA CON UMBERTO COLOMBO, SEGRETARIO GENERALE CGIL VARESE – in questo stesso numero di UTOPIA21, marzo 2020



[1] non dissimili forse però dalle concertazioni “corporative” operanti nei vicini stati liberal-democratici di Corea e Giappone (vedi Manuel Castells19)
[2] Perché in realtà a vasti settori delle classi dominanti di ciascun paese ricco conviene poter gestire la sovra-offerta di forza-lavoro degli immigrati, meglio se clandestini o comunque con ridotti diritti politici e sindacali
[3] Temo si debba classificare residualmente come sovranista anche quel che resta di specifico nella proposta politica del MoVimento 5Stelle (resistenze in difesa delle politiche anti-migratorie di Salvini, conati anti-europei, propaganda anti-banche), altrimenti di fatto assimilabile al moderato progressismo del PD post-Renzi, constatandone il necessario abbandono, sul campo dell’esperienza pratica, dell’armamentario populista riguardo alla democrazia diretta ”in rete”, all’intercambiabilità del personale politico (1 vale 1 e rotazione rapida nelle cariche),  alla imminente morte dei partiti; e rammentando che il MoVimento non ha mai messo in discussione il profitto capitalistico, salvo in alcuni aspetti monopolistici (banche, concessionarie autostradali e degli acquedotti), purché non riguardanti il totem della Rete (dove invece il monopolismo si sta  dimostrando feroce e vincente: Google, Apple, Amazon, Facebook, Microsoft… non ancora la Casaleggio associati, che monopolizza solo qualche migliaio di account sulla piattaforma Rousseau).
[4] pur con il rischio che l’automazione li riduca fortemente, ad esempio, i dipendenti di Amazon nel mondo sono oggi prossimi al numero di 800.000: probabilmente al di sopra delle più grandi compagnie dell’era fordista
[5] Ad esempio, in ambito milanese, si fatica a riconoscere, nella disordinata disobbedienza dei persistenti fenomeni di movida giovanile in barba al “coprifuoco” (fino all’inizio di marzo)  oppure nell’affannoso “ritorno a casa” dei fuori sede la sera del 7 marzo) l’eco del pazientissimo popolo degli utenti dell’EXPO 2015, benchè in gran parte socialmente coincidenti; tuttavia nell’insieme sembrano prevalere atteggiamenti consapevoli o addirittura solidali, in controtendenza rispetto all’andazzo preesistente, almeno come rappresentato dei media
[6] Richiamando Stefano Levi della Torre 23, che citava Carl Schmitt “sovrano è chi decide dello stato d’eccezione”  e lo  parafrasava: “sovrano è chi sa decidere dell’ordine del giorno”, mi pare che in questa fase di emergenza “sovrano è il Virus” e quindi toglie spazio ad ogni altra sovranità, compresa quella dei sovranisti

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