Una riflessione aperta
sulla possibilità di un salto “utopico” per conseguire gli obiettivi ambientali
e sociali che oggi appaiono necessari, a partire da un intervento del
Presidente della Repubblica: il tutto però da rivedere attraverso l’esperienza
della pandemia Coronavirus
Riassunto:
- - gli obiettivi ONU 2030
ed Europa 2050, secondo Giovannini (ASVIS) e secondo il Presidente Mattarella:
scenario utopico?
- - per raggiungerli
occorrono trasformazioni profonde nello stato delle cose presenti (cioè nel
tecno-capitalismo)
- - le alternative
politico-ideologiche in campo quali varianti inefficaci per tali trasformazioni
- - la speranza di
movimenti di massa consapevoli della pluralità dei punti di vista, degli
inevitabili conflitti e delle difficoltà nella ricerca del consenso e nella
costruzione del progetto di transizione
Mi
permetto di utilizzare (spero non scorrettamente), una lunga citazione dall’intervento
del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia di
inaugurazione dell’anno accademico 2019-2020 dell’Università degli Studi di
Parma1, in data 29/11/2019, intervento correlato ad un relazione del
presidente dell’ASVIS Enrico Giovannini (il cui pensiero è già noto ai lettori
di UTOPIA212,3,4,5 ):
“Vorrei
anche sottolineare, in questo brevissimo saluto, il significato della scelta di
porre al centro la fondamentale questione della sostenibilità dello sviluppo,
d’altronde attestata da questo Ateneo con il rapporto sulla sostenibilità che
ho appena ricevuto dal Magnifico Rettore.
Sostenibilità
evoca quel complesso ampio di questioni e di nodi strategici che condizionano
il futuro dell’umanità, e che poc’anzi il Professor Giovannini ha così
lucidamente illustrato in maniera coinvolgente e persuasiva. Questioni che
riguardano, appunto, la realtà, il futuro dell’umanità.
Non
avrei nulla da aggiungere a quanto detto dal Professor Giovannini, non saprei
farlo neppure con l’efficacia con cui lui vi ha provveduto. Ma vorrei che fosse
recepito il senso di futuro che ha proiettato con la sua prolusione. Sottolineo
soltanto l’importanza degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu e l’importanza
dell’obiettivo che si è data la nuova Commissione dell’Unione europea, con
l’intendimento dichiarato di fare dell’Unione Europea, per il 2050, una realtà
neutra dal punto di vista ambientale, una realtà che non contribuisca più in
alcuna misura, neanche minima, all’inquinamento del globo.
È’
un obiettivo impegnativo, non semplice, ma possibile. Ed è impegnativo, da
sostenere in ogni modo. Credo che le alternative che poc’anzi il Professor
Giovannini ci ha presentato richiedano una riflessione. Mi limito ai due punti
alternativi che mi sembrano preminenti rispetto ai quattro che ha indicato: la
retrotopia e l’utopia. Gli altri mi sembrano abbastanza di nicchia. Non il
primo, quello di andare avanti così come si è – che è diffuso, ma è quello meno
affascinante - ma quello di andare su un’astronave o in Nuova Zelanda mi pare
abbastanza di nicchia.
Ma
gli altri due sono invece i veri poli alternativi che abbiamo di fronte. Perché
c’è una forte tentazione, di fronte alle novità, di tornare al passato. È come
un capovolgimento della prospettiva che vi si è sempre stata. Tutti
ricorderanno lo splendido dialogo che Giacomo Leopardi pone tra un venditore di
almanacchi e un passeggere. Il venditore di almanacchi asserisce,
comprensibilmente, che ogni anno che verrà è migliore di quello che l’ha
preceduto. E, con grande garbo e con grande raffinatezza, Leopardi in quel
dialogo, in quello scritto, ci spiega che in realtà è il fascino del futuro che
rende migliore l’attesa dell’anno a venire, degli anni a venire. Il fascino del
futuro, il fascino di quello che l’umanità può fare di stagione in stagione,
contro la tentazione e la pretesa che i giovani siano ingabbiati nelle formule,
negli strumenti e nelle soluzioni del passato, dei vecchi che li hanno
preceduti. Questa è un’indicazione di fondo che non può che far optare
ovviamente per l’utopia, che è tutt’altro che uscire dalla realtà, è tutt’altro
che una fuga dal reale.
E,
del resto, quando Tommaso Moro, cinque secoli addietro, scrisse ‘Utopia’ poi
adottò comportamenti così concreti nella vita reale da sacrificare la propria
vita a un obbligo morale. Perché in realtà, Professor Giovannini, tra utopia e
dovere morale c’è una strettissima connessione.”
Come
è noto il professor Giovannini, già presidente dell’ISTAT e poi brevemente
ministro del Lavoro nel Governo Letta
(2013-2014), non è diventato un rivoluzionario, ma “si limita” ad
esplicare nella realtà europea ed italiana i contorni concreti degli obiettivi
“ONU 2030”, che legano le problematiche ambientali a quelle socio-economiche.
Parimenti
rivoluzionario non risulta finora il Presidente Mattarella, che però non esita
a cogliere, dalla relazione di Giovannini, la necessità di una svolta utopica,
seppur ‘realistica’, per perseguire effettivamente tali obiettivi di carattere
“riformistico”.
Rinviando
alla recensione sul libro di Roberto Mordacci, che pubblico in questo numero di
UTOPIA213 (ed a numerosi scritti di Fulvio Fagiani6,7,8,9,10),
l’approfondimento sul rapporto tra realismo ed utopia, vorrei qui esporre la
mia convinzione (pur non esente da dubbi) che le riforme oggi necessarie per
“salvare la biosfera”, in un contesto di cooperazione pacifica, ci sembrino
difficilmente realizzabili, e quindi imparentate con l’utopia, perché la loro
attuazione si scontra con la permanenza di un sistema di dominio, per
semplicità denominabile come “tecno-capitalista”, che è profondamente radicato
anche in quanto “paradigma antropologico”.
Così
mi sembra si possa leggere presso autorevoli e differenziate fonti (già
commentate su UTOPIA21), tra cui Papa Bergoglio (Enciclica Laudato sì” 11,12,13):
“Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare
il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni
sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a
eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca
l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale
e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale.”
Oppure
il professor Lelio Demichelis 14,15:
La
tecnica ucciderà la democrazia, ha detto – e noi condividiamo – il filosofo
Emanuele Severino; ma a differenza di Severino (che li crede diversi) noi
sosteniamo che tecnica e capitalismo sono una cosa sola (appunto:
tecno-capitalismo), perché i loro scopi apparentemente diversi –
l’accrescimento infinito del profitto privato, il capitalismo; l’accrescimento
infinito della propria potenza, la tecnica – sono funzionali e integrati l’uno
all’altro.
In
tale ipotesi, non si tratta genericamente di elaborare “un” progetto di
trasformazione (tra i molti che sono teoricamente possibili), ma di ricercare
il superamento della specifica crisi del “presente stato delle cose”: il che
non è affatto scontato, perché non è per nulla facile accordarsi, usando un
comune linguaggio, su quali ”cose” non vanno bene, e perché, e come cambiarle,
in quale direzione, ed a chi credere, quando spesso (vedi anche il movimento
delle Sardine), come il poeta Montale “codesto solo … possiamo dirti, ciò che
non siamo, ciò che non vogliamo” 16.
Ma
anche se non abbiamo granitiche certezze, l’evidenza dei problemi ambientali e
sociali, e la loro dimensione mondiale, ci inducono ad esprimere ad alta voce
l’espressione del nostro pensiero critico (ciascuno il proprio, ma cercando di
capirsi e di confrontarsi), nella riflessione sugli errori compiuti nella
recente storia dell’umanità.
Senza
arrivare ad una equiparazione totalitaria (e perciò, di fatto, qualunquistica),
mi sembra di poter affermare che il successo della rivoluzione industriale
abbia portato alla fine del Novecento ad una assimilazione delle alternative
socio-politiche attive (che di seguito tenterò di classificare) attorno al
nucleo forte del suddetto tecno-capitalismo, rispetto al quale si sono poste o
si pongono come mere varianti “ideologiche” (nel senso marxiano di “falsa coscienza” ovvero “mascheramento di
interessi”): perché nessuna di esse ha finora scalfito sostanzialmente il
paradigma culturale dominante della delega alla tecnica, né l’assetto sociale fondato
sullo sfruttamento del lavoro subordinato e sull’accumulazione del capitale
finanziario:
-
Il
“socialismo reale”, come l’abbiamo conosciuto dalla rivoluzione russa del 1917
alla caduta del muro di Berlino nel 1989, non è fallito solo per la mancanza di
libertà e la scarsa efficienza produttiva, ma anche per aver sostanzialmente
riproposto una divisione classista del lavoro e del potere, sia pure
concentrando quest’ultimo e l’accumulazione finanziaria nelle mani di una
oligarchia statalista, anziché delle imprese private; subordinando nel contempo
la natura e l’ambiente ad ogni sorta di prevaricazione, in nome dello sviluppo
industrialista (fino a sbattere in disastri epocali, come la contaminazione
nucleare di Chernobyl); pertanto risulta scarsa la credibilità e l’attrattività
dei pochi epigoni attuali;
-
Il
sistema cinese, come si è evoluto dalla fine degli anni ’70 del 900, dopo il
tramonto del Maoismo (ed imitato anche in Vietnam e dintorni), pur conseguendo
importanti risultati in termini di sviluppo economico (partendo da immani
condizioni di povertà materiale), conferma il monopolo del potere politico ad
un solo Partito ed affida il dinamismo sociale a meccanismi esplicitamente
capitalistici, temperati da originali forme di dirigismo statale[1]: con sensibilità
ambientali solo recenti e di incerto esito;
-
Il
neo-liberismo anglosassone, coincidente (senza dissimulazioni) con il paradigma
tecno-capitalista, e largamente egemone in tutto il mondo occidentale, malgrado
le crisi periodiche che smentiscono la credibilità degli automatismi di mercato
per soddisfare i bisogni dell’umanità (e tanto meno dell’ambiente), sta
evolvendo verso assetti monopolistici in settori strategici (finanza,
informatica e comunicazione), che negano nei fatti anche il mito della
concorrenza;
-
Le
varianti socialdemocratiche, soprattutto europee (ed europeiste) al
neo-liberismo imperante, pur adoperandosi per attenuarne gli effetti più
deleteri (disuguaglianze e disgregazione sociale, degrado ambientale), con
strumenti in parte resi inefficaci dalla globalizzazione (quali i sindacati e i
poteri dei singoli stati), non hanno finora delineato una alternativa
politico-culturale complessiva al paradigma “ordo-liberale” 17 (anche
se qualche embrione si può ritrovarne, ad esempio, nel programma della
Commissione Europea presieduta da Ursula Van der Leyen, come rilevato da Fulvio
Fagiani 18);
-
Le
varianti sovraniste del modello neo-liberista, pur difficilmente omologabili
tra loro, per l’immediata divergenza dei diversi interessi nazionali che
pretendono di incarnare, esprimono solo una generica opposizione alla
globalizzazione, da cui cercano di estrarre quanto può giovare al consenso
elettorale (sì alle esportazioni, filtro alle importazioni, guerra apparente
alle migrazioni [2]):
oltre – evidentemente - a non mettere in discussione gli assetti fondamentali del tecno-capitalismo, i sovranisti mancano
di una seria teoria della cooperazione internazionale, senza la quale pare
difficile non solo gestire l’emergenza climatico-ambientale, ma anche prevenire
le guerre, quali potenziali prosecuzioni delle sfide “daziarie”; [3]
-
Le
varianti religiose al discorso sovranista, per come si traducono in politiche
nazionali (talvolta un po’ stataliste, e spesso illiberali, ma comunque
sostanzialmente tecno-capitaliste), dalla Turchia all’India, passando per
l’Iran e per l’Arabia Saudita (e vicini Emirati), mi pare abbiano poco da
offrire all’attenzione del pubblico laico ed occidentale, mentre il magistero
socio-ambientale di Papa Bergoglio (e di quella parte – minoritaria? - della
Chiesa Cattolica e del Cristianesimo che lo condividono) – pur chiaramente
apprezzabile agli occhi miei e di molti altri lettori dell’enciclica “Laudato
sì” 11,12,13 - ha finora il difetto di non corrispondere alla
concreta azione politico-economica di nessun partito e di nessuno stato (anche
se potrebbe meglio influenzare la sinistra europeista, come si manifesta ad
esempio in Spagna e Portogallo e si è manifestata – pur in condizioni di
estrema difficoltà - nella Grecia del governo Tsipras).
Se
questo è – per sommi capi – il paesaggio geo-politico ed “ideologico” odierno,
la speranza di una trasformazione sostanziale della società, che permetta di
controllare il cambio climatico, invertire la china distruttiva della
bio-diversità, far convivere in pace e con una ragionevole distribuzione del
benessere l’intera umanità, rivedendo necessariamente l’organizzazione:
-
del
sapere (da estendere a tutti, da controllare socialmente)
-
del
lavoro (attraverso l’insubordinazione
del lavoro subordinato),
-
delle
imprese (più etiche e meno monopolistiche) e dei mercati (meno selvaggi e più regolati)
-
degli
stati (in un quadro di federazioni continentali cooperanti),
può
nascere solo da grandi movimenti di massa (a partire dall’esperienza dei
giovani dei Friday For Future), che coinvolgano i partecipanti sia come cittadini/elettori,
sia come consumatori consapevoli, sia ancora come studenti e lavoratori
“critici” (molto interessante in tal senso mi sembra la riflessione all’interno
dei sindacati italiani 20,21,22). [4]
In
tale complessa e ambiziosa direzione, può essere utile una coraggiosa battaglia
culturale, ciascuno con il contributo che meglio può sviluppare (e dove lo
ritiene opportuno, dentro o fuori da movimenti, partiti o chiese), nella
consapevolezza che il cammino possibile verso una transizione ad un diverso
assetto socio-economico ed ambientale (come in parte già tracciato, almeno in
termini di ricerca scientifica e culturale da numerosi esperti ed anche da
centri di elaborazione ufficiali, ad esempio presso le istituzioni europee
18) dovrà attraversare e – se si riesce – ri-orientare gran parte dei
conflitti sociali e politici già aperti, e che il successo può nascere solo
dalla faticosa conquista di un consenso maggioritario, e di una capacità di
dialogo anche con chi permane fuori o contro tale consenso.
&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&
Quanto sopra esposto
dovrà essere integralmente riconsiderato attraverso l’esperienza, che si
profila pressoché “globale”, dell’epidemia in corso di “Coronavirus” (oramai
riclassificata “pandemia”), che purtroppo, mentre ne scrivo, è particolarmente
acuta anche in Italia.
Oltre al carico
immediato di morti e lutti, di sofferenze e di angoscia per le persone e le
famiglie direttamente colpite (e di stress, e spesso di abnegazione, da parte
del personale sanitario), l’epidemia e le direttive per contrastarla stanno
determinando una gigantesca alterazione negli assetti economici, sociali ed
antropologici dei Paesi coinvolti, come numerosi commentatori già hanno rilevato.
Gli aspetti che mi
preme evidenziare, per porre alcune domande cui tenteremo di ripondere nei
prossimi mesi, sono:
-
il capovolgimento
delle priorità nelle preoccupazioni quotidiane delle persone, anche quelle non
ancora raggiunte o lambite dal virus, sia negli aspetti materlali (proteggersi
dal contagio, assicurarsi cibo, farmaci e cure, sopperire alla chiusura di
asili e scuole, rispetto alle usuali e pur persistenti necessità di
studiare/lavorare, cercare reddito, progettare la propria vita), sia negli
aspetti emotivi (la paura della pandemia, e del connesso impoverimento
economico ed esistenziale, nasconde, se non rimuove, i timori consolidati – ed
anche artificialmente sostenuti - verso
gli stranieri/migranti e verso le
istituzioni sovranazionali ed i connessi occulti poteri);
-
la riduzione temporanea
dello “sviluppo” (e purtroppo dell’occupazione, a partire dai lavori più
precari nel commercio/turismo/servizi) e la compressione obbligata dei consumi
(soprattutto voluttuari), ma non sempre in direzione “ecologica” (per evidenti
motivi, la mobilità residua delle persone, se possibile, opta per i mezzi
privati e non per il trasporto pubblico);
-
la profonda
modificazione dei comportamenti individuali e collettivi, in parte imposta ed
in parte (con difficoltà) interiorizzata[5],
motivata dalla salute pubblica, in un difficile rapporto di fiducia/sfiducia
tra cittadini, esperti ed istituzioni, variamente canalizzato dai mezzi di
comunicazione, vecchi e nuovi (anche qui, se la sobrietà dei consumi si
sovrappone agli obiettivi ecologisti, l’isolamento individuale ne rappresenta
invece l’opposto, perché una decrescita “felice” dovrebbe combinarsi con un
massimo di socialità e di scambi culturali);
-
la sospensione degli
usuali meccanismi nella governance effettiva della “cosa pubblica”, sia pure in
un quadro di formale rispetto delle regole, con indebolimento dei centri di
propaganda politico-mediatici [6],
dei partiti e del Parlamento (e forse dello stesso Governo) ed un rafforzamento
di organi concertativi di raccordo tra Governo e Regioni, tra tecnici
(sanitari) e politici; tra l’altro, con ovvio annichilimento, almeno
temporaneo, di movimenti di base, come le “sardine” o i FFF.
E queste sono le
domande che mi pongo, dopo quella – fondamentale, valida per ciascuno e per tutti – “se, come e quando
usciremo (vivi?) dalla pandemia”:
-
una austerità di questa
portata, anche se più “intelligente”, quale è probabilmente quella necessaria
per affrontare adeguatamente il cambio climatico e la connessa crisi ecologica,
potrebbe essere accettata dalle popolazioni già abituate agli standard di vita
e di consumo “occidentali”? anche se funzionale ad una “emergenza” meno
capillarmente evidente? ed, in particolare, DOPO, la pesante cura di
dimagrimento socio-economico in atto?
-
l’auspicabile superamento
della crisi sanitaria e delle conseguenze socio-economiche determinerà
inevitabilmente una richiesta corale di rilancio “tal quale” del precedente (e
vigente) modello di sviluppo “tecno-capitalista” (pur azzoppato materialmente
nella sua dimensione globalista), oppure i frammenti di solidarismo necessari per contrapporsi
alla pandemia (comportamenti disciplinati, concordia istituzionale, credibilità
degli esperti, carattere pubblico della sanità, centralità della spesa
pubblica) potranno essere valorizzati per costruire una alternativa?
Fonti:
1.
Sergio
Mattarella - INTERVENTO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ALLA CERIMONIA DI
INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO 2019-2020 DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI
PARMA - in data 29/11/2019 https://www.quirinale.it/elementi/42214
2.
Enrico
Giovannini – UTOPIA SOSTENIBILE - Laterza, Bari 2018
3.
Fulvio
Fagiani - PROGRAMMI PER LA SOSTENIBILITA’ – su UTOPIA21 del maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1SCkVUbP8f9MImeKMD9FZEZTy3r3dAsS8/view
4.
Enrico
Giovannini - SLIDES DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA -
VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1x8RnF2wIGLpQd6Cw85zLFs1UlvLcHB80/view?usp=sharing
5.
Enrico Giovannini - REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL
FESTIVAL DELL’UTOPIA - VARESE, 01-10-2018 https://drive.google.com/file/d/1_8T0tOUbACvNyLa15K_7B_mtP-e-WYKd/view?usp=sharing
6.
Fulvio Fagiani – L’UTOPIA DI UTOPIA21
– Pubblicato sul numero di ottobre 2016 di UTOPIA21 - http://www.universauser.it/images/Ottobre_2016._Editoriale.pdf-
7.
Fulvio Fagiani – UTOPIA PER REALISTI DI RUTGER BREGMAN –
Pubblicato sul numero di novembre 2017 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1bzTcvMqU8CAYWU58Wm-zJ4QIQGGwJMF9/view.
8.
Fulvio
Fagiani – L’UTOPIA DEL XXI SECOLO A CINQUANT’ANNI DAL ’68 – Pubbliato sul
numero di gennaio 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1J3FdaOX5oKmZhWGQ3-1yJgLFpi-Da1ZX/view.
9.
Fulvio
Fagiani – IDEE E PROSPETTIVE PER LA TRANSIZIONE – Pubblicato sul numero di settembre
2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/12V6iBTJQkOfM69VDbgvpbeqPzsiIphdo/view.
10.
Fulvio
Fagiani – LE MOLTE TRAPPOLE DELL’UTOPIA E LA NECESSITA’ DELLE NARRAZIONI – Pubblicato
sul numero di lugli 2018 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1avDnD_3VlPmdI4YdA4qnXkf5ZkpLzj0j/view.
11. Papa
Francesco – ENCICLICA “LAUDATO SI’” - http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html.
12. Aldo
Vecchi – L’ENCICLICA LAUDATO SI’ DI PAPA BERGOGLIO - https://aldomarcovecchi.blogspot.com/2015/11/lenciclica-laudato-si-di-papa-bergoglio.html
13. Fulvio
Fagiani - A TRE ANNI DALL'ENCICLICA "LAUDATO, SI'" – su UTOPIA21 del
maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/11T3Ge_Vw6OTmj3_2qd60yxFUOMJOr_6d/view
14. Lelio
Demichelis - DEMOCRATIZZARE LA TECNICA, PER SALVARE LA DEMOCRAZIA DAL
TECNO-CAPITALISMO
15. Fulvio
Fagiani - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS – su UTOPIA21 del
settembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQVBhYlJnelhWZVk/view.
16. Eugenio
Montale – OSSI DI SEPPIA – Piero Gobetti Editore, Torino 1925
17. Andrea
Kalajzic - ORDOLIBERALISMO ED ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO – Quaderno n° 8 di
UTOPIA21 – settembre 2018 https://www.universauser.it/i-quaderni/quaderno-8-ordoliberalismo-ed-economia-sociale-di-mercato.html
18. Fulvio
Fagiani - CRISI DELLA GOVERNABILITA’, RISCHI SISTEMICI E SEGNALI POSITIVI –
gennaio 2020 - https://drive.google.com/file/d/1zVLO1fcNzT5DOr5wMPkpFGnkSTGX4GA5/view.
19.
Manuel
Castells – LA NASCITA DELLA SOCIETA’ IN RETE – UBE Paperback, Milano 2008
20.
CGIL,
CISL, UIL – PER UN MODELLO DI SVILUPPO SOSTENIBILE - https://asvis.it/public/asvis2/files/Documento_Unitario_per_un_modello_di_svilupposostenibile.pdf
- Pubblicato nel 2019.
21.
Fulvio
Fagiani – IL LAVORO TRA DIGITALIZZAZIONE E TRANSIZIONE ECOLOGICA – Pubblicato
sul numero di gennaio 2020 di UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1v5kAD-aGrjsDL0w4VJCheuqjYS-8GZzt/view
22.
Fulvio
Fagiani - CONVERSAZIONE/INTERVISTA CON UMBERTO COLOMBO, SEGRETARIO GENERALE
CGIL VARESE – in questo stesso numero di UTOPIA21, marzo 2020
23.
Stefano
Levi della Torre – QUALCHE CONSIDERAZIONE SULLA STORIA IN CORO” http://www.razzismobruttastoria.net/2018/07/26/qualche-considerazione-sulla-storia-corso-stefano-levi-della-torre-giugnoluglio-2018/
[1] non dissimili forse però dalle concertazioni
“corporative” operanti nei vicini stati liberal-democratici di Corea e Giappone
(vedi Manuel Castells19)
[2] Perché in realtà a vasti settori delle
classi dominanti di ciascun paese ricco conviene poter gestire la sovra-offerta
di forza-lavoro degli immigrati, meglio se clandestini o comunque con ridotti
diritti politici e sindacali
[3] Temo si debba classificare
residualmente come sovranista anche quel che resta di specifico nella proposta
politica del MoVimento 5Stelle (resistenze in difesa delle politiche
anti-migratorie di Salvini, conati anti-europei, propaganda anti-banche),
altrimenti di fatto assimilabile al moderato progressismo del PD post-Renzi,
constatandone il necessario abbandono, sul campo dell’esperienza pratica,
dell’armamentario populista riguardo alla democrazia diretta ”in rete”,
all’intercambiabilità del personale politico (1 vale 1 e rotazione rapida nelle
cariche), alla imminente morte dei
partiti; e rammentando che il MoVimento non ha mai messo in discussione il
profitto capitalistico, salvo in alcuni aspetti monopolistici (banche,
concessionarie autostradali e degli acquedotti), purché non riguardanti il
totem della Rete (dove invece il monopolismo si sta dimostrando feroce e vincente: Google, Apple,
Amazon, Facebook, Microsoft… non ancora la Casaleggio associati, che
monopolizza solo qualche migliaio di account sulla piattaforma Rousseau).
[4] pur con il rischio che l’automazione li
riduca fortemente, ad esempio, i dipendenti di Amazon nel mondo sono oggi
prossimi al numero di 800.000: probabilmente al di sopra delle più grandi
compagnie dell’era fordista
[5]
Ad esempio, in ambito milanese, si fatica a riconoscere, nella disordinata
disobbedienza dei persistenti fenomeni di movida giovanile in barba al
“coprifuoco” (fino all’inizio di marzo)
oppure nell’affannoso “ritorno a casa” dei fuori sede la sera del 7
marzo) l’eco del pazientissimo popolo degli utenti dell’EXPO 2015, benchè in
gran parte socialmente coincidenti; tuttavia nell’insieme sembrano prevalere
atteggiamenti consapevoli o addirittura solidali, in controtendenza rispetto
all’andazzo preesistente, almeno come rappresentato dei media
[6]
Richiamando
Stefano Levi della Torre 23, che citava Carl Schmitt “sovrano è chi
decide dello stato d’eccezione” e
lo parafrasava: “sovrano è chi sa
decidere dell’ordine del giorno”, mi pare che in questa fase di emergenza
“sovrano è il Virus” e quindi toglie spazio ad ogni altra sovranità, compresa
quella dei sovranisti
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