domenica 3 dicembre 2017

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2017 - RECENSIONE: PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI).



Un saggio brillante e documentato, che negli anni scorsi ha riportato (brevemente) al centro del dibattito politico-economico la accentuazione delle disuguaglianze sociali e la accumulazione progressiva del capitale.

nb: già recensito su questo blog alla pagina "ULTERIORI LETTURE"



Riassunto.

-           La correlazione tra la bassa crescita economica e l’accelerazione dell’accumulo di capitali; il ruolo della tassazione

-           L’evoluzione storica, in Occidente, dal 18^ al 21^ secolo; le 4 fasi del Novecento

-           La svolta neoliberista degli anni ’80 del ‘900 e la polarizzazione delle disuguaglianze sociali

-           L’alternativa di una tassazione mondiale progressiva sui capitali, sulle successioni e sui redditi

-           (solo sullo sfondo le dinamiche internazionali e le articolazioni concrete delle classi sociali).



 “Il Capitale nel XXI secolo”1 di Thomas Piketty (giovane economista francese di impostazione classica), è uscito nel 2014, nel bel mezzo della crisi finanziaria, ed è risultato un best seller mondiale, premiato alla fin fine come libro dell’anno in materia di economia dallo stesso Financial Times, che aveva invano tentato di stroncarne l’attendibilità statistica (riguardo al crescente divario tra ricchi e poveri negli ultimi decenni), mentre Piketty ha scelto di rifiutare la “Legion d’Onore” dalla sua Republique.



Il successo raggiunto da Piketty è stato a mio avviso ampiamente meritato, sia per la vastità ed originalità delle ricerche compiute e/o utilizzate (disponibili in Internet), sia per la chiarezza e scorrevolezza del testo, ben leggibile in tutte le numerose pagine (e note) ed anche attraverso le poche formule matematiche ed i molti grafici esposti per spiegare il cuore del problema, ovvero la costante tendenza alla accumulazione e concentrazione del capitale, che diviene massima quando la crescita (demografica e produttiva) è debole, cioè inferiore al 2% annuo (come si profila stabilmente nei paesi sviluppati dalla fine del XX secolo), mentre il rendimento medio dei capitali supera il 4% (con accelerazioni crescenti per i patrimoni più elevati).



Il libro è soprattutto un grandioso affresco sulla formazione ed accumulazione dei capitali (immobiliari e mobiliari) e della tassazione delle ricchezze (successioni, rendite, patrimoni, redditi) dal secolo XVIII al XXI.

Fonti primarie delle ricerche sottostanti alle elaborazioni di Piketty sono i dati derivanti dalla moderna imposizione fiscale, che non a caso ha origine con la Rivoluzione Francese, con divertenti escursioni verso la letteratura (soprattutto i romanzi di Jane Austen e di Honorè de Balzac, testimoni di entità e concezioni patrimoniali del XIX secolo) e verso altre fonti, tra cui hanno un ruolo defilato le teorie di altri economisti, contemporanei e non.



Tra questi Marx2, che Piketty non assume come maestro, ma di cui mostra di conoscere le opere – diversamente da quanto affermano altri recensori3 -, rinfacciandogli in sostanza di sottovalutare la ricerca dei dati, pur allora in parte disponibili, in favore di pregiudizi ideologici o meglio di affrettate conclusioni politiche, e comunque di aver trascurato gli effetti complessivi delle mutazioni tecnologiche.



L’adesione alle statistiche fiscali, accessibili soprattutto nei paesi occidentali, ed in parte solo dal XX secolo ben inoltrato, è anche parziale spiegazione di una limitata attenzione dell’Autore a fenomeni non misurabili con tali strumenti, come:

-          la quota di ricchezze che comunque sfugge al fisco (in taluni casi valutata da Piketty con stime indirette),

-          i paesi poveri, che in genere non hanno sviluppato (e non per caso) una solida cultura fiscale, e conseguentemente anche il divario ricchi/poveri a scala mondiale, che è enunciato ma non approfondito (dopo l’epoca coloniale Piketty non riscontra flussi univoci nei trasferimenti internazionali), anche perché indica già come enorme e scandalosa la crescente polarizzazione all’interno dei paesi ricchi,

-          la struttura sociale e ideologica delle “classi”, che Piketty, per ricerca di scientificità, non considera  come potenziali “soggetti sociali”, ma per lo più riduce a fasce statistiche (il “decile”, il “centile”, il “millile” più ricco, e poi tutti gli altri, suddivisi tutt’al più in due parti, negli ultimi decenni, ovvero un ceto medio che possiede qualcosa, molto al di sotto delle vere élites finanziarie, ed i restanti che non possiedono pressoché nulla),

-          sporadica, ma non assente, è pertanto anche la correlazione con i conflitti sociali,

-          il valore effettivo delle grandezze economiche, sempre esaminate nella loro misura monetaria (espressa in potere d’acquisto, depurato dall’inflazione), e quindi inclusive di bolle speculative così come di sostanziali dis-valori (il tema dei rischi ambientali del pianeta è però accennato da Piketty in termini di potenziale erosione del capitale).



Riassumendo schematicamente l’evoluzione storica rappresentata nel testo (e ignorando qui le peculiari differenze nazionali, ben indagate nel testo), si può affermare che:

-          nel XIX secolo si ha una costante concentrazione dei capitali (prima fondiari e poi in prevalenza mobiliari) ed una crescita mediamente bassa, con i ceti medio-bassi schiacciati in una sostanziale povertà; la tassazione, anche dove colpisce i patrimoni nelle successioni, è bassa e non proporzionale; lo Stato limitato alle funzioni basilari (esercito, giustizia, infrastrutture);

-          all’inizio del XX secolo le differenze in favore di coloro che vivono di rendita (“rentiers”) si accentuano e si affacciano, ma vengono per lo più respinte, le prime proposte di tassazioni universali e progressive sul reddito;

-          il periodo 1914-1950, con le 2 guerre mondiali, la rivoluzione sovietica e la grande crisi del ’29, ha – attraverso turbolenti rivolgimenti -  l’effetto di un temporaneo (ed “involontario”) “suicidio del capitale”, variamente colpito da distruzioni belliche e svalutazioni intrinseche, inflazione al galoppo e prelievi fiscali talvolta molto severi;

-          i successivi “trenta anni gloriosi”, tra il 1950 ed il 1980, a partire dalla ricostruzione nei paesi più distrutti, vede una forte crescita (con medie del 5% annuo, al netto dell’inflazione talora però rilevante), la piena affermazione di uno “stato sociale” (istruzione, sanità, pensioni), minori disuguaglianze (più giustificate, anche verso l’alto, dalle differenze nei redditi da lavoro) ed una accumulazione più lenta del capitale;

-          a partire dal 1980, con la svolta pro-capitalistica di Thacher e Reagan (anche per reagire ad un declino di USA e GB) e poi con il crollo del blocco sovietico, si sviluppa e si consolida un nuovo assetto, caratterizzato dal contenimento delle funzioni statali, la riduzione delle tasse e del controllo sui capitali, una netta ripresa della accumulazione e concentrazione delle ricchezze, nonché delle disuguaglianze sociali (inclusi i redditi da lavoro, ora rilevanti anche tra i ceti più ricchi, ma connessi ad una forte selezione sociale nell’accesso ai livelli di istruzione più elevati e conseguenti carriere) in un contesto di modesta inflazione e bassa crescita (esclusi i paesi emergenti).

-          (lungo il percorso storico Piketty si applica anche – dati alla mano – a confutare luoghi comuni diffusi, talvolta ad arte, lungo i 350 anni in esame: dalla propaganda della Terza Repubblica francese su una uguaglianza già conseguita dai “cittadini” nella rivoluzione di un secolo addietro al mito degli USA come società aperta alla mobilità sociale, che era forse vero nell’Ottocento, ma è radicalmente smentito dai dati degli ultimi decenni).



In assenza di sconvolgimenti (ed escludendo di fatto l’ipotesi teorica di una sovrabbondanza “infinita” di capitale, capace di abbassarne la rendita), Piketty prevede per i prossimi decenni un proseguire della prevalenza del tasso di rendimento del capitale sul tasso di crescita, e quindi un progressivo aggravamento della polarizzazione delle ricchezze in favore di ristrette minoranze, con conseguenze economiche e sociali non sostenibili (cioè foriere per l’appunto di ”sconvolgimenti”) e quindi propone una cura drastica, mediante una “tassazione mondiale progressiva” sui capitali (da integrare con imposte progressive sui redditi e sulle successioni), previo conseguimento di una totale trasparenza internazionale su tutti i movimenti finanziari.

Consapevole del carattere utopico della proposta (ma, rammenta Piketty, anche la tassazione progressiva dei redditi rimase assai a lungo un’utopia, prima di essere realizzata nel cuore del Novecento), l’Autore formula anche soluzioni intermedie, in parte articolate sulle situazioni specifiche dei paesi poveri (dove – India compresa, ma non la Cina - il problema primo è la mancanza di un moderno stato, fiscale e sociale),  degli USA e del mondo anglo-sassone e soprattutto dell’Europa, con i suoi problemi specifici di debiti, austerità e unione monetaria incompiuta (su cui il libro sviluppa una trattazione estesa, ma concisa, che raccomando alla lettura – capitolo 16 - , e su cui non mi soffermo per non prolungare troppo questa recensione)



Diversamente dal suo  non-maestro Karl Marx, Thomas Piketty in questo testo non si spinge a occuparsi del percorso politico necessario per arrivare alla svolta auspicata e degli enormi problemi sociologici ed antropologici connessi NOTA, ma rivendica illuministicamente l’utilità del suo contributo nella battaglia ideologica contro le false rappresentazioni dominanti sulla diffusione e sviluppo della ricchezza; nella conclusione Piketty sollecita gli economisti ad uscire dalla pseudo-scienza degli algoritmi micro-economici ed a riconoscersi all’interno delle altre “scienze sociali”.



NOTA: Dopo la pubblicazione del “Capitale nel XXI secolo”, Piketty ha assunto tra l’altro le funzioni di consigliere del movimento Podemos in Spagna e del nuovo laburismo radicale di Corbyn in Gran Bretagna, ed ha appoggiato nelle presidenziali francesi il candidato socialista Hamon, e non il nuovo fronte di sinistra massimalista anti-europeo di Mélenchon.



Fonti:

1.    Thomas Piketty “IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” – Bompiani, Milano 2014

2.    Karl Marx “IL CAPITALE” – Editori Riuniti, Roma 1964
3.    David Harvey, recensione “RIFLETTENDO SU ‘CAPITAL’ DI PIKETTY”  riportata su www.inventati.org\cortocircuito

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