Un saggio
brillante e documentato, che negli anni scorsi ha riportato (brevemente) al
centro del dibattito politico-economico la accentuazione delle disuguaglianze
sociali e la accumulazione progressiva del capitale.
nb: già recensito su questo blog alla pagina "ULTERIORI LETTURE"
Riassunto.
- La correlazione tra la bassa crescita
economica e l’accelerazione dell’accumulo di capitali; il ruolo della
tassazione
- L’evoluzione storica, in Occidente,
dal 18^ al 21^ secolo; le 4 fasi del Novecento
- La svolta neoliberista degli anni ’80
del ‘900 e la polarizzazione delle disuguaglianze sociali
- L’alternativa di una tassazione
mondiale progressiva sui capitali, sulle successioni e sui redditi
- (solo
sullo sfondo le dinamiche internazionali e le articolazioni concrete delle
classi sociali).
“Il Capitale nel XXI secolo”1 di Thomas Piketty
(giovane economista francese di impostazione classica), è uscito nel 2014, nel
bel mezzo della crisi finanziaria, ed è risultato un best seller mondiale,
premiato alla fin fine come libro dell’anno in materia di economia dallo stesso
Financial Times, che aveva invano tentato di stroncarne l’attendibilità
statistica (riguardo al crescente divario tra ricchi e poveri negli ultimi decenni),
mentre Piketty ha scelto di rifiutare la “Legion d’Onore” dalla sua Republique.
Il successo raggiunto da Piketty è stato a mio
avviso ampiamente meritato, sia per la vastità ed originalità delle ricerche
compiute e/o utilizzate (disponibili in Internet), sia per la chiarezza e
scorrevolezza del testo, ben leggibile in tutte le numerose pagine (e note) ed
anche attraverso le poche formule matematiche ed i molti grafici esposti per
spiegare il cuore del problema, ovvero la costante tendenza alla accumulazione
e concentrazione del capitale, che diviene massima quando la crescita
(demografica e produttiva) è debole, cioè inferiore al 2% annuo (come si
profila stabilmente nei paesi sviluppati dalla fine del XX secolo), mentre il
rendimento medio dei capitali supera il 4% (con accelerazioni crescenti per i
patrimoni più elevati).
Il libro è soprattutto un grandioso affresco
sulla formazione ed accumulazione dei capitali (immobiliari e mobiliari) e
della tassazione delle ricchezze (successioni, rendite, patrimoni, redditi) dal
secolo XVIII al XXI.
Fonti primarie delle ricerche sottostanti alle
elaborazioni di Piketty sono i dati derivanti dalla moderna imposizione
fiscale, che non a caso ha origine con la Rivoluzione Francese, con divertenti
escursioni verso la letteratura (soprattutto i romanzi di Jane Austen e di
Honorè de Balzac, testimoni di entità e concezioni patrimoniali del XIX secolo)
e verso altre fonti, tra cui hanno un ruolo defilato le teorie di altri
economisti, contemporanei e non.
Tra questi
Marx2, che Piketty non assume come maestro, ma di cui mostra di
conoscere le opere – diversamente da quanto affermano altri recensori3
-, rinfacciandogli in sostanza di sottovalutare la ricerca dei dati, pur allora
in parte disponibili, in favore di pregiudizi ideologici o meglio di affrettate
conclusioni politiche, e comunque di aver trascurato gli effetti complessivi
delle mutazioni tecnologiche.
L’adesione
alle statistiche fiscali, accessibili soprattutto nei paesi occidentali, ed in
parte solo dal XX secolo ben inoltrato, è anche parziale spiegazione di una
limitata attenzione dell’Autore a fenomeni non misurabili con tali strumenti,
come:
-
la quota di ricchezze
che comunque sfugge al fisco (in taluni casi valutata da Piketty con stime
indirette),
-
i paesi poveri, che in
genere non hanno sviluppato (e non per caso) una solida cultura fiscale, e
conseguentemente anche il divario ricchi/poveri a scala mondiale, che è
enunciato ma non approfondito (dopo l’epoca coloniale Piketty non riscontra
flussi univoci nei trasferimenti internazionali), anche perché indica già come
enorme e scandalosa la crescente polarizzazione all’interno dei paesi ricchi,
-
la struttura sociale e
ideologica delle “classi”, che Piketty, per ricerca di scientificità, non
considera come potenziali “soggetti
sociali”, ma per lo più riduce a fasce statistiche (il “decile”, il “centile”,
il “millile” più ricco, e poi tutti gli altri, suddivisi tutt’al più in due
parti, negli ultimi decenni, ovvero un ceto medio che possiede qualcosa, molto
al di sotto delle vere élites finanziarie, ed i restanti che non possiedono
pressoché nulla),
-
sporadica, ma non
assente, è pertanto anche la correlazione con i conflitti sociali,
-
il valore effettivo
delle grandezze economiche, sempre esaminate nella loro misura monetaria
(espressa in potere d’acquisto, depurato dall’inflazione), e quindi inclusive
di bolle speculative così come di sostanziali dis-valori (il tema dei rischi
ambientali del pianeta è però accennato da Piketty in termini di potenziale erosione
del capitale).
Riassumendo schematicamente l’evoluzione
storica rappresentata nel testo (e ignorando qui le peculiari differenze
nazionali, ben indagate nel testo), si può affermare che:
-
nel
XIX secolo si ha una costante concentrazione dei capitali (prima fondiari e poi
in prevalenza mobiliari) ed una crescita mediamente bassa, con i ceti
medio-bassi schiacciati in una sostanziale povertà; la tassazione, anche dove
colpisce i patrimoni nelle successioni, è bassa e non proporzionale; lo Stato
limitato alle funzioni basilari (esercito, giustizia, infrastrutture);
-
all’inizio
del XX secolo le differenze in favore di coloro che vivono di rendita (“rentiers”)
si accentuano e si affacciano, ma vengono per lo più respinte, le prime
proposte di tassazioni universali e progressive sul reddito;
-
il
periodo 1914-1950, con le 2 guerre mondiali, la rivoluzione sovietica e la
grande crisi del ’29, ha – attraverso turbolenti rivolgimenti - l’effetto di un temporaneo (ed
“involontario”) “suicidio del capitale”, variamente colpito da distruzioni
belliche e svalutazioni intrinseche, inflazione al galoppo e prelievi fiscali
talvolta molto severi;
-
i
successivi “trenta anni gloriosi”, tra il 1950 ed il 1980, a partire dalla
ricostruzione nei paesi più distrutti, vede una forte crescita (con medie del
5% annuo, al netto dell’inflazione talora però rilevante), la piena
affermazione di uno “stato sociale” (istruzione, sanità, pensioni), minori
disuguaglianze (più giustificate, anche verso l’alto, dalle differenze nei
redditi da lavoro) ed una accumulazione più lenta del capitale;
-
a
partire dal 1980, con la svolta pro-capitalistica di Thacher e Reagan (anche
per reagire ad un declino di USA e GB) e poi con il crollo del blocco
sovietico, si sviluppa e si consolida un nuovo assetto, caratterizzato dal
contenimento delle funzioni statali, la riduzione delle tasse e del controllo
sui capitali, una netta ripresa della accumulazione e concentrazione delle
ricchezze, nonché delle disuguaglianze sociali (inclusi i redditi da lavoro,
ora rilevanti anche tra i ceti più ricchi, ma connessi ad una forte selezione
sociale nell’accesso ai livelli di istruzione più elevati e conseguenti
carriere) in un contesto di modesta inflazione e bassa crescita (esclusi i
paesi emergenti).
-
(lungo il percorso
storico Piketty si applica anche – dati alla mano – a confutare luoghi comuni
diffusi, talvolta ad arte, lungo i 350 anni in esame: dalla propaganda della
Terza Repubblica francese su una uguaglianza già conseguita dai “cittadini”
nella rivoluzione di un secolo addietro al mito degli USA come società aperta
alla mobilità sociale, che era forse vero nell’Ottocento, ma è radicalmente
smentito dai dati degli ultimi decenni).
In assenza di sconvolgimenti (ed escludendo di
fatto l’ipotesi teorica di una sovrabbondanza “infinita” di capitale, capace di
abbassarne la rendita), Piketty prevede per i prossimi decenni un proseguire
della prevalenza del tasso di rendimento del capitale sul tasso di crescita, e
quindi un progressivo aggravamento della polarizzazione delle ricchezze in
favore di ristrette minoranze, con conseguenze economiche e sociali non
sostenibili (cioè foriere per l’appunto di ”sconvolgimenti”) e quindi propone
una cura drastica, mediante una “tassazione mondiale progressiva” sui capitali
(da integrare con imposte progressive sui redditi e sulle successioni), previo
conseguimento di una totale trasparenza internazionale su tutti i movimenti
finanziari.
Consapevole del carattere utopico della
proposta (ma, rammenta Piketty, anche la tassazione progressiva dei redditi
rimase assai a lungo un’utopia, prima di essere realizzata nel cuore del
Novecento), l’Autore formula anche soluzioni intermedie, in parte articolate
sulle situazioni specifiche dei paesi poveri (dove – India compresa, ma non la
Cina - il problema primo è la mancanza di un moderno stato, fiscale e sociale),
degli USA e del mondo anglo-sassone e
soprattutto dell’Europa, con i suoi problemi specifici di debiti, austerità e
unione monetaria incompiuta (su cui il libro sviluppa una trattazione estesa,
ma concisa, che raccomando alla lettura – capitolo 16 - , e su cui non mi soffermo per non prolungare troppo questa recensione)
Diversamente dal suo non-maestro Karl Marx, Thomas Piketty in
questo testo non si spinge a occuparsi del percorso politico necessario per
arrivare alla svolta auspicata e degli enormi problemi sociologici ed
antropologici connessi NOTA, ma rivendica illuministicamente l’utilità
del suo contributo nella battaglia ideologica contro le false rappresentazioni
dominanti sulla diffusione e sviluppo della ricchezza; nella conclusione Piketty
sollecita gli economisti ad uscire dalla pseudo-scienza degli algoritmi
micro-economici ed a riconoscersi all’interno delle altre “scienze sociali”.
NOTA: Dopo
la pubblicazione del “Capitale nel XXI secolo”, Piketty ha assunto tra l’altro
le funzioni di consigliere del movimento Podemos in Spagna e del nuovo
laburismo radicale di Corbyn in Gran Bretagna, ed ha appoggiato nelle
presidenziali francesi il candidato socialista Hamon, e non il nuovo fronte di
sinistra massimalista anti-europeo di Mélenchon.
Fonti:
1.
Thomas
Piketty “IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” – Bompiani, Milano 2014
2. Karl
Marx “IL CAPITALE” – Editori Riuniti, Roma 1964
3.
David
Harvey, recensione “RIFLETTENDO SU ‘CAPITAL’ DI PIKETTY” riportata su www.inventati.org\cortocircuito
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