Iniziamo
da questo numero una nuova rubrica con brevi impressioni di viaggio, in luoghi
più o meno noti e più o meno remoti, dove
l’occhio degli autori in qualche misura è ancorato ai temi della
sostenibilità: in questo articolo un racconto sul quartiere direzionale della
Défense ad Ovest di Parigi
NB: PER LE IMMAGINI VAI AL SITO DI UTOPIA21 www.universauser.it
Una mattina estiva, soleggiata
e rinfrescata da una brezza da Ponente, in simpatica compagnia, mi ha fatto
apprezzare parecchio, come turista, l’insediamento parigino della Défense.
Cosa c’è di sostenibile in un
distretto d’affari ad altissima concentrazione e di grattacieli in
vetro-acciaio-cemento ed appoggiato su una piastra piena di auto parcheggiate
oppure in transito lungo autostrade sotterranee?
(Alle sue origini ancor meno
sostenibile nelle costruzioni introverse e fortemente energivore, a causa di tutti
gli impianti di climatizzazione, illuminazione, ascensori, tanto da determinare
dopo la “crisi petrolifera” del 1973 una “pausa di riflessione”, seguita da una
qualche correzione di rotta sia per i grattacieli successivi, sia per la
riqualificazione di buona parte di quelli preesistenti).
In assoluto probabilmente
poco, perché è facile contestare la stessa opportunità delle forti
concentrazioni di capitali sottese alle competizioni in altezza e prestigio
delle varie torri per uffici, la connessa divisione sperequata dei lavori e dei
redditi, la totale impermeabilizzazione del suolo per la dimensione di un
intero quartiere, la eccessiva presenza delle automobili (su tutto l’asse degli
Champes Elisèe, per altro)
Ma in termini relativi alcune
scelte si possono apprezzare (ammesso e non concesso che esistano le
multinazionali, le metropoli, gli edifici a torre, i centri commerciali ed i
distretti di affari):
-
l’alta densità edilizia è funzione inversa al
consumo fisico del suolo,
-
la forte offerta di trasporto pubblico (a
fianco della motorizzazione privata, già sopra vituperata), diffusa in tutta la
metropoli parigina, ma qui super-addensata, con l’incrocio tra una linea
ferroviaria sub-urbana, la super metropolitana “RER” e 2 fermate del Metro, il
tutto con stazioni sotterranee integrate in percorsi fortemente vivacizzati da
vari tipi di offerte commerciali,
-
la pedonalizzazione di tutto il quartiere, con
arredo urbano di qualità, integrato con sculture e giardini e fontane con acqua
trasparente (diversamente da quella giallastra delle più famose vasche della Parigi
storica, dalle Tuileries ai giardini del Palais de Luxembourg; ma anche quella
piuttosto putrida del bacino della Villette, ovvero l’acqua della Senna quando
ristagna),
-
il tentativo di intreccio tra funzioni diverse,
che affianca ai palazzi per uffici e sedi universitarie due centri commerciali
e qualche isolato residenziale (non troppo alti: al massimo 12 piani, con
morfologia a corte, chiusa od aperta) con esercizi commerciali e di ristoro ai
piani terra (il che fa pensare ad un discreta vitalità degli spazi pubblici in
diversi orari); nonché appena fuori dalla piattaforma a nord-ovest, ai piedi
dell’Arche, un grande centro sportivo (in ristrutturazione) ma anche 2 vecchi
cimiteri di quartiere, ricchi di vegetazione,
-
una embrionale attenzione al risparmio
energetico nelle costruzioni e ristrutturazioni più recenti.
Resta da parlare
dell’architettura, dove la gara tra le archi-star a firmare le soluzioni di
facciate più eccentriche (a parità di struttura definita da ingegneri e
promotori immobiliari) come sempre poco mi commuove, ma che qui, nel ridondante
eccesso delle proposte che si affastellano, appare comunque dominata
dall’urbanistica, cioè dal disegno urbano degli spazi pubblici e dei
percorsi, anche in assenza di una disciplina stringente sulle disposizioni
planivolumetriche – e tantomeno stilistiche - dei singoli elementi (non è
l’Antigone di Bofill a di Montpellier, né la Bicocca di Gregotti a Milano).
Audace e prestigiosa davvero
l’Arche, in quanto elemento centrale ed assiale (anche se l’allineamento con
Place de la Concorde e con l’Arc de Triomphe risulta piuttosto astratto, roba
da cannocchiali, oppure da cartografi); divertente mangiare un panino
all’ombra, sulle gradinate, in mezzo ad impiegati, altri turisti, giovani che
fanno musica.
Una gran bella mattinata, per
quanto mi riguarda.
(Ripensata da qui, l’area
milanese di Porta Nuova/Garibaldi/Piazza Aulenti, seppur anch’essa vivace,
appare davvero un po’ casuale ed abborracciata: provinciale non perché più
piccola, ma perché povera di un vero progetto unitario).
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