Il testo di Mordacci
classifica con precisione, nella storia del pensiero occidentale, le teorie
(palesemente) utopiche ruotando attorno all’archetipo “Utopia” di Thomas More,
che l’Autore tende a riproporre come modello da adeguare all’oggi ed alle
problematiche dello sviluppo sostenibile. Sollevando però qualche mia
perplessità.
Sommario:
-
l’utopia di Thomas More
nel contesto rinascimentale e nel confronto con i precedenti
-
gli sviluppi del
pensiero utopico nell’età moderna
-
in contrapposizione, le
“distopie”
-
variazioni sul tema,
nella crisi della modernità: eterotopie, retrotopia, …
-
ritorno all’utopia e suo
rilancio: Anterotopia
-
qualche riflessione critica
(in corsivo le annotazioni più personali del
recensore)
Roberto Mordacci,
filosofo, è preside della facoltà di filosofia dell’Università Vita-Salute
dell’Istituto San Raffaele di Milano.
L’UTOPIA DI THOMAS MORE
NEL CONTESTO RINASCIMENTALE E NEL CONFRONTO CON I PRECEDENTI
“Ritorno
a Utopia”1 esalta il pensiero di Thomas More [A], specificando come la sua
Utopia2 attingesse al campo del possibile, con una proposta di
riforma delle leggi economiche e socio-politiche (in contrapposizione alla
china accumulatrice del tardo feudalesimo, che recintava e sottraeva le terre
ai contadini poveri, scacciandoli in miseria verso le città), ma ancorata ad un
visione realistica della natura umana, in un quadro letterario di finzione
geografica su di una isola (anzi ex-penisola), esistente in quella
contemporaneità (1516), ma non effettivamente raggiungibile.
L’espediente
narrativo, ricco di ironia, consentiva a More di spingersi nella critica alla
società del suo tempo limitando i pericoli di repressione, e si ricollegava ad
una tradizione letteraria di viaggi fantastici e mondi immaginari di origine
classica (da Luciano di Samosata - e
forse anche dagli Argonauti - a Platone ed epigoni) ed anche cristiana e
medievale (Atti degli Apostoli; Bonvesin della Riva ed a mio avviso forse anche Agostino e Dante, ed il mito del regno
esotico del “Prete Gianni”): ma Mordacci evidenza come More si staccasse da
tali modelli, sia per la scarsa importanza data alla componente
viaggio&avventura e mitologia, sia per l’aderenza alla realtà “da
capovolgere”, laddove Platone nel Crizia si riferisce ad un mitico passato di
semi-dei, e nella Repubblica e nelle Leggi invece ad un riordino radicale
dell’anima umana (quanto meno per i
“custodi”, ovvero militari e filosofi), in funzione del buon governo della
società.
Con
una voluta ambiguità lessicale, il neologismo grecizzante “Utopia” coniato da
More, significava sia “non-luogo, nessun luogo” (da cui anche l’Isola-Che-Non-C’è di Peter Pan), sia “Eu-topia”,
ovvero “luogo buono”: una repubblica fondata sulla comunanza dei beni e sulla
ripartizione egualitaria del lavoro necessario, a turni, nell’agricoltura, con
una giornata lavorativa di 6 ore, e molto spazio per il sapere, le arti, la
ricerca della felicità, e molti altri dettagli sulla famiglia, le istituzioni e
la giustizia (moderatamente repressiva), nonché la libertà religiosa [B]; ed una politica estera
prudentemente isolazionista, per prevenire l’imperialismo sia proprio che
altrui; infine Utopia aveva anche una sua storia ed un divenire progressivo.
Figura 1 – un’immagine editoriale dell’Utopia di Thomas
More
Contrapponendolo
al realismo senza orizzonti del contemporaneo Machiavelli, e inquadrandolo nel
contesto rinascimentale, Mordacci sottolinea, tra i caratteri dell’Utopia di
More, la concretezza dell’immaginazione e la incarnazione razionale delle
speranze di giustizia, in un’opera che riassorbe e trascende il programma
politico-costituzionale e l’Allegoria del Buon Governo, ma non va confusa con
la profezia, l’escatologia di un futuro
Paradiso (e tanto meno con il rimpianto dell’età dell’oro).
GLI SVILUPPI DEL
PENSIERO UTOPICO NELL’ETA’ MODERNA
Tali
aspetti escatologici invece in parte si intrecciano con le successive fortune
dell’Utopia come “genere letterario”, fondato o ri-fondato da More, ad esempio
nella “Città del Sole” di Tommaso Campanella (1602), di impronta teocratica e
monastica (con una rigida eugenetica, già presente in Platone), oppure
nell’incompiuta “Nuova Atlantide” di Francis Bacon (1627), di carattere
scientista, ma assai gerarchizzata.
Facendo
propria la distinzione, espressa nel 1929 dal sociologo Karl Mannheim[C] tra utopia ed ideologia, dove la prima tende
a rompere l’ordine sociale prevalente, mentre la seconda resta ancorata al
presente, ma finisce per cristallizzarlo, occultando e mistificando la realtà
in difesa degli interessi dominanti, il testo di Mordacci esamina le componenti
utopiche delle teorie politiche progressive emerse nei secoli successivi a
Thomas More, ed in particolare:
-
l’illuminismo,
con numerosi autori che si cimentano sia nei racconti di viaggio (veri o
presunti) anche come occasione di critica sociale (a partire dalle “Lettere
persiane” di Montesquieu oppure dal Telemaco di Fenelon, con il suo Salento
immaginario), sia nella progettualità politica esplicita, dall’Abbé di Saint-Pierre
(da cui Kant si ispira per la pace perpetua) a Rousseau, e nel mezzo Condorcet,
il cui frammento su Atlantide (proiettato al futuro e non verso il passato)
include anticipazioni assai interessanti, come la parità dei diritti per le
donne e la discussione pubblica sulla ricerca scientifica;
-
i
socialismi utopisti ottocenteschi di Saint Simon, di Fourier e di Owen,
parzialmente sperimentati in Comuni, Falansteri, opifici e comunità locali, con
diversi presupposti e analoghi fallimenti, e l’anarchismo individualista di
Proudhon, tutti duramente criticati quali ingenui sognatori ed imbelli
interclassisti, e di fatto superati dal “socialismo scientifico” di Marx ed
Engels, effettivamente molto più attrezzato nell’analizzare la concretezza
delle condizioni sociali e la dinamica degli scontri di classe, salvo ricadere,
per le sue pretese “scientifiche”, nella rigidità delle (erronee) previsioni sul glorioso cammino rivoluzionario
del proletariato: una sorta di utopia che da “possibile” diverrebbe
“necessaria”.
IN CONTRAPPOSIZIONE, LE
“DISTOPIE”
Ma
nell’Ottocento, mentre il marxismo si contrappone all’utopismo filantropico e
nel contempo sequestra e cerca di monopolizzare nel suo progetto le istanze di
trasformazione sociale (il che non esclude la rivalutazione dell’Utopia
classica da parte di Kautski – dirigente tedesco della 2^ Internazionale – e
poi da parte del filosofo Ernst Bloch[D] , cui aggiungerei l’utopismo evangelico di molti predicatori del
socialismo in seno al popolo, come ad esempio Camillo Prampolini), il
diffondersi della paura borghese per lo “spettro del comunismo” induce
intellettuali e politici liberali, pur di tradizione progressista, come Stuart
Mill e Bentham, a schierarsi apertamente contro i pericoli di ogni utopismo,
coniando anzi – 1868 - i termini di “distopia” e “cacotopia” per descrivere le
inevitabili conseguenze liberticide e catastrofiche di ogni pretesa ricerca di
una società perfetta: ciò benché all’origine del pensiero liberale fosse
presente una certa dose di utopismo (come Bloch rileva a proposito dello stesso
Adam Smith).
Mordacci
rammenta che il primo archetipo della “distopia” è incluso nella stessa Bibbia,
dove la narrazione sulla Torre di Babele indicherebbe un intervento diretto
dello stesso Dio per stroncare le pretese comunicative (una sola lingua) e
costruttive (la scalata al cielo) di quella comunità mesopotamica.
Ci
racconta poi del florido sviluppo della distopia, dall’Ottocento e ancor di più
nel Novecento, a fronte dei successi, nefandezze e crolli dei grandi stati
totalitari (ma io non disdegnerei di
affiancarci anche nefandezze “democratiche”, come le bombe atomiche su
Hiroshima e Nagasaki), nella letteratura e poi nel cinema, con svariati
contenuti, che l’Autore distingue in:
-
totalitari
e fantascientifici, da Zamjatin a Orwell, da Aldous Huxley a Fahrenight 451, Blade
Runner, ecc.
-
post-apocalittici,
in conseguenza di disastri naturali oppure indotti da mostruosità
iper-tecnologiche.
VARIAZIONI SUL TEMA,
NELLA CRISI DELLA MODERNITA’
L’Autore
individua – in diverse parti del testo - i seguenti pensatori, nodali nella critica all’utopia
e dintorni, dal secondo Novecento in qua (in parte anche da me considerati in
precedenti articoli 3 ):
-
Herbert
Marcuse (1898-1979), che – partito dal conflitto tra principio di piacere e
principio di realtà in Freud (che già confinava l’utopia nella fantasia) –
approda ad una visione disincantata, in cui non solo il lavoro ma anche il
consumo risulta “alienato”, e le pulsioni libertarie aleggiano come teorie
inoffensive, perché anestesizzate dalla “tolleranza repressiva”, che riassorbe
le trasformazioni graduali, mentre restano invariati i sostanziali meccanismi
di dominio;
-
Michel
Foucault (1926-1984), che - indagando sull’uomo e sulla società - da un lato
confina l’utopia nella proiezione soggettiva dell’individuo e del suo corpo, che
ha una “spietata topia” (la ritrova nello specchio, nell’amore, nella morte),
ma tende a sfuggirne con varie trasfigurazioni, dall’altro rileva che
socialmente – invece di luoghi fantastici di armonia “utopica” – esistono
concrete “etero-topie”, luoghi
“altri” (di cui Foucault propone una articolata tassonomia), spesso rimossi
dalla vita quotidiana, in cui si svolgono funzioni peculiari, e dove i rapporti
sociali sono alterati/sospesi/invertiti: dai giardini ai cimiteri, dalle
carceri ai manicomi, fino alle navi ed in particolare alle crociere (che sono
una sorta di parodia dell’utopia, tutta risolta nel consumismo più sfacciato);
-
Hans
Jonas (1903-1993), che – preoccupato per gli effetti accumulativi del
“progresso infinito” (anche nella versione marxista), ai danni dell’ambiente –
denuncia come perniciosa “utopia moderna” il connubio tra la tradizione della
profezia giudaico-cristiana e la “hybris” scientifico-tecnologica, ed invoca
invece la necessità di subordinare le
applicazioni della ricerca scientifica ad un ragionevole “principio di
precauzione”, fino a paventare l’opportunità di una sorta di “eco-dittatura”
per arginare i pericoli di una “democratica” distruzione della biosfera;
-
Zigmunt
Bauman (1925-2017) , che - nel tentativo di decifrare la deriva della società
contemporanea - introduce tra l’altro il concetto di retro-topia, come sintesi del processo di disgregazione sociale,
sfiducia nello stato, insicurezza, caduta delle speranze in un futuro migliore (collettivo) e quindi ricerca di una (illusoria) salvezza
individuale, ma con il mito di un passato localista e tribale, che scarica
sulla ”globalizzazione” tutte le colpe per i disagi dell’esistenza.
Associandosi anche alla lettura di Svetlana Boym (1966-2015) sulla “grande
nostalgia” della fine del XX secolo, in cui l’individuo rimpiange l’infanzia
(regressione narcisista al ventre materno) e la comunità rifiuta la storia e la
responsabilità della storia.
RITORNO ALL’UTOPIA E
SUO RILANCIO: ANTEROTOPIA
Ma
tra i filosofi di fine Novecento, Mordacci rileva anche la rinascita di
correnti favorevoli all’utopia come (paradossalmente), in campo liberale,
Robert Nozick (1938-2002), teorico di uno stato minimo (che si occupa solo di
sicurezza e di libertà del mercato) ed invece in campo democratico il più noto
John Rawls (1921-2002), che prospetta una sorta di “utopia realistica”, dove
ordinamenti illuminati favoriscono la coesistenza pacifica tra comunità pluraliste,
assicurando diritti sociali minimi (fondandosi però sulla proprietà privata,
per “evitare sprechi”, diversamente che nel modello comunistico di More).
Ed
è soprattutto lo stesso Mordacci, riprendendo nella parte finale del testo
diversi spunti già seminati nel corso della trattazione storica, ad affermare
l’attualità e la praticabilità dell’Utopia, sviluppando e attualizzando le
intuizioni umanistiche di Thomas More, fino ad articolare la proposta di una anterotopia, ovvero la prefigurazione
di un luogo davanti a noi in cui la critica alle forme (e deformazioni) attuali
della convivenza umana si traduca in una visione complessiva e coordinata, “uno
sforzo creativo ordinato e costruttivo”, nella scala globale necessaria per
fronteggiare le emergenze climatico-ambientali, tentando di dare un senso al nostro
muoversi nella storia, in contrapposizione:
-
ai
pensieri nostalgici e reazionari, al determinismo catastrofico, al cinico compiacimento
della decadenza
-
al
nichilismo post-moderno (oggetto polemico di un altro recente libro di Mordacci
4, che ancora non ho letto)
che dal relativismo sfocia nel solipsismo o nella retro-topia.
Secondo
Mordacci, la velocità delle trasformazioni tecnologiche e sociali in atto, pur
generando alienazione, non deve impedirci di leggerle in correlazione alle
precedenti “grandi svolte” dell’umanità, come la stampa di Gutenberg ai tempi
della riforma luterana, oppure il motore a vapore nell’età illuminista, per
comprendere:
-
da un lato, che molte conquiste nel frattempo raggiunte erano in precedenza
considerate utopie (istruzione di massa, sanità pubblica, diritti personali e
tolleranza religiosa, tutela delle donne e dei bambini, dei lavoratori, di
svariate minoranze)
-
d’altro lato, che – pur nell’incertezza del suo farsi – la rivoluzione digitale
in atto può aprirsi a nuove utopie (che vengono contrastate così come in
passato lo erano le conquiste suddette), anche se per ora non hanno un
disegno unitario: dalla riduzione generale degli orari di lavoro alla ridistribuzione
del reddito, dalla ricerca della felicità (in luogo dell’arido “PIL”) alla
libera circolazione delle persone attraverso i confini (com’è oggi quasi solo
dentro l’Europa), fino alla “più colossale” (e più urgente) “delle utopie”,
ovvero lo “sviluppo sostenibile”.
In
contrasto con Jonas (vedi sopra), l’Autore ritiene che la tecnologia non vada
demonizzata, ma che solo una “tecnica sostenibile” possa rientrare nel percorso
verso i 17 “Goals” individuati dall’ONU come orizzonte positivo dell’umanità:
però l’urgenza della questione ambientale richiede una visione cosmopolita, che
vada oltre la mera coesistenza, e costruisca una convivenza giusta e
cooperativa, una “repubblica di repubbliche sovrane”.
Se
sul piano psicologico ed emotivo il desiderio di giustizia dà valore alla vita,
l’utopia diviene necessaria ed ineludibile come pensiero razionale e
consapevole (non solo però sistema logico, ma immaginazione, narrazione del
possibile), per costituire l’unica alternativa alla crisi[E] ed alla rassegnazione
catastrofica.
QUALCHE RIFLESSIONE CRITICA
Se per un redattore di
“Utopia21” il libro di Mordacci è evidentemente di gran conforto (ed anche di
monito ad utilizzare con precisione il temine di “utopia” ed i suoi derivati),
mi sento comunque di esprimere qualche riserva:
-
sull’inquadramento
storico dell’opera di More proposta da Mordacci,
perché:
o
tralascia di rapportare
il pensiero di More alla sua (successiva) condotta pratica, come ministro e
persecutore degli eretici luterani (come già ho segnalato in nota B),
o
sottovaluta la
componente profetica del pensiero religioso cristiano (anche quando non
configurata come canonica “utopia”) quale tensione ricorrente rispetto agli
assetti del potere (come invece ben tratteggiato da Paolo Prodi 5),
da Agostino a Francesco d’Assisi, dai catari ai patari, da Valdo a fra Dolcino,
da Giordano Bruno allo stesso Ignazio da Loyola (vedasi le missioni gesuite in
Sud America),
o
trascura le correnti
utopiche estranee (o parzialmente
estranee) al pensiero occidentale, come negli ultimi cent’anni Gandhi, Mandela
e M.L.King 6, ed i loro ascendenti extra-europei;
-
sulla contrapposizione
al pensiero post-moderno: a mio avviso occorre
arrivare ad un programma di azione cosmopolita (per la pace, l’uguaglianza e la
salvezza della biosfera) anche attraverso la critica serrata alle presunzioni scientiste della modernità (per
esempio LeCorbusier) e attraverso il dubbio sistematico verso ogni
certezza: atteggiamento necessario anche per meglio capire gli altri, cioè sia
“le ragioni” (o almeno le pulsioni ed linguaggio) degli avversari[F], sia le diverse logiche dei possibili e
necessari alleati (a partire ad esempio da Papa Bergoglio, che si fonda con
evidenza su un' “Utopia” diversa);
-
sull’auto-sufficienza
e sulla rappresentatività di un “nuovo umanesimo”, da una parte verso le altre specie
viventi, dall’altro all’interno dell’umana specie, che non a caso si muove divisa (oggi assai confusamente) in una
serie di conflitti, etnici, religiosi, sociali: senza approfondire una adeguata
“teoria dei conflitti”, c’è il rischio di ri-proporre – galleggiando sui
conflitti stessi, oppure un domani da questi sommersi - una concezione
illuministica/paternalistica, al limite anche potenzialmente totalitaria
(occorre cioè capire che la mia utopia
può essere molto diversa non solo da quella del Papa, ma da quella di una donna
nigeriana, di un giovane nero haitiano, di un dissidente tibetano, ecc. ecc.);
-
e
comunque, pur restando tra gli intellettuali progressisti europei, sulla difficile
componibilità concettuale di un grande affresco utopico unitario (“coordinato
negli scopi, nelle realizzazioni, negli attori”, come postula Mordacci), sia
riguardo alla divergenza delle discipline scientifiche e dei linguaggi (come
già ipotizzava Mannheim, citato da Mordacci a pag. 24), sia riguardo alla
lettura critica dello stato di cose presenti, che può essere molto
differenziata, a mio avviso, soprattutto in merito al “nocciolo” del
tecno-capitalismo (si veda in proposito il confronto tra Ferraris e Demichelis,
ampiamente illustrato su UTOPIA218); lo mostrano ad esempio anche le
diverse, e non sempre complementari, elaborazioni dell’ASVIS di Giovannini
rispetto al FORUM di Barca, pur coerenti ambedue con i 17 Goals dell’ONU (che
sono necessariamente alquanto generici).
Pertanto, a mio avviso, la costruzione di auspicabili
livelli di unità di azione verso gli obiettivi condivisibili, indicati da
Mordacci, può essere solo una ricerca molto parziale e faticosa di “minimi (massimi)
comuni denominatori” tra soggetti diversi, rispetto alla quale le
prefigurazioni utopiche sono soprattutto necessari ma temporanei strumenti
(come lo sono gli “scenari” abitualmente utilizzati nelle scienze probabilistiche,
quali la climatologia, e nelle scienze sociali, quali l’economia, la
demografia, l’urbanistica): nella permanente consapevolezza della odierna
“complessità” dell’insieme uomo/mondo.
Per parte mia non so se una “utopia relativista” è
possibile, ma temo che sia comunque necessaria, date le immani dimensioni
dei problemi da risolvere per salvare (da se stessa) l’umanità: nel contempo mi
rendo conto che molti altri la pensano diversamente, anche sulla stessa natura
dei suddetti problemi. Per questo mi preoccupa invece l’ipotesi di una
“utopia fondamentalista”, anche se laica, ugualitaria e ambientalista.
Fonti:
1.
Roberto
Mordacci – RITORNO A UTOPIA – Laterza, Bari 2020
2.
Thomas
More – UTOPIA – tra le varie edizioni: Feltrinelli,
Milano 2016
3.
Aldo
Vecchi - UTOPIE, TRA FILOSOFIA E PSICANALISI – Quaderno n° 11 di UTOPIA21,
settembre 2019 https://drive.google.com/file/d/1aExhFltmWwSyn0N3ld5ZP5rzAsTFEeL8/view?usp=sharing
4.
Roberto
Mordacci – LA CONDIZIONE NEOMODERNA – Einaudi, Torino 2017
5.
Paolo
Prodi – SETTIMO NON RUBARE – Il Mulino, Bologna 2009, e – IL TRAMONTO DELLA
RIVOLUZIONE – Il Mulino, Bologna 2015, da me recensiti su UTOPIA 21, nel marzo
2017 - https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYQ29aT0Q2QjhvSG8/view
- e settembre2018 - https://drive.google.com/file/d/1yhn8fOy9AWX1zXrx1LjcxtqaMJ2opsHk/view.
6.
Aldo
Vecchi – TRE RIFLESSIONI POLITICHE: ’68, POPULISMO, NONVIOLENZA - Quaderno n° 9
di UTOPIA21, settembre 2019 https://drive.google.com/file/d/1B4slM22JS6pimQksVvuKm3zldsaOc8fZ/view?usp=sharing
7.
Fulvio
Fagiani - UTOPIA PER REALISTI DI RUTGER BREGMAN – su UTOPIA21 del novembre 2017
. https://drive.google.com/file/d/1bzTcvMqU8CAYWU58Wm-zJ4QIQGGwJMF9/view.
8.
Fulvio
Fagiani e Aldo Vecchi - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E
UMANITÀ’ – su UTOPIA21 del novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1kfQ6QaOfbN_IiJCPZMlkIEikXUFzBynG/view.
[A] intellettuale umanista inglese –
1478-1535 -, fu anche primo ministro
sotto Eduardo VIII Tudor, che lo fece infine giustiziare perché More – cattolico
– non accettò lo scisma protestante anglicano
[B]
Libertà religiosa teorizzata da Thomas More, ma non altrettanto praticata nella
sua successiva carriera politica di oppositore, piuttosto feroce, alla riforma
luterana
[C] Ebreo tedesco, nato a Budapest nel 1893
e morto a Londra nel 1947, passato attraverso il marxismo di Lukacs ed il
sociologismo di Max Weber
[D]
Ernst Bloch (1885/1977) filosofo
marxista tedesco, rivaluta l’utopia e la speranza come valenze antropologiche
che muovono la storia in ogni tempo
[E]
Mordacci richiama anche il
contributo di Rutger Bregman (recensito su Utopia21 da Fulvio Fagiani come
autore di “Utopia per realisti”7) in particolare riguardo alla
mancanza di alternative, anche solo immaginate, da parte del mondo
intellettuale, anche di opposizione, spiazzato di fronte alla crisi iniziata
nel 2007
[F] Non dimenticando che tra gli avversari
di uno sviluppo sostenibile vi siamo in parte noi stessi, data la pervasività
sociale del modello consumista e più in generale del paradigma
tecno-capitalista “senza alternative”.