martedì 2 febbraio 2021

UTOPIA21 - GENNAIO 2021: SUPERARE IL LAVORO SALARIATO? di Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi


Una riflessione radicale, anche se antica sul ruolo di ‘merce’ del lavoro salariato. Assente oggi, nel dibattito sulla transizione oltre l’attuale finanz-capitalismo, da parte di chi teorizza l’impresa etica, ed anche da chi prevede la scomparsa del lavoro.

 

Sommario:

-       le ipotesi di transizione eco-sociale

-       movimento operaio e autogestione

-       la sostanza dello sfruttamento

-       una utopia complessa…

-       …che solleva rilevanti questioni antropologiche

 

 

LE IPOTESI DI TRANSIZIONE ECO-SOCIALE

 

La consapevolezza culturale e politica della necessità di una “transizione”, che vada oltre l’attuale sistema economico finanz-capitalistico, sia sul versante ambientale che su quello sociale, comincia ed essere diffusa, come documentato largamente nelle pagine di Utopia21.

Si moltiplicano anche le visioni ed i progetti di un nuovo ordine economico-sociale, come abbiamo avuto occasione di riferire, in particolare recensendo nel 2020 il testo di Thomas Piketty 1,2,3, i documenti di Oxfam 3,4 e del Forum Diseguaglianze&Diversità 3,5 (non lontane sono le proposte dell’ASviS) e la stessa Enciclica ”Fratelli tutti” di Papa Francesco 6,7.

Pur nella diversità dei linguaggi e dei percorsi intellettuali, ci pare di poter rilevare che tali proiezioni di “utopie concrete” convergono su ipotesi di correzione progressiva, ed anche radicale:

-       sia degli assetti aziendali (accentuando il passaggio dal primato del profitto alla contemperazione degli interessi proprietari con quelli dei lavoratori, della società e dell’ambiente),

-       sia delle politiche pubbliche (dal fisco al welfare, dagli scambi internazionali al riequilibrio ambientale),

-       comprimendo nell’insieme l’accumulazione del capitale e soprattutto il peso socio-politico del potere finanziario.

In questa combinazione di pre-distribuzione e ri-distribuzione delle risorse, e di ridiscussione delle priorità produttive, che però non nega il ruolo costruttivo dell’impresa (pubblica o privata), assume giustamente un ruolo importante la dignità dei lavoratori, contro le varie forme di sfruttamento e di emarginazione che caratterizzano lo “stato di cose presente”, dalle forme para-schiaviste nelle campagne al precariato delle “piattaforme” nelle città.

 

Però ci sembra che in tali proposte sia (ancora?) assai marginale l’ipotesi di una autogestione del lavoro, che compare tuttavia:

-       nella rivalutazione moderna delle forme arcaiche della produzione autonoma dei piccoli contadini (Terra Madre di Carlin Petrini, in sintonia con Papa Francesco): piccoli contadini i quali talvolta sfruttano – oltre ai loro familiari – anche il lavoro di braccianti (o – peggio – di piccoli braccianti), e non sempre sono disponibili alla cooperazione,

-       nel sostegno – che sembra però ‘residuale’ -  al subentro di cooperative nelle proprietà aziendale (“buyback” secondo il Forum; “auto-gestione” secondo Piketty).

 

A nostro parere, invece, almeno a livello teorico, sarebbe interessante affrontare esplicitamente anche la questione centrale del lavoro salariato (o variamente subordinato) ed esplorare se sia possibile - tra le utopie concrete – una società che non solo controlla e comprime il capitale, ma che addirittura gli sottrae il ruolo primario di ‘comprare il lavoro’ e di ridurlo a merce.

Il tema è strettamente marxiano, ma comprendiamo che sia difficile da riesumare, dopo che il XX secolo è stato polarizzato dall’esperienza del ‘socialismo reale’, fondata sulla proprietà pubblica (e sulla gestione centralizzata) delle imprese – soprattutto industriali –, che nulla però ha innovato nelle condizioni di sostanziale alienazione del lavoro subordinato.

 

 

MOVIMENTO OPERAIO E AUTOGESTIONE

 

La meta della conquista (più o meno rivoluzionaria) del potere politico e della proprietà pubblica dei mezzi di produzione come fondamentali strumenti di riscatto del proletariato ha d’altronde reso marginali, nella storia del movimento socialista, gli esperimenti e le istanze di tipo cooperativo ed autogestionale (così come minoritarie sono rimaste le correnti anarchiche):

- dagli ‘ateliers nationaux’ nella rivoluzione del 1848 a Parigi (a metà tra reddito di cittadinanza e lavori forzati) e di nuovo nella Comune di Parigi del 1870,

- alla ‘autogestione’ nella Yugoslavia di Tito – più propagandistica che reale, e di cui comunque rimasero solo macerie - e brevemente nell’Algeria di Ben Bella, dopo l’indipendenza del 1962,

- passando per esperienze minoritarie e represse – come la rivolta di Kronstadt – oppure burocratiche e fallimentari – come le cooperative agricole Kolchoz – nella grande epopea sovietica.

 

A scala locale ne abbiamo parlato con Mario Varalli – riguardo alla Vetreria Operaia Federale all’inizio del ‘900 a Sesto Calende 8 – e con Franco Paracchini – riguardo alla Comecor di Vergiate 9 attorno al finire del ‘900 -  esperienze di diverso peso, ma ambedue alla fine incagliate negli scogli del circostante mercato capitalistico.

Più complesso sarebbe analizzare  l’ampia storia della cooperazione a scala nazionale (così come in altre nazioni dell’Europa Occidentale, soprattutto nel mondo tedescofono e scandinavo); ma la nostra impressione è che - finito il ‘900 - le aziende cooperative – pur governate dai soci, od in nome dei soci – si fondino soprattutto su rapporti di lavoro salariato, mentre le poche cooperative di soli soci-produttori siano ridotte ad una nicchia, in un contesto non favorevole (nel frattempo il  movimento delle Cooperative Edilizie, spesso indivise, ha ceduto il passo al frazionamento ed alla privatizzazione dei singoli alloggi; e sono in via di privatizzazione le banche di credito cooperativo).

Più interessante e dinamico è indubbiamente invece l’ambito delle cooperative sociali e del solidarismo ‘no-profit’ del ‘terzo settore’, che vede in movimento energie diffuse e tende ad affrontare nuovi bisogni e antiche povertà (ne ri-parliamo più avanti): però nell’insieme rischia di collocarsi in posizione complementare rispetto al cuore produttivo del sistema capitalistico.

Così come l’eccezionale esperienza spagnola della cooperativa agricola comunale di Marinaleda 10-11.

 

Nella teoria marxiana il lavoro salariato, benché forma acuta di sfruttamento, rappresentava comunque un avanzamento storico rispetto alle precedenti forme di subordinazione nelle società feudali e pre-capitalistiche, dalla schiavitù alla servitù della gleba, dai telai a domicilio alla gerarchia delle botteghe corporative

E al tempo stesso solo generalizzandosi – e massificandosi – il lavoro salariato avrebbe costituito la premessa per il riscatto rivoluzionario del proletariato.

 

 

TRASFORMAZIONI E TENDENZE

 

Le cose sono poi andate in parte diversamente, e senza una univoca polarizzazione delle classi sociali (soprattutto dopo che la sindacalizzazione ha mostrato ai padroni la forza contrattuale derivante da elevate concentrazioni di lavoratori omogenei).

Perché se è vero che proprio in questi ultimi decenni assistiamo ad un  crescente impoverimento dei ceti medi nelle società occidentali (che tra l’altro va ad alimentare il populismo ed anche il sovranismo), lo sviluppo pervasivo del capitalismo in tutto il mondo ed in tutte le fasi della vita sociale non ha determinato una estesa ed omogenea ‘proletarizzazione’, bensì – soprattutto dopo la crisi degli anni ’70 del ‘900 – forme diverse e ‘de-strutturate’ di dominio, sfruttamento e  subordinazione dei lavoratori (anche autonomi od apparentemente autonomi) e dei cittadini-consumatori.

 

Talché – soprattutto a fronte delle forme più perverse di sfruttamento, come la neo-schiavitù, la ‘uberizzazione’ ed il precariato estremo – verrebbe da rivalutare anche oggi il ‘classico’ lavoro salariato come un minore dei mali: non per innescare processi rivoluzionari, ma semplicemente per la sopravvivenza dei lavoratori.

Nel contempo incombe la minaccia della digitalizzazione e automazione spinta della produzione industriale, e dei servizi, con ulteriore espulsione di forza-lavoro e destrutturazione del corpo sociale dei lavoratori (vedi smart working), e nuove modalità di sfruttamento, anche degli stessi consumatori (il cosiddetto ‘lavoro implicito’), attraverso la profilazione ed il condizionamento mediatico.

In tale processo qualcuno vede nuove forme del capitalismo (o della sua crisi)[A] ed anche nuove vie di contrattazione ed emancipazione (Maurizio Ferraris)12, ed altri invece solo nuove modalità di subordinazione e alienazione (Boltanski-Chiapello 13,14, Lelio Demichelis12), altri ancora la premessa per un riscatto autogestito dal basso (Paul Mason 15,16, Sergio Bellucci 17,18).

Si tratta di ipotesi di studio interessanti, e parzialmente fondate, che – pur divergendo – ruotano attorno al nodo della iper-concentrazione del ‘classico’ lavoro produttivo e della marginalizzazione delle altre forme della riproduzione sociale (lavoro di cura, formazione, crescita culturale).

 

 

LA SOSTANZA DELLO SFRUTTAMENTO

 

Banalmente, rifacendo discorsi antichi, ma a nostro avviso tuttora validi, crediamo che – nella cosiddetta libertà di mercato – quando i rapporti sociali di forza consentono all’acquirente di fissare unilateralmente il prezzo della merce (vedi ad esempio la Grande Distribuzione nei confronti dei produttori di pomodori), non vi sia nessuna equità.

E quando la merce in vendita è lo stesso lavoro (sia esso retribuito con stipendio mensile, con paga a giornata od oraria, oppure a cottimo un tanto al pezzo) l’equità può essere forse temporaneamente raggiunta grazie alla solidarietà sindacale tra gli stessi lavoratori, ma – a nostro avviso - difettano fortemente, in modo strutturale, sia l’uguaglianza che la fraternità: l’uno è il padrone (anche se lo si chiama ‘datore di lavoro’ o ‘imprenditore’ o ‘imprenditore etico’), padrone dell’azienda, del marchio, degli strumenti, degli algoritmi e diviene poi, comprandolo, padrone anche del lavoro erogato; l’altro – il lavoratore (dipendente, semi-autonomo, precario) - è un po’ più che un servo, ma – nell’azienda, venduto il lavoro per avere il salario – è padrone solo di quei quattro effetti personali da riporre in apposita scatola di cartone quando cessa il rapporto di lavoro (e forse, ma non sempre, della propria professionalità).

Salvo fasi temporanee di deficit aziendali (ad esempio nel lancio di una nuova impresa, o nel tentativo di sopravvivere ad una crisi ciclica) il lavoro viene acquistato per produrre i margini di profitto che connotano l’impresa capitalistica (e poi si ripartiscono – pagate le tasse, quando vengono pagate… - in interessi verso i creditori, dividendi agli azionisti, bonus ai manager, accantonamenti, investimenti ecc.): salari e profitti sono in permanente conflitto; non c’è profitto senza sfruttamento del lavoro, per quanto umano e gentile sia il padronato.

E lo sfruttamento si combina con l’alienazione, vissuta in modo diverso nelle varie condizioni oggettive e soggettive dei lavoratori (e degli stessi cittadini-consumatori), su cui qui ora non ci soffermiamo.

Il che resta vero anche nelle più moderne ed immateriali ‘internet companies’, che traggono ricavi dalla gestione dei dati degli utenti e dalla pubblicità diffusa in rete, ma possono farlo solo sfruttando i loro dipendenti, pochi o tanti che siano, e anche quando cooptati e complici delle missioni aziendali: se questi scioperassero, un giorno, calerebbe il fatturato anche per Facebook, Google e Microsoft (ed a maggior ragione per Apple e Amazon).

E non crediamo che sia diverso per le holding finanziarie che condizionano l’intero pianeta: per questo spesso stra-pagano i loro dipendenti.

UNA UTOPIA COMPLESSA…

 

Queste ‘banalità’ marxiane ci sembra che tornino attuali di fronte alla complessità della crisi in cui si involve il finanz-capitalismo, dal momento in cui ci si permette – come dicevamo all’inizio dell’articolo – di immaginare e promuovere una possibile transizione ad un mondo migliore: è auspicabile che nell’orizzonte ‘progressista’ si includa anche il superamento del lavoro salariato e subordinato?

A maggior ragione nell’attuale accezione pandemica della crisi, in cui sembrerebbe opportuno rimettere in discussione l’insieme dei rapporti sociali (anche in contrapposizione a chi semplicemente tende a ricostruire il solito tipo di ordine?).

E pensando che in un futuro tale tipo di rapporto sociale divenga un ‘tabu’ negativo’, come oggi è – almeno formalmente – la schiavitù (molti secoli dopo Spartaco e alcuni dopo Kunta Kinte)?. (Analogamente a quanto immaginato per mettere al bando la guerra da intellettuali pacifisti come Moravia e Cassola).

 

E’ questo il nodo da sciogliere, se si intende perseguire a fondo la battaglia contro le disuguaglianze, ed a maggior ragione verso ipotesi di fraternità: senza fare di questa affermazione una discriminante massimalista, che separi coloro che si impegnano per migliorare la società, attribuendo patenti di maggiore o minore ‘alternatività’ (alla maniera dell’antico anatema comunista contro i ‘socialdemocratici’ in quanto riformisti; anche se poi il meglio che riuscì di fare al PCI e agli altri ‘euro-comunisti’ – a nostro avviso – fu proprio un discreto riformismo[B]).

Infatti non si tratta di contrapporre la meta di una società cooperatrice ad una società di imprese etiche (questa forse più facilmente conseguibile), ma di capire quale sia – sempre temporaneamente, e per dirla come Romano Madera – la “stella polare” verso cui dirigersi (o ci dobbiamo accontentare per sempre di Alfa Centauri, solo perché è più vicina?).

 

Pertanto ci sembrerebbe già incoraggiante superare il tabù di non parlarne ‘tra progressisti’ (in particolare in ambito cattolico, ove spesso sembra sufficiente non incorrere nel peccato capitale di “non pagare la giusta mercede agli operai”)[C] .

Pensando che si tratti di una istanza che risponde profondamente ai disagi di miliardi di lavoratori subordinati (anche se in parte non consapevoli, proprio perché alienati, e quindi forse non soggettivamente orientati ad un riscatto così radicale).

Una prospettiva ampia, e se possibile generalizzata, di lavoro cooperativo ed auto-gestito, infatti, ci sembra razionalmente più congruente con i propositi di corresponsabilità planetaria cui ci inducono tutte le valutazioni sugli indicatori scientifici relativi alle condizioni e tendenze della biosfera, dal clima all’energia, dalla biodiversità alla scarsità delle risorse, dalla demografia all’attualissimo studio sui rischi pandemici (temi per i quali rimandiamo da un lato sinteticamente  all’enciclica Laudato-sì 19,20, dall’altro all’insieme degli

 

scritti di Fulvio Fagiani su questa rivista 21,22, che ben riassumono l’avanzamento del dibattito tra gli specialisti e tra i tentativi di pensiero più sistematico).

Ed è una prospettiva, forse convergente, anche se di certo non senza conflitti, con le tendenze alla smaterializzazione dello stesso capitalismo, se dominanti divengono le imprese che gestiscono le informazioni, dove il capitale fisso è esile e massima la proprietà intellettuale (algoritmi, dati, procedure): quindi in linea teorica potrebbe essere più facile da socializzare, perché costituita essenzialmente da attività mentale e da ‘socialità espropriata’.

 

 

…CHE APRE RILEVANTI QUESTIONI ANTROPOLOGICHE

 

Non si tratta di una questione meramente economica, bensì anche e soprattutto antropologica: limitare drasticamente, se non azzerare, lo “sfruttamento dell’uomo sull’uomo”, infatti, riguarda la ‘ricerca della felicità’, sia per gli sfruttati che per gli sfruttatori (e anche per quelli che stanno nel mezzo): felicità intesa come compiuto sviluppo della personalità di ciascuno, nel rispetto di quello degli altri (e nel rispetto dell’ambiente circostante, come condizione per perseguire tali obiettivi per l’intera umanità).

 

La questione non è tanto se il profitto deve essere abolito, ma è:

- se tale ‘felicità’ vada cercata principalmente nell’evasione dal lavoro e quindi nel ‘tempo libero’ (che può oscillare tra piena realizzazione di sè o vacuo edonismo, tra consapevolezza solidale o noia esistenziale),

- oppure se vada cercata nella riappropriazione sociale del lavoro, inteso come soddisfazione – collettiva e individuale – degli effettivi bisogni, vecchi e nuovi, dell’umanità (in connessione con l’ambiente, come sopra accennato), superando virtuosamente la scissione tra tempo di lavoro e tempo libero (non nel senso – opposto - della disponibilità ‘h24’ alla connessione con le necessità aziendali, fossero anche quelle della propria impresa individuale). [D]

 

Il che mette in gioco complessivamente la concezione dei rapporti tra individuo e società’ e comporterebbero un superamento – in termini di consapevolezza e di responsabilità, ancor prima che di ‘quote di potere’ – del ruolo minorile in cui è oggettivamente confinato ogni lavoratore subordinato – ancorché cittadino titolare della sovranità popolare – perché poco o nulla può decidere degli assetti produttivi, finanziari (ed infine anche politici) che determinano le sue condizioni di lavoro e di vita, fatti salvi gli spazi di ‘libera scelta’ come consumatore di merci e come elettore nel gioco (più o meno) democratico dei pubblici poteri.

Rimanendo pertanto dentro l’impresa racchiuso tra l’estraneità alienata e la acquiescenza subalterna, che non è reale ‘partecipazione’.

 

Arrivando inoltre a rivedere anche lo stesso concetto di lavoro, cioè se l’unica forma di lavoro possibile sia quella definita dal capitalismo (lavoro che produce plus-valore), e la divisione tra ciò che appare ‘lavoro’ oppure ‘non-lavoro’, dove oggi finiscono – come sopra accennato - numerose e importanti funzioni del vivere civile (lavoro di cura, formazione, crescita culturale), con il rischio di essere accomunate però in una ‘economia dello scarto’ (vedi anche l’Enciclica “Fratelli Tutti” 6,7), in particolare nella appassionata lettura di Mario Agostinelli) 26

 

Tale ragionamento comporta una ipotesi di profonda riforma anche del processo educativo, dall’infanzia all’intero sviluppo della ‘carriera’ di ogni ‘persona’: che passi anche – ad esempio – attraverso esperienze formative di ‘auto-produzione primaria’ (una sorta di servizio civile integrale, che si fa carico responsabilmente dell’insieme dei bisogni di una comunità, anche nei paesi più poveri del pianeta), senza però esaltare come unico orizzonte l’autarchia della produzione locale.

Mettendo in discussione anche l’attuale separazione tra lo studio ed il lavoro (ma in termini ben più radicali rispetto alla ‘alternanza scuola-lavoro’ finalizzata all’apprendimento di ruoli subalterni).

 

Per ridare un senso ad una Repubblica “fondata sul lavoro” a nostro avviso occorre assumere come obiettivo la dignità del lavoratore:

- non solo nel senso (minimo) del rispetto dei suoi diritti contrattuali, civili e politici (vedi la grande conquista dello Statuto dei Lavoratori),

- e non solo nel significato sostanziale di ‘diritto al reddito’, cioè ad una meritata autosufficienza economica, alternativa ai meccanismi caritatevoli, clientelari od assistenziali (come quelli che definiscono attualmente il “reddito di cittadinanza”) – in proposito ancora l’Enciclica “Fratelli Tutti” 7,8 –,

- bensì anche e soprattutto come qualità del lavoro, inteso come realizzazione di sé nella relazione con gli altri, parte attiva rispetto alla soddisfazione dei bisogni sociali, partecipazione alle decisioni sugli obiettivi e le modalità della ‘produzione’ (in senso lato, sempre più informazioni e servizi che non meri oggetti).

 

Sottrarre il lavoro alla condizione di ‘merce che produce merci’ si collega anche – anzi forse ne è necessaria premessa – ad una più partecipata ed ‘empatetica’ transizione ad un pianeta meno ripieno di oggetti (e quindi ambientalmente più compatibile), ed in cui parte dei bisogni è soddisfatta dalla auto-produzione collettiva, dal volontariato, dallo ‘scambio di doni’: esperienze che si vanno diffondendo ai margini della crisi dell’attuale modello di sviluppo,  nelle ‘banche delle ore’, nel cosiddetto ‘terzo settore’, nei paesi del ‘terzo mondo’.

 

Tendenze diffuse, anche se ‘sparse’, che sono intrinsecamente alternative alla proiezione totalizzante del capitalismo, che invece tende a ridurre a merce ogni relazione umana, come si constata nei frequenti scontri sui ‘beni comuni’, quali non solo l’acqua e l’aria, ma anche i dati, il sapere, la salute.

 

Si tratta di capire se questi movimenti possono costituire gli embrioni di una alternativa complessiva, anche se graduale, oppure se sono destinati a permanere complementari (o addirittura subalterni, considerato che lo stile manageriale e produttivista contagia talvolta anche il volontariato e le Organizzazioni-Non-Governative.

 

In questa prospettiva riteniamo opportuno aprire un dibattito (che si è in parte già sviluppato tra alcuni interlocutori cui abbiamo anticipato una bozza di questo articolo, come indicano le lettere che pubblichiamo di seguito).

 

Approfondendo il discorso, si aprirebbero anche numerosi interrogativi sulla concreta fattibilità di questa utopia di liberazione del lavoro e di cooperazione sociale, su tutti i versanti del vivere sociale ed economico (imprese, mercato, credito, rischio, proprietà, ecc.), che vanno oltre l’orizzonte di questo articolo.

 

 

annavailati@tiscali.it

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    Thomas Piketty – CAPITALE E IDEOLOGIE – La Nave di Teseo, Milano 2020

2.    Thomas Piketty – IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014

3.    Aldo Vecchi - DISUGUAGLIANZE - Quaderno n° 16 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1cID_Kyxo-J-CxwdIcNiaJr_vXmEXuEWk/view

4.    OXFAM – RAPPORTO 2020 - https://www.oxfamitalia.org/davos-2020/

5.    Forum Disuguaglianze Diversità – 15 PROPOSTE PER LA GIUSTIZIA SOCIALE – 2019 -  https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustiziasociale/

6.    Papa Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA FRATERNITÀ E L'AMICIZIA SOCIALE - http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

7.    Aldo Vecchi - L’ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” – su Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1n3Q6C8JC8TtSWwU_ZaOsy8kMZUy8wKNm/view

8.    Aldo Vecchi – INTERVISTA A MARIO VARALLI SULLA STORIA DEI VETRAI SESTESI – su Utopia21, maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1lqDTstI9Sr2yQiwBG4WBWoPFjUC24oXu/view.

9.    Aldo Vecchi - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON FRANCO PARACCHINI SULLE VICENDE DELLA TEMATEX E DELLA COMECOR DI VERGIATE – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ZJSxgkG1v8siAj9DydOMjszw3iGrzXc3/view.

10. Douglas Hamilton “MARINALEDA, IL PAESE DOVE NON ESISTEDISOCCUPAZIONE” settembre 2016 su www.vita.it

11. Aldo Vecchi – LAVORO PER TUTTI? – su Utopia21, marzo 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ELg_AIlUgM_ilyG0eT9XpGal3k4fI_M-/view.

12. Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E UMANITA’ – su Utopia21 – novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1piUV1BaaiW5qcyiSecmY9MsdBPyJGE8E/view.

13. Luc Boltanski e Eve Chiapello - IL NUOVO SPIRITO DEL CAPITALISMO – Mimesis, Milano/Udine 2014

14. Aldo Vecchi - IL TERZO SPIRITO DEL CAPITALISMO, INDAGATO DA BOLTANSKI E CHIAPELLO – su UTOPIA21, gennaio 2018 - https://drive.google.com/file/d/18rOwVEv0UvuYPjmBw7OdeXY4aKczbyg/view

15. Paul Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore,

Milano 2015

16. Aldo Vecchi - ”POSTCAPITALISMO – UNA GUIDA AL NOSTRO FUTURO” SECONDO PAUL MASON – su Utopia21, marzo 2017 - https://drive.google.com/file/d/1WGVL8inLln78aIyge3SJ6NUUtJQF6fF9/view.

17. Sergio Bellucci - L'INDUSTRIA DEI SENSI – Harpo, Roma 2019

18. Sergio Bellucci e Marcello Cini - LO SPETTRO DEL CAPITALE – Codice Edizioni, Torino 2009

19. Papa Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “LAUDATO SI’” http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papafrancesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

20. Fulvio Fagiani - A TRE ANNI DALL'ENCICLICA "LAUDATO, SI'" – su UTOPIA21 del maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/11T3Ge_Vw6OTmj3_2qd60yxFUOMJOr_6d/view.

21. Fulvio Fagiani e altri - PROBLEMI DELLA TRANSIZIONE – Quaderno n° 17 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1I5g4Jns6WjNG-u2ouEI1OUNaPjmQOdEp/view.

22. Fulvio Fagiani - - CRESCITA E DECRESCITA 2 - Quaderno n° 18 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1NOAtvzCnz5YDgpZLw4SqnOKpNFuj1E1d/view.

23. Karl Marx e Friedrich Engels – L’IDEOLOGIA TEDESCA - Editori Riuniti University Press, Roma 2018 

24. Aldo Capitini - IL POTERE DI TUTTI - La Nuova Italia, Firenze 1969

25. Guido Morselli – IL COMUNISTA – Adelphi, Milano 2014

26. Mario Agostinelli - DALLA LAUDATO SI’ ALLA “FRATELLI TUTTI”: QUALE LAVORO? – su Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1gTppLvefyefcjd1rnfVpo-Pcj1IJBjY_/view.

 

 



[A] Capitalismo Documediale per Maurizio Ferraris; Info-Capitalismo per Paul Mason; Tecno-Capitalismo per Demichelis, Terzo-Spirito-del-Capitalismo per Boltanski/Chiapello, Capitalismo Digitale per Bellucci.

[B] Tacendo dei socialdemocratici italiani (intesi come PSDI, e poi come Craxismo), che non fecero neanche quello).

[C] Sembra deporre in tal senso la scuola dell’economia francescana, a partire da Bernardino da Siena, anche se oggi feconda di interessanti sviluppi; mentre una visione comunitaria più radicale si potrebbe rintracciare nella regola di Benedetto, contraddetta però dalla pratica secolare di sfruttare conversi e servi da parte dei monasteri benedettini.

 

[D] Sul tema si sono misurati, tra gli altri, Carlo Marx, con la nota visione della “società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico" 23 e Aldo Capitini, con la proposta della ‘endoponia’ 24, cioè il diritto a ricercare la felicità nel lavoro. Vedi anche il romanzo “il comunista” di Guido Morselli 25

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