Una riflessione radicale,
anche se antica sul ruolo di ‘merce’ del lavoro salariato. Assente oggi, nel
dibattito sulla transizione oltre l’attuale finanz-capitalismo, da parte di chi
teorizza l’impresa etica, ed anche da chi prevede la scomparsa del lavoro.
Sommario:
-
le ipotesi di
transizione eco-sociale
-
movimento operaio e
autogestione
-
la sostanza dello
sfruttamento
-
una utopia complessa…
-
…che solleva rilevanti
questioni antropologiche
LE IPOTESI DI
TRANSIZIONE ECO-SOCIALE
La
consapevolezza culturale e politica della necessità di una “transizione”, che
vada oltre l’attuale sistema economico finanz-capitalistico, sia sul versante
ambientale che su quello sociale, comincia ed essere diffusa, come documentato
largamente nelle pagine di Utopia21.
Si
moltiplicano anche le visioni ed i progetti di un nuovo ordine
economico-sociale, come abbiamo avuto occasione di riferire, in particolare
recensendo nel 2020 il testo di Thomas Piketty 1,2,3, i documenti di
Oxfam 3,4 e del Forum Diseguaglianze&Diversità 3,5 (non
lontane sono le proposte dell’ASviS) e la stessa Enciclica ”Fratelli tutti” di
Papa Francesco 6,7.
Pur
nella diversità dei linguaggi e dei percorsi intellettuali, ci pare di poter
rilevare che tali proiezioni di “utopie concrete” convergono su ipotesi di
correzione progressiva, ed anche radicale:
-
sia
degli assetti aziendali (accentuando il passaggio dal primato del profitto alla
contemperazione degli interessi proprietari con quelli dei lavoratori, della
società e dell’ambiente),
-
sia
delle politiche pubbliche (dal fisco al welfare, dagli scambi internazionali al
riequilibrio ambientale),
-
comprimendo
nell’insieme l’accumulazione del capitale e soprattutto il peso socio-politico
del potere finanziario.
In
questa combinazione di pre-distribuzione e ri-distribuzione delle risorse, e di
ridiscussione delle priorità produttive, che però non nega il ruolo costruttivo
dell’impresa (pubblica o privata), assume giustamente un ruolo importante la
dignità dei lavoratori, contro le varie forme di sfruttamento e di
emarginazione che caratterizzano lo “stato di cose presente”, dalle forme
para-schiaviste nelle campagne al precariato delle “piattaforme” nelle città.
Però
ci sembra che in tali proposte sia (ancora?) assai marginale l’ipotesi di una
autogestione del lavoro, che compare tuttavia:
-
nella
rivalutazione moderna delle forme arcaiche della produzione autonoma dei
piccoli contadini (Terra Madre di Carlin Petrini, in sintonia con Papa
Francesco): piccoli contadini i quali talvolta sfruttano – oltre ai loro
familiari – anche il lavoro di braccianti (o – peggio – di piccoli braccianti),
e non sempre sono disponibili alla cooperazione,
-
nel
sostegno – che sembra però ‘residuale’ -
al subentro di cooperative nelle proprietà aziendale (“buyback” secondo
il Forum; “auto-gestione” secondo Piketty).
A
nostro parere, invece, almeno a livello teorico, sarebbe interessante
affrontare esplicitamente anche la questione centrale del lavoro salariato (o
variamente subordinato) ed esplorare se sia possibile - tra le utopie concrete
– una società che non solo controlla e comprime il capitale, ma che addirittura
gli sottrae il ruolo primario di ‘comprare il lavoro’ e di ridurlo a merce.
Il
tema è strettamente marxiano, ma comprendiamo che sia difficile da riesumare,
dopo che il XX secolo è stato polarizzato dall’esperienza del ‘socialismo
reale’, fondata sulla proprietà pubblica (e sulla gestione centralizzata) delle
imprese – soprattutto industriali –, che nulla però ha innovato nelle
condizioni di sostanziale alienazione del lavoro subordinato.
MOVIMENTO OPERAIO E AUTOGESTIONE
La
meta della conquista (più o meno rivoluzionaria) del potere politico e della
proprietà pubblica dei mezzi di produzione come fondamentali strumenti di
riscatto del proletariato ha d’altronde reso marginali, nella storia del
movimento socialista, gli esperimenti e le istanze di tipo cooperativo ed
autogestionale (così come minoritarie sono rimaste le correnti anarchiche):
-
dagli ‘ateliers nationaux’ nella rivoluzione del 1848 a Parigi (a metà tra
reddito di cittadinanza e lavori forzati) e di nuovo nella Comune di Parigi del
1870,
-
alla ‘autogestione’ nella Yugoslavia di Tito – più propagandistica che reale, e
di cui comunque rimasero solo macerie - e brevemente nell’Algeria di Ben Bella,
dopo l’indipendenza del 1962,
-
passando per esperienze minoritarie e represse – come la rivolta di Kronstadt –
oppure burocratiche e fallimentari – come le cooperative agricole Kolchoz –
nella grande epopea sovietica.
A
scala locale ne abbiamo parlato con Mario Varalli – riguardo alla Vetreria
Operaia Federale all’inizio del ‘900 a Sesto Calende 8 – e con
Franco Paracchini – riguardo alla Comecor di Vergiate 9 attorno al
finire del ‘900 - esperienze di diverso
peso, ma ambedue alla fine incagliate negli scogli del circostante mercato
capitalistico.
Più
complesso sarebbe analizzare l’ampia storia
della cooperazione a scala nazionale (così come in altre nazioni dell’Europa
Occidentale, soprattutto nel mondo tedescofono e scandinavo); ma la nostra
impressione è che - finito il ‘900 - le aziende cooperative – pur governate dai
soci, od in nome dei soci – si fondino soprattutto su rapporti di lavoro
salariato, mentre le poche cooperative di soli soci-produttori siano ridotte ad
una nicchia, in un contesto non favorevole (nel frattempo il movimento delle Cooperative Edilizie, spesso
indivise, ha ceduto il passo al frazionamento ed alla privatizzazione dei
singoli alloggi; e sono in via di privatizzazione le banche di credito
cooperativo).
Più
interessante e dinamico è indubbiamente invece l’ambito delle cooperative
sociali e del solidarismo ‘no-profit’ del ‘terzo settore’, che vede in
movimento energie diffuse e tende ad affrontare nuovi bisogni e antiche povertà
(ne ri-parliamo più avanti): però
nell’insieme rischia di collocarsi in posizione complementare rispetto al cuore
produttivo del sistema capitalistico.
Così
come l’eccezionale esperienza spagnola della cooperativa agricola comunale di
Marinaleda 10-11.
Nella
teoria marxiana il lavoro salariato, benché forma acuta di sfruttamento,
rappresentava comunque un avanzamento storico rispetto alle precedenti forme di
subordinazione nelle società feudali e pre-capitalistiche, dalla schiavitù alla
servitù della gleba, dai telai a domicilio alla gerarchia delle botteghe
corporative
E
al tempo stesso solo generalizzandosi – e massificandosi – il lavoro salariato
avrebbe costituito la premessa per il riscatto rivoluzionario del proletariato.
TRASFORMAZIONI E
TENDENZE
Le
cose sono poi andate in parte diversamente, e senza una univoca polarizzazione
delle classi sociali (soprattutto dopo che la sindacalizzazione ha mostrato ai
padroni la forza contrattuale derivante da elevate concentrazioni di lavoratori
omogenei).
Perché
se è vero che proprio in questi ultimi decenni assistiamo ad un crescente impoverimento dei ceti medi nelle
società occidentali (che tra l’altro va ad alimentare il populismo ed anche il
sovranismo), lo sviluppo pervasivo del capitalismo in tutto il mondo ed in
tutte le fasi della vita sociale non ha determinato una estesa ed omogenea
‘proletarizzazione’, bensì – soprattutto dopo la crisi degli anni ’70 del ‘900 –
forme diverse e ‘de-strutturate’ di dominio, sfruttamento e subordinazione dei lavoratori (anche autonomi
od apparentemente autonomi) e dei cittadini-consumatori.
Talché
– soprattutto a fronte delle forme più perverse di sfruttamento, come la
neo-schiavitù, la ‘uberizzazione’ ed il precariato estremo – verrebbe da
rivalutare anche oggi il ‘classico’ lavoro salariato come un minore dei mali:
non per innescare processi rivoluzionari, ma semplicemente per la sopravvivenza
dei lavoratori.
Nel
contempo incombe la minaccia della digitalizzazione e automazione spinta della
produzione industriale, e dei servizi, con ulteriore espulsione di forza-lavoro
e destrutturazione del corpo sociale dei
lavoratori (vedi smart working), e nuove modalità di sfruttamento, anche degli
stessi consumatori (il cosiddetto ‘lavoro implicito’), attraverso la
profilazione ed il condizionamento mediatico.
In
tale processo qualcuno vede nuove forme del capitalismo (o della sua crisi)[A] ed anche nuove vie di
contrattazione ed emancipazione (Maurizio Ferraris)12, ed altri
invece solo nuove modalità di subordinazione e alienazione (Boltanski-Chiapello
13,14, Lelio Demichelis12), altri ancora la premessa per
un riscatto autogestito dal basso (Paul Mason 15,16, Sergio Bellucci
17,18).
Si
tratta di ipotesi di studio interessanti, e parzialmente fondate, che – pur
divergendo – ruotano attorno al nodo della iper-concentrazione del ‘classico’
lavoro produttivo e della marginalizzazione delle altre forme della
riproduzione sociale (lavoro di cura, formazione, crescita culturale).
LA SOSTANZA DELLO
SFRUTTAMENTO
Banalmente,
rifacendo discorsi antichi, ma a nostro avviso tuttora validi, crediamo che –
nella cosiddetta libertà di mercato – quando i rapporti sociali di forza
consentono all’acquirente di fissare unilateralmente il prezzo della merce
(vedi ad esempio la Grande Distribuzione nei confronti dei produttori di
pomodori), non vi sia nessuna equità.
E
quando la merce in vendita è lo stesso lavoro (sia esso retribuito con stipendio
mensile, con paga a giornata od oraria, oppure a cottimo un tanto al pezzo)
l’equità può essere forse temporaneamente raggiunta grazie alla solidarietà
sindacale tra gli stessi lavoratori, ma – a nostro avviso - difettano
fortemente, in modo strutturale, sia l’uguaglianza che la fraternità: l’uno è
il padrone (anche se lo si chiama ‘datore di lavoro’ o ‘imprenditore’ o
‘imprenditore etico’), padrone dell’azienda, del marchio, degli strumenti,
degli algoritmi e diviene poi, comprandolo, padrone anche del lavoro erogato;
l’altro – il lavoratore (dipendente, semi-autonomo, precario) - è un po’ più
che un servo, ma – nell’azienda, venduto il lavoro per avere il salario – è
padrone solo di quei quattro effetti personali da riporre in apposita scatola
di cartone quando cessa il rapporto di lavoro (e forse, ma non sempre, della
propria professionalità).
Salvo
fasi temporanee di deficit aziendali (ad esempio nel lancio di una nuova
impresa, o nel tentativo di sopravvivere ad una crisi ciclica) il lavoro viene
acquistato per produrre i margini di profitto che connotano l’impresa
capitalistica (e poi si ripartiscono – pagate le tasse, quando vengono pagate… - in interessi verso i creditori, dividendi
agli azionisti, bonus ai manager, accantonamenti, investimenti ecc.): salari
e profitti sono in permanente conflitto; non c’è profitto senza sfruttamento
del lavoro, per quanto umano e gentile sia il padronato.
E
lo sfruttamento si combina con l’alienazione, vissuta in modo diverso nelle
varie condizioni oggettive e soggettive dei lavoratori (e degli stessi
cittadini-consumatori), su cui qui ora non ci soffermiamo.
Il
che resta vero anche nelle più moderne ed immateriali ‘internet companies’, che
traggono ricavi dalla gestione dei dati degli utenti e dalla pubblicità diffusa
in rete, ma possono farlo solo sfruttando i loro dipendenti, pochi o tanti che
siano, e anche quando cooptati e complici delle missioni aziendali: se questi
scioperassero, un giorno, calerebbe il fatturato anche per Facebook, Google e
Microsoft (ed a maggior ragione per Apple e Amazon).
E
non crediamo che sia diverso per le holding finanziarie che condizionano l’intero
pianeta: per questo spesso stra-pagano i loro dipendenti.
UNA UTOPIA COMPLESSA…
Queste
‘banalità’ marxiane ci sembra che tornino attuali di fronte alla complessità
della crisi in cui si involve il finanz-capitalismo, dal momento in cui ci si
permette – come dicevamo all’inizio dell’articolo – di immaginare e promuovere
una possibile transizione ad un mondo migliore: è auspicabile che
nell’orizzonte ‘progressista’ si includa anche il superamento del lavoro
salariato e subordinato?
A
maggior ragione nell’attuale accezione pandemica della crisi, in cui
sembrerebbe opportuno rimettere in discussione l’insieme dei rapporti sociali
(anche in contrapposizione a chi semplicemente tende a ricostruire il solito
tipo di ordine?).
E
pensando che in un futuro tale tipo di rapporto sociale divenga un ‘tabu’
negativo’, come oggi è – almeno formalmente – la schiavitù (molti secoli dopo
Spartaco e alcuni dopo Kunta Kinte)?. (Analogamente a quanto immaginato per
mettere al bando la guerra da intellettuali pacifisti come Moravia e Cassola).
E’
questo il nodo da sciogliere, se si intende perseguire a fondo la battaglia
contro le disuguaglianze, ed a maggior ragione verso ipotesi di fraternità:
senza fare di questa affermazione una discriminante massimalista, che separi
coloro che si impegnano per migliorare la società, attribuendo patenti di
maggiore o minore ‘alternatività’ (alla maniera dell’antico anatema comunista
contro i ‘socialdemocratici’ in quanto riformisti; anche se poi il meglio che
riuscì di fare al PCI e agli altri ‘euro-comunisti’ – a nostro avviso – fu
proprio un discreto riformismo[B]).
Infatti
non si tratta di contrapporre la meta di una società cooperatrice ad una
società di imprese etiche (questa forse più facilmente conseguibile), ma di
capire quale sia – sempre temporaneamente, e per dirla come Romano Madera – la
“stella polare” verso cui dirigersi (o ci dobbiamo accontentare per sempre di
Alfa Centauri, solo perché è più vicina?).
Pertanto
ci sembrerebbe già incoraggiante superare il tabù di non parlarne ‘tra progressisti’
(in particolare in ambito cattolico, ove spesso sembra sufficiente non
incorrere nel peccato capitale di “non pagare la giusta mercede agli operai”)[C] .
Pensando
che si tratti di una istanza che risponde profondamente ai disagi di miliardi
di lavoratori subordinati (anche se in parte non consapevoli, proprio perché
alienati, e quindi forse non soggettivamente orientati ad un riscatto così
radicale).
Una
prospettiva ampia, e se possibile generalizzata, di lavoro cooperativo ed
auto-gestito, infatti, ci sembra razionalmente più congruente con i propositi
di corresponsabilità planetaria cui ci inducono tutte le valutazioni sugli
indicatori scientifici relativi alle condizioni e tendenze della biosfera, dal
clima all’energia, dalla biodiversità alla scarsità delle risorse, dalla
demografia all’attualissimo studio sui rischi pandemici (temi per i quali
rimandiamo da un lato sinteticamente all’enciclica Laudato-sì 19,20,
dall’altro all’insieme degli
scritti
di Fulvio Fagiani su questa rivista 21,22, che ben riassumono
l’avanzamento del dibattito tra gli specialisti e tra i tentativi di pensiero
più sistematico).
Ed
è una prospettiva, forse convergente, anche se di certo non senza conflitti,
con le tendenze alla smaterializzazione dello stesso capitalismo, se dominanti
divengono le imprese che gestiscono le informazioni, dove il capitale fisso è
esile e massima la proprietà intellettuale (algoritmi, dati, procedure): quindi
in linea teorica potrebbe essere più facile da socializzare, perché costituita
essenzialmente da attività mentale e da ‘socialità espropriata’.
…CHE APRE RILEVANTI
QUESTIONI ANTROPOLOGICHE
Non
si tratta di una questione meramente economica, bensì anche e soprattutto
antropologica: limitare drasticamente, se non azzerare, lo “sfruttamento
dell’uomo sull’uomo”, infatti, riguarda la ‘ricerca della felicità’, sia per
gli sfruttati che per gli sfruttatori (e anche per quelli che stanno nel
mezzo): felicità intesa come compiuto sviluppo della personalità di ciascuno,
nel rispetto di quello degli altri (e nel rispetto dell’ambiente circostante,
come condizione per perseguire tali obiettivi per l’intera umanità).
La
questione non è tanto se il profitto deve essere abolito, ma è:
-
se tale ‘felicità’ vada cercata principalmente nell’evasione dal lavoro e
quindi nel ‘tempo libero’ (che può oscillare tra piena realizzazione di sè o
vacuo edonismo, tra consapevolezza solidale o noia esistenziale),
-
oppure se vada cercata nella riappropriazione sociale del lavoro, inteso come
soddisfazione – collettiva e individuale – degli effettivi bisogni, vecchi e
nuovi, dell’umanità (in connessione con l’ambiente, come sopra accennato),
superando virtuosamente la scissione tra tempo di lavoro e tempo libero (non
nel senso – opposto - della disponibilità ‘h24’ alla connessione con le
necessità aziendali, fossero anche quelle della propria impresa individuale). [D]
Il
che mette in gioco complessivamente la concezione dei rapporti tra individuo e
società’ e comporterebbero un superamento – in termini di consapevolezza e di
responsabilità, ancor prima che di ‘quote di potere’ – del ruolo minorile in
cui è oggettivamente confinato ogni lavoratore subordinato – ancorché cittadino
titolare della sovranità popolare – perché poco o nulla può decidere degli
assetti produttivi, finanziari (ed infine anche politici) che determinano le
sue condizioni di lavoro e di vita, fatti salvi gli spazi di ‘libera scelta’
come consumatore di merci e come elettore nel gioco (più o meno) democratico
dei pubblici poteri.
Rimanendo
pertanto dentro l’impresa racchiuso tra l’estraneità alienata e la acquiescenza
subalterna, che non è reale ‘partecipazione’.
Arrivando
inoltre a rivedere anche lo stesso concetto di lavoro, cioè se l’unica forma di
lavoro possibile sia quella definita dal capitalismo (lavoro che produce
plus-valore), e la divisione tra ciò che appare ‘lavoro’ oppure ‘non-lavoro’,
dove oggi finiscono – come sopra accennato - numerose e importanti funzioni del
vivere civile (lavoro di cura, formazione, crescita culturale), con il rischio
di essere accomunate però in una ‘economia dello scarto’ (vedi anche
l’Enciclica “Fratelli Tutti” 6,7), in particolare nella appassionata
lettura di Mario Agostinelli) 26.
Tale
ragionamento comporta una ipotesi di profonda riforma anche del processo
educativo, dall’infanzia all’intero sviluppo della ‘carriera’ di ogni ‘persona’:
che passi anche – ad esempio – attraverso esperienze formative di
‘auto-produzione primaria’ (una sorta di servizio civile integrale, che si fa
carico responsabilmente dell’insieme dei bisogni di una comunità, anche nei paesi più poveri del pianeta), senza però
esaltare come unico orizzonte l’autarchia della produzione locale.
Mettendo
in discussione anche l’attuale separazione tra lo studio ed il lavoro (ma in
termini ben più radicali rispetto alla ‘alternanza scuola-lavoro’ finalizzata
all’apprendimento di ruoli subalterni).
Per
ridare un senso ad una Repubblica “fondata sul lavoro” a nostro avviso occorre
assumere come obiettivo la dignità del lavoratore:
-
non solo nel senso (minimo) del rispetto dei suoi diritti contrattuali, civili
e politici (vedi la grande conquista dello Statuto dei Lavoratori),
-
e non solo nel significato sostanziale di ‘diritto al reddito’, cioè ad una
meritata autosufficienza economica, alternativa ai meccanismi caritatevoli,
clientelari od assistenziali (come quelli che definiscono attualmente il “reddito
di cittadinanza”) – in proposito ancora l’Enciclica “Fratelli Tutti” 7,8
–,
-
bensì anche e soprattutto come qualità del lavoro, inteso come realizzazione di
sé nella relazione con gli altri, parte attiva rispetto alla soddisfazione dei
bisogni sociali, partecipazione alle decisioni sugli obiettivi e le modalità
della ‘produzione’ (in senso lato, sempre più informazioni e servizi che non
meri oggetti).
Sottrarre
il lavoro alla condizione di ‘merce che produce merci’ si collega anche – anzi
forse ne è necessaria premessa – ad una più partecipata ed ‘empatetica’ transizione
ad un pianeta meno ripieno di oggetti (e quindi ambientalmente più
compatibile), ed in cui parte dei bisogni è soddisfatta dalla auto-produzione
collettiva, dal volontariato, dallo ‘scambio di doni’: esperienze che si vanno
diffondendo ai margini della crisi dell’attuale modello di sviluppo, nelle ‘banche delle ore’, nel cosiddetto
‘terzo settore’, nei paesi del ‘terzo mondo’.
Tendenze
diffuse, anche se ‘sparse’, che sono intrinsecamente alternative alla
proiezione totalizzante del capitalismo, che invece tende a ridurre a merce
ogni relazione umana, come si constata nei frequenti scontri sui ‘beni comuni’,
quali non solo l’acqua e l’aria, ma anche i dati, il sapere, la salute.
Si
tratta di capire se questi movimenti possono costituire gli embrioni di una
alternativa complessiva, anche se graduale, oppure se sono destinati a
permanere complementari (o addirittura subalterni, considerato che lo stile
manageriale e produttivista contagia talvolta anche il volontariato e le
Organizzazioni-Non-Governative.
In
questa prospettiva riteniamo opportuno aprire un dibattito (che si è in parte
già sviluppato tra alcuni interlocutori cui abbiamo anticipato una bozza di
questo articolo, come indicano le lettere che pubblichiamo di seguito).
Approfondendo
il discorso, si aprirebbero anche numerosi interrogativi sulla concreta
fattibilità di questa utopia di liberazione del lavoro e di cooperazione
sociale, su tutti i versanti del vivere sociale ed economico (imprese, mercato,
credito, rischio, proprietà, ecc.), che vanno oltre l’orizzonte di questo
articolo.
Fonti:
1.
Thomas
Piketty – CAPITALE E IDEOLOGIE – La Nave di Teseo, Milano 2020
2.
Thomas
Piketty – IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014
3.
Aldo
Vecchi - DISUGUAGLIANZE - Quaderno n° 16 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1cID_Kyxo-J-CxwdIcNiaJr_vXmEXuEWk/view
4. OXFAM
– RAPPORTO 2020 - https://www.oxfamitalia.org/davos-2020/
5.
Forum
Disuguaglianze Diversità – 15 PROPOSTE PER LA GIUSTIZIA SOCIALE – 2019 - https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustiziasociale/
6. Papa
Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” DEL SANTO PADRE FRANCESCO
SULLA FRATERNITÀ E L'AMICIZIA SOCIALE - http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html
7.
Aldo
Vecchi - L’ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” – su Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1n3Q6C8JC8TtSWwU_ZaOsy8kMZUy8wKNm/view
8.
Aldo
Vecchi – INTERVISTA A MARIO VARALLI SULLA STORIA DEI VETRAI SESTESI – su
Utopia21, maggio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1lqDTstI9Sr2yQiwBG4WBWoPFjUC24oXu/view.
9.
Aldo
Vecchi - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON FRANCO PARACCHINI SULLE VICENDE DELLA
TEMATEX E DELLA COMECOR DI VERGIATE – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ZJSxgkG1v8siAj9DydOMjszw3iGrzXc3/view.
10.
Douglas
Hamilton “MARINALEDA, IL PAESE DOVE NON ESISTEDISOCCUPAZIONE” settembre 2016 su
www.vita.it
11.
Aldo
Vecchi – LAVORO PER TUTTI? – su Utopia21, marzo 2018 - https://drive.google.com/file/d/1ELg_AIlUgM_ilyG0eT9XpGal3k4fI_M-/view.
12.
Aldo
Vecchi e Fulvio Fagiani - IL DIALOGO TRA FERRARIS E DEMICHELIS SU TECNICA E
UMANITA’ – su Utopia21 – novembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1piUV1BaaiW5qcyiSecmY9MsdBPyJGE8E/view.
13.
Luc
Boltanski e Eve Chiapello - IL NUOVO SPIRITO DEL CAPITALISMO – Mimesis,
Milano/Udine 2014
14. Aldo
Vecchi - IL TERZO SPIRITO DEL CAPITALISMO, INDAGATO DA BOLTANSKI E CHIAPELLO –
su UTOPIA21, gennaio 2018 - https://drive.google.com/file/d/18rOwVEv0UvuYPjmBw7OdeXY4aKczbyg/view
15. Paul
Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore,
Milano
2015
16.
Aldo
Vecchi - ”POSTCAPITALISMO – UNA GUIDA AL NOSTRO FUTURO” SECONDO PAUL MASON – su
Utopia21, marzo 2017 - https://drive.google.com/file/d/1WGVL8inLln78aIyge3SJ6NUUtJQF6fF9/view.
17. Sergio
Bellucci - L'INDUSTRIA DEI SENSI – Harpo, Roma 2019
18. Sergio
Bellucci e Marcello Cini - LO SPETTRO DEL CAPITALE – Codice Edizioni, Torino
2009
19.
Papa
Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “LAUDATO SI’” http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papafrancesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
20.
Fulvio Fagiani - A TRE ANNI DALL'ENCICLICA "LAUDATO,
SI'" – su UTOPIA21 del maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/11T3Ge_Vw6OTmj3_2qd60yxFUOMJOr_6d/view.
21.
Fulvio Fagiani e altri - PROBLEMI DELLA
TRANSIZIONE – Quaderno n° 17 di Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1I5g4Jns6WjNG-u2ouEI1OUNaPjmQOdEp/view.
22.
Fulvio
Fagiani - - CRESCITA E DECRESCITA 2 - Quaderno n° 18 di Utopia21, novembre 2020
- https://drive.google.com/file/d/1NOAtvzCnz5YDgpZLw4SqnOKpNFuj1E1d/view.
23.
Karl
Marx e Friedrich Engels – L’IDEOLOGIA TEDESCA - Editori Riuniti University
Press, Roma 2018
24.
Aldo
Capitini - IL POTERE DI TUTTI - La Nuova Italia, Firenze 1969
25.
Guido
Morselli – IL COMUNISTA – Adelphi, Milano 2014
26.
Mario
Agostinelli - DALLA LAUDATO SI’ ALLA “FRATELLI TUTTI”: QUALE LAVORO? – su
Utopia21, novembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1gTppLvefyefcjd1rnfVpo-Pcj1IJBjY_/view.
[A] Capitalismo Documediale per Maurizio
Ferraris; Info-Capitalismo per Paul Mason; Tecno-Capitalismo per Demichelis,
Terzo-Spirito-del-Capitalismo per Boltanski/Chiapello, Capitalismo Digitale per
Bellucci.
[B]
Tacendo dei socialdemocratici
italiani (intesi come PSDI, e poi come Craxismo), che non fecero neanche
quello).
[C]
Sembra deporre in tal senso la
scuola dell’economia francescana, a partire da Bernardino da Siena, anche se
oggi feconda di interessanti sviluppi; mentre una visione comunitaria più
radicale si potrebbe rintracciare nella regola di Benedetto, contraddetta però
dalla pratica secolare di sfruttare conversi e servi da parte dei monasteri
benedettini.
[D] Sul tema si sono misurati, tra gli altri, Carlo Marx, con la nota visione della “società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, cosí come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico" 23 e Aldo Capitini, con la proposta della ‘endoponia’ 24, cioè il diritto a ricercare la felicità nel lavoro. Vedi anche il romanzo “il comunista” di Guido Morselli 25.
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