Un vivace racconto su esperienze, positive e meno positive, di città e territori alle prese con la sostenibilità ambientale.
“Biodivercity”1
di Elena Granata, architetto e docente del Politecnico di Milano, è una rapida
cavalcata su numerosi temi della transizione verso la sostenibilità urbana.
Abbastanza
spiazzante, per un pubblico ecologista (avvezzo
al racconto di romantici o sofferti eremitaggi, vedi ad esempio Maurizio Pallante2),
mi sembra il capitolo introduttivo, che – sulla scorta dell’esperienza
personale – tesse l’elogio del vivere urbano (ed in particolare milanese), pur
non tacendone le difficoltà, ma esaltandone le opportunità (incluse quelle cui
poi il cittadino medio non accede, però potrebbe accedervi, con “quella
febbrile eccitazione”).
Si
apre quindi la rassegna (più di esempi positivi che di casi negativi), dal
parco “High Line” di New York (recupero “verde” di una ferrovia urbana
sopraelevata), ai sistemi innovativi di trasporto pubblico a Medellin e Bogotà,
da “un asilo rumoroso e senza muri a Tokio” al tentativo di integrazione
socio-economica dei migranti a Riace (prima
di Salvini), - e diversi altri casi - privilegiando spesso le soluzioni
‘diagonali’, da punti di vista inediti e geniali, la ‘mossa del cavallo’ (il che mi fa pensare che la ‘cavalcata’
avvenga in groppa ad un cavallo degli scacchi); e censurando invece gli approcci
“problem solving”, quando non rimettono in discussione le stesse premesse delle
questioni in esame.
L’Autrice
mette spesso in evidenza quanto le impostazioni tradizionali, con pretesa di
onnicomprensività razionale, lascino scoperti fronti contradditori, evidenziati
invece da movimenti di cittadini oppure da isolati ricercatori alternativi, dai
progetti di dighe idroelettriche in India alla ricostruzione post-tsunami nel
sud del Cile (a Constitucion l’alternativa in campo era tra un’alta diga litoranea
e lo svuotamento dei piani terra, lasciandoli allagabili, mentre il
sopravvenuto architetto Aravena convinse a impiantare una inedita foresta
costiera – resta ancora però da vedere, forse, quanto reggerà alle
mareggiate - ).
Ma a mio avviso dimentica
di esercitare analogo spirito critico quando la soluzione le appare brillante,
come nei casi del Bosco Verticale di Stefano Boeri a Milano-Garibaldi [1]
oppure di un prosciuttificio semi-ipogeo scavato nelle pendici boscose dei
Monti Sibillini (le cui contro-indicazioni a me sembrano evidenti), ma anche
per l’High Line di New York (che taluni commentatori
vedono anche come uno strumento di ‘gentrification’ ed espulsione di ceti
popolari dal quartiere) oppure per Medellin e Bogotà, perché mi sembrerebbe da
approfondire la certezza di un rapporto causa-effetto tra modernizzazione dei
trasporti e calo drastico degli omicidi, in una situazione storica di
esaurimento fisiologico della guerra ‘civile’.
Attraverso
la scacchiera della casistica, l’Autrice delinea anche altri ragionamenti di
ampio respiro (oltre a quelli del ‘sapere diagonale’), in parte per me condivisibili, tra i quali:
-
l’ipotesi
che il discorso ecologista fatichi – soprattutto in Italia – perché indica
“obiettivi astratti e lontani”, che non suscitano “emozione e coinvolgimento”….spesso
“spaventa le persone e insieme le confina in una bolla” di sostanziale
impotenza operativa; anche se la soluzione proposta da Granata è quella di
abbandonare ”l’idea di dare risposte … di controllare ogni cosa” perché
“consapevolezza e azione sono più facili di quanto immaginiamo” (e qui francamente faccio fatica a seguirla);
-
il
disagio verso le certezze ecologiche parziali, come le auto elettriche, in
quanto “altrettanto ingombranti, quindi socialmente non sostenibili” 3;
-
il
dubbio che la ricostruzione dopo i terremoti non debba avvenire “com’era e dov’era” (ma si
spinge a mio avviso troppo lontano dal sentire delle popolazioni 4,
suggerendo largo impiego di legno acciaio e vetro);
-
il
sospetto che la “Smart city”, nel generare “l’aspettativa di un accesso
socialmente livellato alle reti tecnologiche…” tuttavia non sappia “davvero
misurarsi con le crescenti differenze tra territori e soggetti abilitati o meno
a usufruire di tali tecnologie (digital divide) 5”;
-
la
convinzione che le grandi città – pur essendo ‘generatori di insostenibilità’ –
connettendosi tra loro in rete possano divenire, più dei rispettivi Stati
nazionali, “parte della soluzione” dei
problemi ambientali (mentre a mio avviso
questa visione è un po’ superata da quando l’Europa ha iniziato a fare sul
serio, a livello inter-statale e sovra-nazionale; senza dimenticare il ruolo
dello Stato Cinese – magari pro-carbone a breve termine, ma ben piazzato
strategicamente su tutte le tecnologie ‘verdi’ – ed il possibile ritorno ad un
positivo intervento degli U.S.A. se – come sembra – ‘de-Trumpizzati’, oltre alle azioni che
hanno continuato a svolgere i singoli Stati di tale Federazione).
Concludendo questa mia
succinta recensione, consiglio la lettura di “Biodivercity”, perchè vivace e
stimolante: stimolante anche per dissentirne, come in parte ho sopra
esplicitato, mentre per altri temi rimando ad alcuni precedenti scritti,
divergenti oppure convergenti 3,4,5.
Fonti:
1.
Elena
Granata – BIODIVERCITY: CITTÀ APERTE, CREATIVE E SOSTENIBILI CHE CAMBIANO IL
MONDO – SlowFood Editore, Bra 2019
2.
Maurizio
Pallante – LA DECRESCITA FELICE – G.E.I., Roma 2004
3.
Aldo
Vecchi - CONVERSAZIONI SU CITTA’ E MOBILITA’ – su UTOPIA21, maggio 2020 – https://drive.google.com/file/d/1HPuVb7fab3kIdkiAw5rPbSgUj6JG4sAV/view.
4.
Aldo
Vecchi - CASA ITALIA? – su UTOPIA21, ottobre 2016 - www.universauser.it/articoli-recenti/ottobre-2016/casaitalia.htm
[1]
Qui
per Granata appare positiva la delega assoluta della manutenzione ad addetti
specializzati, “giardinieri volanti”, escludendo gli utenti da un rapporto
attivo con i balconi piantumati. Anzi, il “green” crea occupazione. Negativa è
invece – oltre all’intero progetto MOSE per la laguna di Venezia - anche la
costruzione di “condomini” per far abitare i 300 addetti alla manutenzione (a
proposito di Mose comprendo e condivido le critiche dell’Autrice, ma non ho
capito – dal suo testo – la soluzione alternativa: solo restringere il canale
petrolifero? Ma i vasi lagunari non sono comunicanti? l’onda di piena non
arriverebbe due ore dopo, ma uguale?)
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