Proseguendo con le interviste attinenti al movimento operaio nella zona “insubrica”, l’esperienza di Gian Marco Martignoni come operaio e sindacalista, dalle piccole fabbriche al cantiere Malpensa, e come esponente della sinistra politica, sindacale ed ambientale.
D. = domanda
R. = risposta
D. Come sei capitato a
lavorare nel 1974 alla FICEP di Gazzada Schianno?
R. Quando terminai la
terza media, uscendo con l’ottimo, mia madre mi disse che dovevo andare a
lavorare, ma che prima avrei fatto il biennio all’Itis di Varese, per poi
passare al serale gli ultimi tre anni. Ovviamente, provenendo da una famiglia
operaia, non avevo alternative, solo che – primo principio della maturazione di
una coscienza di classe - che allora mio padre non avrebbe più dovuto fare gli
straordinari al Calzaturificio Rotelli di Morazzone. Mio zio lavorava alla
FICEP di Gazzada-Schianno, per cui tramite lui feci il mio ingresso il 3
settembre del 1974 in quest’azienda di
macchine utensili (425 dipendenti a quel tempo) come elettricista, stante che decisi
di seguire l’indirizzo per perito elettronico all’Istituto Bernocchi di
Legnano
D. A quell’età eri già in
qualche misura “politicizzato” oppure hai incontrato la politica in fabbrica? Oppure
a scuola facendo anche lo studente-lavoratore (e pendolare?)
R. A Gazzada si era
formato il Centro popolare di cultura, grazie a un gruppo di ragazzi più grandi
di me che avevano rotto con l’ambiente della Chiesa. Quella fu l’occasione per
una prima infarinatura politica, ma il pugno nero alzato di T.J Smith e di
J.Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968, la bomba di Piazza
Fontana, la guerra in Vietnam avevano già acceso la mia curiosità. Abitando a
Gazzada tra i tredici e quattordici anni ero andato un sabato pomeriggio a
Varese in treno per seguire una manifestazione contro la guerra in Vietnam.
Poi
mi trovai tra due fuochi: in fabbrica iniziai a seguire le assemblee sindacali,
tanto che mi ricordo bene quando nel 1975 un certo Mario Maesani della Mec-Mor
illustrò le caratteristiche della nuova divisione internazionale del lavoro. Un
concetto oggi desueto anche negli ambienti sindacali, ma che invece mi è
rimasto fortemente impresso nella memoria. Al Bernocchi, invece, era forte la
presenza di Avanguardia Operaia, anche perché tra gli insegnanti c’era Attilio
Mangano, che più tardi nel tempo ho avuto modo di conoscere di persona a
Milano. Pertanto, iniziai a leggere il Quotidiano dei Lavoratori e Il Manifesto,
al punto che la domenica, armato di un Devoto-Oli acquistato alla libreria
Pontiggia, mi sciroppavo quanto non ero riuscito a leggere durante la
settimana. Un abitudine che non ho mai perso anche durante tutta la mia vita
sindacale.
D. Che tipo di ciclo
produttivo c’era alla FICEP?
R. In Ficep i reparti
cardine erano sostanzialmente tre (e lo
sono tuttora, pur con gli ulteriori ampliamenti): in primo luogo il reparto centrale delle macchine utensili; poi di
fronte all'ingresso della fabbrica il reparto linee, in cui avviene la predisposizione delle linee di taglio,
mentre nel retro della fabbrica si
trova il capannone del reparto
montaggio, ove vengono montate le cesoie, le punzonatrici ed altre
macchine per lo stampaggio. La fabbrica
è sempre stata ad elevata professionalità, con un buon numero di trasfertisti
su scala internazionale, addetti all'istallazione e manutenzione dei macchinari
prodotti.
D. Che mansioni hai
svolto, c’è stata crescita professionale negli oltre 10 anni di permanenza in
fabbrica? Quando sei stato eletto delegato?
R. Alla FICEP ho
lavorato al reparto montaggio come elettricista addetto agli impianti
elementari di macchine standard di piccola taglia, prodotte prevalentemente per
il mercato interno. Però essendo stato eletto nel 1979 delegato sindacale per
la Fiom-Cgil in un Cdf composto da 13 membri, sono stato poi nominato nell’esecutivo formato da sei
persone. Quindi l’attività sindacale ha assorbito tutto il mio impegno in
quella direzione, per cui sono rimasto un operaio di 3 categoria.
D. Che rapporti c’erano
tra operai e Consiglio di Fabbrica? E dentro il CdF, tra FIM e FIOM, tra PCI e
sinistra-sinistra?
R. La FICEP è sempre
stata una fabbrica egemonizzata dalla Fiom, con 150 iscritti, mentre la Fim ha
sempre avuto un ruolo minore, ma sempre nel pieno rispetto del loro delegato
più significativo. Nella Fiom ho trovato dei veri e propri maestri sindacali,
che sempre mi hanno incoraggiato nella attività sindacale e nelle scelte
successive. Chi mi ha fatto iscrivere alla Flm nel 1975 è stato un compagno che
faceva riferimento al Pdup, solo un delegato era iscritto al Pci, mentre gli
altri si limitavano a votarlo per via del mito di Enrico Berlinguer.
D. Dopo il 1979 hai
iniziato ad essere “distaccato” come sindacalista, prima nella Tua categoria
dei metalmeccanici e poi in altri settori e con varie esperienze complesse,
meno legate alle specifiche vertenze contrattuali ed aziendali. Hai colto anche
Tu, come Adriano Fanchini alla SIAI/Agusta, il peso della questione del
“terrorismo”? Quando è cominciato il “riflusso” dalle iniziative sindacali alla
difesa dalla ristrutturazioni padronali?
R. Già nel 1980 fui
chiamato in aspettativa sindacale per tre mesi, per raccogliere una gran mole
di dati per la ricerca che la Flm condusse a proposito della struttura
produttiva metalmeccanica in provincia. Mentre nel 1981 sono andato in
aspettativa per altri tre mesi per svolgere azione di proselitismo per la Flm,
oltre a partecipare all’ottantesimo della Fiom a Livorno. Nel frattempo
l’esperienza in fabbrica è cresciuta tramite due vertenze aziendali molto
significative (condotte e concluse con quasi 100 ore di sciopero), nonché la gestione di una consistente cassa integrazione
straordinaria per crisi aziendale, che abbiamo affrontato con la rotazione e
qualche pensionamento volontario rispetto ai 110 lavoratori e lavoratrici
coinvolti come richiesta aziendale. Poi con il 1 giugno 1985 sono
definitivamente uscito in aspettativa per la Fiom-Cgil in zona laghi.
D. Quando hai percepito
in pieno l’intreccio tra questione sociale e questione ambientale?
R. L’incontro con la
questione ambientale e della prevenzione dei rischi è avvenuta su più livelli :
da un lato in fabbrica, attraverso la richiesta di intervento da parte dei
tecnici preposti alle ispezioni per la
prevenzione nei luoghi di lavoro, abbiamo impostato una vertenza come Cdf rispetto al reparto verniciatura;
al contempo sul territorio ho partecipato con Alberto Minazzi e Carlo Monguzzi
alla nascita nella nostra provincia di Lega Ambiente, contrastando proprio da
Gazzada il progetto devastante e sostanzialmente speculativo sul piano
ambientale della Pedemontana. Inoltre, nel 1987 ho avuto modo, in seguito alla
formazione a livello regionale dell’Associazione Ambiente Lavoro in Cgil, di
partecipare ad un importante seminario di una settimana ad Ariccia con Walter
Ganapini, Ivan Cavicchi ed altri esponenti del mondo ambientalista. Altresì nei
primi anni ’90 ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare il compagno Dario
Paccino (1918-2005), che è stato l’autore nel 1972 del fondamentale libro “L‘Imbroglio
Ecologico“ 1, un testo che a distanza di un cinquantennio si rivela tutt’oggi di una mirabile
preveggenza rispetto alle sorti dell’umanità, stante il dominio del valore di
scambio sul valore d’uso.
Fondamentale, comunque, per la mia formazione politica è stata la
militanza nel Pdup per il comunismo, giacché a Varese ho conosciuto una serie
di compagni e compagne della generazione sessantottina che sono stati per me
dei veri e propri maestri sul piano politico e culturale.
Inoltre,
dopo Cernobyl ho avuto l’occasione di partecipare a livello regionale della
Cgil al formidabile gruppo di lavoro coordinato da Mario Agostinelli, che ha
dato alle stampe i libri "Nero su Bianco" e "Pianeta in
prestito". Libri che hanno avuto una larga diffusione anche fuori
dall'ambito sindacale. Nonché di seguire alla sera i corsi di filosofia
tenuti a Varese da Paolo Fontana e Fabio Minazzi.
D.
Quale è stata la Tua successiva esperienza sindacale, fino ad essere membro
della Segreteria della Camera del Lavoro di Varese?
R. Nel frattempo nel
1986, non essendo del Pci (il quale intendeva conservare al sua egemonia nella
FIOM), ero passato in apparato della Camera del lavoro, ove ricordo con piacere
di aver contribuito al rilancio dell’esperienza delle 150 ore, anche grazie
alla collaborazione di un gruppo di insegnanti molto motivati. Con il 1 aprile
1987 sono entrato nella Fillea-Cgil (“lavoratori legno edili e affini”), una
categoria che mi ha permesso di entrare dal 1991 sino al 1997 nel direttivo
nazionale e con l’inizio del 1993 di seguire fino al 2000 il cantiere di
Malpensa in costruzione.
D. Mi parli in
particolare del Tuo ruolo nel cantiere di Malpensa 2000?
R. L’esperienza di
Malpensa è stata la più significativa della mia vita, essendoci in cantiere più
di un migliaio di lavoratori edili e in parte metalmeccanici. Sulla base di un
accordo di carattere regionale Fillea-Filca-Feneal hanno tentato di puntare con
un costante presidio sindacale ad applicare alcune norme per contrastare il
lavoro nero, alzando il numero delle ore mensili versate all’Inps e alla Cassa
Edile e affrontando il tema spinoso della sicurezza in un grande cantiere. Ci
confrontavamo unitariamente (insieme a CISL e UIL - ma anche perchè era meglio
non girare in cantiere da soli - ) con imprese come la Pizzarotti, la Grassetto
di Ligresti, l’Itinera di Marcellino Gavio,
la Dinvest di Bari e la Gemmo (che era con il contratto dei
metalmeccanici), nonché con la cascata delle imprese in sub-appalto. In
generale la nostra controparte era la direzione del cantiere, che era affidata alla
Metropolitana Milanese, con la quale abbiamo costituito il Comitato di cantiere
per gestire quotidianamente sia i problemi della sicurezza che quelli della
regolarità nei rapporti di lavoro e dei versamenti contributivi. Il rapporto
con i lavoratori è stato ottimo, anche perché per loro, essendo sempre in giro
per l’Italia in trasferta, avere il sindacato in cantiere tutti i giorni (e con
un ufficio per le permanenze, uno sportello molto utile per i trasfertisti) non
era un fatto abituale. Sui sub-appalti ci siamo mossi bene, e quando ci sono
state delle truffe (dovrei aprire un libro) siamo ricorsi all’intervento
dell’Ispettorato del Lavoro, tanto che abbiamo mandato Ligresti in tribunale,
per via di pass falsi, foto-montati in modo da permettere il cambio in corsa di
40-50 lavoratori al rientro dalla Puglia, solo per fare un esempio. Sulle ore
versate abbiamo portato le aziende in sub-appalto a versare 120 ore al mese per
lavoratore, quando la base di partenza era 40 ore. Può sembrare un dato
assurdo, sapendo che in cantiere d’estate si arrivava anche a 240-260 ore al
mese; ma bisogna conoscere quel mondo, con tutte le sue specificità, giacché
questi “imprenditori“ assai filibustieri digerivano mal volentieri queste
novità, abituati ovunque a fare il bello e cattivo tempo. Ancora, a proposito Malpensa: nel 2000
lavorava in questo cantiere Jon Cazacu, il lavoratore romeno bruciato vivo dal
suo titolare Cosimo Iannece. La Fillea-Cgil ha profuso un grande impegno per
sostenere la moglie Nicoleta e la sua famiglia.
D. Anche da pensionato
continui ad assumere impegni politico-sindacali?
R. Con il 1 settembre
2017 sono andato in pensione, mantenendo però un rapporto come volontario, in
quanto chi ha letto “Il Comunista“ di Guido Morselli sa che non c’è solo
l’alienazione teorizzata da Marx, ma anche un’alienazione correlata ad
ogni attività (compresa quella
sindacale). Pertanto, sono al giovedì mattina membro per la Cgil della
Commissione di conciliazione provinciale all’Ufficio del Lavoro, e mi dedico da
tempo alla conservazione della memoria presso l’Archivio della Camera del
lavoro, in quanto con il dottor Claudio Critelli - direttore dell’Archivio di
Stato di Como e Varese - saremo impegnati
per un anno nel riordino del materiale che si è accumulato dopo il
trasferimento da via Robbioni all’Archivio di Stato in via Col di Lana a
Varese. Nel 2019-20 ho collaborato con la Cgil, sempre insieme al dottor Critelli,
all’allestimento della mostra sul cinquantenario delle lotte negli anni 1969-70,
unitamente ad un audiovisivo con cui abbiamo intervistato i protagonisti di
quelle vicende.
D. Essendo sempre
radicato ed operativo nel Varesotto, come hai visto sorgere ed affermarsi, in
parte anche tra gli operai, il fenomeno della Lega Nord?
R. Per quanto riguarda la Lega, è evidente che
quando la sinistra nega la sua identità e le sue ragioni, con la conversione al
liberismo temperato e al primato della governabilità con la svolta
maggioritaria, le destre possono solo
avanzare attraverso la mobilitazione
reazionaria. Alain Bihr con il volume “L’Avvenire di un passato“2 già
a metà degli anni ’90 aveva affrontato lucidamente le ragioni di quest’avanzata
su scala europea, analizzando le formazioni xenofobe, etno-nazionaliste, ecc.
cresciute a dismisura in ogni entità nazionale. I sociologi parlano di
disallineamento del voto dei lavoratori e delle lavoratrici dalla propria
condizione di classe. Ovvero, c’è stato uno sfondamento culturale di
proporzioni immani rispetto al blocco sociale delle classi subalterne. Avendo
seguito come “rappresentante di bacino” il mondo dell’artigianato, ho potuto
verificare quotidianamente qual è la mentalità
anti-sindacale, tranne qualche eccezione, degli imprenditori del
“piccolo e bello “.In alcuni casi ho subito addirittura qualche aggressione
fisica, poiché non veniva tollerata la presenza del sindacato. Tutte cose che
ho denunciato nei dibattiti a cui ho partecipato in qualità di segretario
confederale (dal 2002 al 2010) oppure ho scritto nei miei interventi sulla
stampa locale. Rispetto ai lavoratori e alle lavoratrici, che sono consapevoli
dei ricatti a cui sono soggetti quotidianamente, quando su questa base è
passata una concezione per cui l’individualizzazione del rapporto con il datore
di lavoro mi può garantire un salario maggiorato rispetto a quello
contrattuale, attraverso anche una marea di straordinari non contabilizzati in
busta, non esiste più alcun confine rispetto allo sfondamento reazionario non
solo della Lega. Tutto ciò al di là dell’ostilità prima contro i meridionali e
poi contro i migranti, il welfare garantito solo ai nostri, ecc., che hanno
messo profondamente in discussione la concezione egualitaria dei diritti universali. E’ un
mondo non solo de-sindacalizzato quello dell’artigianato, anzi paradossalmente
nella micro-impresa da 1 a 9 dipendenti a conduzione familiare è moneta
corrente la diffidenza nei confronti del sindacato, proprio per l’orizzonte
ristretto ed angusto in cui queste “comunità“ si trovano a vivere ed operare. Tutti sanno che se “non pisci
dove dice il padrone“ la tua vita diventa un inferno. Mi ricordo di un
lavoratore vicino alla sinistra che mi assillava in sede per la sua sorte, ma
poi per non urtarsi con il datore di lavoro aveva accettato un peggioramento
delle sue condizioni di lavoro; oppure la telefonata di un compagno dei
Comunisti italiani che mi chiedeva
tramite la Fiom di intervenire per evitare il peggio per un compagno del suo
partito, che dall’alto-milanese veniva in zona laghi per lavorare. Non solo entrambi non erano
iscritti al sindacato, ma - come vale per altri lavoratori e lavoratrici - il
sindacato esiste solo se scatta un provvedimento disciplinare, un
licenziamento, la CIG o il fallimento dell’azienda. A costo di ripetermi,
quando Nando Pagnoncelli fornisce i dati di un insediamento operaio elevato
della Lega, non c’è da sorprendersi: la depoliticizzazione e la
de-sindacalizzazione nella cosiddetta fabbrica diffusa determinano questa
tendenza in un contesto ambientale ove la sinistra, nel senso di
insediamento sociale, quadri politici,
militanza, è completamente sparita dal territorio.
D. Nell’insieme della
Tua esperienza, qualche decennio di militanza sindacale e/o politica e
intellettuale, sempre alla sinistra del principale partito (PCI-PDS-DS-PD):
quali rapporti e quale giudizio su quel percorso? E sulla galassia alla sua
sinistra?
R. Premetto che ho sempre militato nella sinistra sindacale
in Cgil, a partire dall’esperienza di Charta ’90 per un sindacato di classe e
conflittuale ,di cui sono stato uno dei promotori avendo fatto parte del
coordinamento nazionale con Gian Paolo Patta, Franco Grisolia, Angelo Ruggeri
ed altri compagni e compagne.
Riguardo
ai partiti, quando nel 1984 il Pdup
nella sua maggioranza confluì nel Pci (e io c’ero quei due giorni
all’Ergife a Roma), non aderii a quella scelta, ed ho sempre mantenuto
un rapporto critico con quel partito. Un
giudizio che è andato accentuandosi in negativo dopo la Bolognina, anche
per le continue evoluzioni che hanno poi dato vita al Partito Democratico. Per
quali ragioni è presto detto: non solo inizialmente quel partito si è
configurato come equidistante sul piano delle classi da rappresentare, ma con
Renzi addirittura è diventato il partito del capitale, con il jobs act, la
buona scuola, il referendum contro la costituzione repubblicana. Scusatemi per
la ripetizione, ma che sia stato acclamato Renzi a segretario del partito
significa che antropologicamente si è verificato uno sconquasso nel corpo
militante e simpatizzante di quella che si chiamava sinistra. Oggi con Letta,
contro cui non ho nulla di personale, ma è un democristiano fatto e finito, il
PD si configura come un partito di centro, che sulla governabilità
capitalistica ha modulato il senso della sua esistenza. Comprendo che lo
spostamento a destra del nostro paese ha un suo eguale solo in Polonia – ovvero
due paesi tragicamente dominati dal cattolicesimo più retrivo, al di là di papa
Francesco che è inviso a molti settori della sua Chiesa -, ma non possiamo
negare l’evidenza. Altresì, non mi sono mai iscritto a Rifondazione comunista,
in quanto di rifondazione teorica quel partito non ne ha mai voluto sapere, a
differenza del gruppo de Il Manifesto che a partire dalla rivista nel 1969-70
una sua teoresi ce l’aveva. Inoltre, dopo lo scontro nel 1996 a Rimini al
congresso nazionale della Cgil, quando come Alternativa Sindacale arrivammo
alla rottura con Fausto Bertinotti e l’area dei “comunisti “ (sottolineo le
virgolette), essendo stata superata
l’esperienza di Essere Sindacato, di aderire a Rc – che ha provocato solo
danni, eufemismo, sul piano sindacale –
era l’ultima cosa che mi poteva passare nella testa. Le responsabilità
di quel partito, a partire da Bertinotti e la sua cerchia, sul fatto che in
Italia non si possa votare per una formazione come la Linke in Germania sono di
una gravità inaudita. Nel 2008, quando ci fu il tonfo della lista Arcobaleno,
io non firmai l’appello sindacale a sostegno di quel cartello elettorale,
poiché mi era chiara la scelta meschina di autoriproduzione di quel ceto
politico. Un ceto politico figlio con Fausto Bertinotti del motto “movimento è
tutto, il fine è nulla“. Abbiamo poi avuto nel 2014 l’unico successo con la
lista per le europee dell’Altra Europa per Tsipras, per la quale come sinistra
sindacale Lavoro e Società ci siamo spesi all’inverosimile anche nella nostra
provincia. Ma non è servito a nulla, poiché la tragicomica rottura consumatasi
tra Vendola e Ferrero, ha dilapidato quel poco di corpo militante di entrambe
le formazioni (Sinistra Italiana e Rc) rimasto sul campo. Nel 2018 l’esperienza
di Leu si è rivelata un fiasco, mentre le elezioni europee del 2019 hanno
certificato che due debolezze non fanno una forza. Che poi anche i Verdi nel nostro
paese non abbiano alcun peso specifico, la dice lunga sul rovesciamento sociale
e culturale di quello che il gruppo de Il manifesto aveva definito il “caso
italiano“ .Nonostante ciò, non rinuncio dall’essere comunista, anche se non mi
riconosco attualmente in forze politiche dedite al culto della testimonianza
identitaria. Rimango convinto della necessità di una forza politica che abbia
l’anticapitalismo come minimo comune denominatore, per dirla con David Harvey,
sperando che una nuova generazione entri in campo, come d’altronde si è visto
dai risultati di alcune di alcune città in cui si è andati al voto nelle
recenti amministrative. Penso però che per rafforzare questo percorso vada
ripresa una certa alfabetizzazione marxista, quale indispensabile bussola di
orientamento.
D. Da una certa data hai
preso a scrivere, soprattutto recensioni e commenti: come hai adeguato il Tuo
linguaggio tra la comunicazione diretta alla generalità dei lavoratori e quella
mirata ad un pubblico più ristretto e militante?
R. Ho iniziato a
scrivere molto presto, perché fortunatamente la Fiom regionale con Maia Bigatti
e Giovanni Cesareo organizzò nei primi anni ‘80 all’Aloisianum a Gallarate un
corso sulla comunicazione, dove ci venne spiegato che noi non dovevamo essere
consumatori di notizie, bensì dovevamo attrezzarci per diventare produttori di
informazione sindacale. I volantini sindacali e le nostre pubblicazioni sono
diventati i primi banchi di prova.
Al
contempo al circolino di Bosto delle Acli, molto prima che nascesse Varesenews,
erano nate due pubblicazioni cartacee, prima Airone Rosso e poi Il Circolino, grazie
all’inventiva e alla tenacia di Marco Giovannelli e di Michele Mancino, unitamente
ai molti che decisero di collaborare a
questi progetti editoriali in una provincia che è stata la culla della Lega
Nord. Pertanto iniziai a scrivere con una certa costanza, finchè dal 1991 al
1995, con Giulio Rossini in veste di direttore, abbiamo dato vita ad una piccola
redazione varesina de “Il lavoratore oltre“, il settimanale transfrontaliero
legato al Partito del Lavoro del Canton Ticino. Inoltre con Dario Paccino
abbiamo dato vita ad una piccola casa editrice indipendente, la “Biblioteca per
invendibili e malvenduti”, che quando ha chiuso i battenti ha registrato un
avanzo di cassa grazie alla diffusione militante da parte di tanti compagni e
compagne in giro per l’Italia. Dopo il successo del “Manuale di autodifesa
linguistica“ 3 pubblicammo il libro “Il libero schiavo di Maastricht“
4, che contiene anche un mio piccolo testo “La materia prima antropologica del cosiddetto post-fordismo“ ,
scritto sulla scorta dell’esperienza di Malpensa Successivamente sono stato
chiamato a collaborare a “Il Topo“, l’inserto dei libri di Liberazione, e quindi
a quello del settimanale “La Rinascita“, nel mentre ho sempre curato la rubrica
delle recensioni per le varie newsletter di cui si è dotata nella sua storia la
sinistra sindacale. Ho sempre avuto la
passione della lettura, per cui non ho mai avuto alcuna difficoltà nel recensire un libro una
volta al mese, ora che da tempo, purtroppo, sono scomparse le testate che prima
ho citato.
A
proposito del linguaggio ho sempre cercato di essere chiaro e sintetico, poiché
conosco il pubblico per cui scrivo, così come nelle assemblee sindacali ho
sempre curato al massimo la scaletta delle mie relazioni in occasione delle
tornate congressuali o di quelle per le piattaforme o delle firme dei contratti
nazionali.
D. Vedo che di recente
collabori o hai collaborato a diversi Blog e testate virtuali, in qualche
misura simili – mi pare - a Utopia21: secondo Te è positivo che “cento fiori fioriscano”
(con il rischio di non incontrarsi e non conoscersi) oppure sarebbero
praticabili ambiti e strumenti di maggior confronto e coordinamento (penso ad
ASviS oppure al Forum Disuguaglianze, che mi paiono i più solidi in questa
“eco-sinistra liquida”)?
R. E’ dal 2011 che collaboro
abitualmente al blog “labottegadelbarbieri“, che è nato per iniziativa di
Daniele Barbieri a Imola, giornalista de Il Manifesto da tempo in pensione che -
dopo la chiusura del settimanale “Carta“- mi ha coinvolto in questa intrigante avventura. Poi ho conosciuto il
sito “sinistrainrete”, che di tanto in tanto ospita qualche mio intervento, e
il blog romano l’interferenza, che è diretto da Fabrizio Marchi, autore del
libro “Contromano“.
Io
provengo dalla tradizione delle riviste cartacee, a partire dai “Quaderni
piacentini“, che oggi però si sono ridotte al lumicino per tante ragioni.
Poichè seguo quotidianamente sinistrainrete, che ospita decine e decine di
interventi tratti dai blog più vari, ritengo obbligato un percorso di selezione
dei testi da approfondire, altrimenti il rischio è quello di perdersi in una
babele di riflessioni non tutte dello stesso spessore. Tutto ciò è il riflesso
di tanti io-noi redazionali, che rispecchiano la tua definizione di
“eco-sinistra liquida“, in quanto di propositivo vi è ben poco.
Ma,
a costo di ripetermi, la responsabilità di questo inconcludenza deriva dalle
gravi responsabilità di un ceto politico che ha progressivamente disperso un
patrimonio di intelligenze e di militanza. Le esperienze che segnali
effettivamente sono tra le poche in grado di avanzare delle proposte concrete,
in mancanza però, penso a Fabrizio Barca e al suo Forum, degli interlocutori
politici in grado di tradurle in buone pratiche.
D. Tra il 2014 ed il
2019 ho dato una mano a Fulvio Fagiani nella gestione del Festival dell’Utopia
di Varese, sempre con il patrocinio della Camera del Lavoro: però di quadri
sindacali non ne ho mai visti molti ai dibattiti (tranne quando l’invitato era
Pizzinato): la Tua opinione in proposito?
R. ll Festival
dell’Utopia è stata senz’altro una iniziativa interessane per le tematiche che ha
affrontato. Infatti, a parte la serata obbligatoria con Antonio Pizzinato, ero
in prima fila alla lezione magistrale dell’amico Romano Madera. In quanto ai
quadri sindacali sono dell’avviso che mentre le nostre generazioni avevano dei
partiti politici che hanno avuto un peso nella nostra formazione, la
liquefazione dei partiti, diventati leggeri non da oggi, ha giocato uno scherzo
pesante sulla loro formazione. La politica e il sindacato si fanno con i quadri
che fuoriescono da un determinato contesto, che è molto diverso dal nostro. A
mio avviso il Festival dell’Utopia, al di là dei segretari o degli apparati
confederali, si rivolge per forza di
cose ad un altro pubblico, stante che i funzionari di categoria sono catturati
dalle dinamiche della quotidianità sindacale. Che poi da più di un decennio
pochi compagni e compagne hanno mantenuto
la sana abitudine della lettura
di un quotidiano, lo ritengo un fatto grave e molto diseducativo in
generale.
D. Il sindacato sembra
assente dal fronte climatico e ambientale. Eppure due anni fa la vicesegretaria
Fracassi aveva presentato a Varese la piattaforma sindacale sullo sviluppo
sostenibile. Da allora silenzio. Anche in occasione di COP26 non si è sentita
una sola voce dal Sindacato (almeno italiano). Di nuovo Ti chiedo la Tua
opinione.
R. Sulla questione
ambientale il sindacato c’è, penso alla Cgil con le sue elaborazioni e proposte
che sono in campo da tempo, e che attendono di essere recepite da un quadro
politico che però vive di propaganda, o negoziate con quegli enti locali, città
metropolitane o regioni disponibili ad una seria interlocuzione e negoziazione
sulle prospettive del proprio ambito territoriale. Sulla COP 26 i media non
hanno riservato alcuna attenzione alle proposte avanzate unitariamente da
Cgil-Cisl-Uil, stante questo clima da emergenza che mortifica ogni possibile
novità progettuale. Al di là, per essere onesto, che queste conferenze, a
partire da quella di Rio per giungere a quella di Glasgow, sono (per dirla con
le parole dell’economista e ecologo Joan Martinez Alier) pure e semplici
“giaculatorie“, in quanto secondo la curva di Keeling stiamo viaggiando verso
una concentrazione di 450 ppm. Ovvero il grado e mezzo di surriscaldamento del
pianeta sarà superato abbondantemente, con tutte le conseguenze che il rapporto
dell’IPCC ha già ben descritto nei suoi possibili scenari futuri.
D. Come valuti lo stato
del sindacato dagli anni del Tuo primo impegno ad oggi? Come è cambiato, in
cosa, in meglio o in peggio. Che differenza nel rapporto con i lavoratori e con
le grandi questioni politiche?
R. Nel disastro della
politica dell’a-sinistra attuale, il sindacato rimane l’unico soggetto in
campo, poiché da troppo tempo deve supplire all’assenza di un soggetto politico
in grado di rappresentare il mondo del lavoro e quello dei pensionati. Sicuramente
c’è un indebolimento della forma sindacato e della sua capacità di
rappresentatività, ma dobbiamo considerare il disorientamento di classe determinato
dalla Bolognina in avanti, e le modifiche profonde della composizione di classe
intervenute nel mondo del lavoro. Ad esempio quanto è avvenuto nel settore
della logistica e dei rider, grazie anche ai reiterati interventi della
magistratura, è la palese dimostrazione che laddove si generano delle
consistenti concentrazioni operaie e uno
sfruttamento bestiale delle condizioni
di vita e di lavoro – ben messo a fuoco da Angelo Mastrandrea nel recente libro
“L’ultimo miglio“ 5 -, si determinano le condizioni per rilanciare a
tutto campo l’azione contrattuale del sindacato e una nuova stagione di
sindacalizzazione. Già che ci sono, segnalo che proprio nel magazzino di Origgio si è verificata la prima entrata del
sindacato e in particolare della Cgil in Amazon. Dopodichè, è chiaro che le
tante proposte avanzate dalla Cgil, a partire dal nuovo Statuto dei lavoratori,
dal Piano del lavoro o la legge sulla rappresentanza, rimarranno pure
enunciazioni sul piano politico se non troveranno una loro coerente applicazione sul terreno legislativo e negoziale.
D. Che rapporto riesce ad
avere il sindacato con i giovani? Sia i lavoratori giovani, che gli esterni
precari, o NEET o FFF? Ci sono delegati e quadri giovani? In cosa sono diversi
dai quadri anziani e sperimentati?
R. A differenza dei tempi del mio ingresso nel
sindacato, quando era evidente la presenza di una nuova leva di giovani, ora il
contesto è molto diverso, poichè in assenza di formazioni di sinistra sul piano
di massa risulta molto difficile completare la coscienza sindacale con quella
politica. Questa è l'impressione che ho ricavato anche il 13 settembre alla
Schiranna in occasione della celebrazione del 120 della Cgil di Varese con
Maurizio Landini. In questo attivo la
segreteria provinciale ha deciso di far intervenire proprio i delegati e le
delegate eletti di recente in alcuni luoghi di lavoro significativi del nostro
territorio. Nidil è la nostra categoria che più si relaziona, di concerto con
le altre categorie, con il mondo dei "somministrati" e in sostanza
del nuovo precariato. Il settore della logistica, come ho già accennato, è un
altro importante terreno di incontro con le nuove generazioni. Infine, la
segreteria della Cgil di Varese ha prestato molta attenzione al rapporto con i
FFF : di fatto ne è sortito un
interscambio che complessivamente può essere molto positivo in una provincia
assai asfittica sul piano politico.
Fonti:
1.
Dario
Paccino - L' IMBROGLIO ECOLOGICO. L'IDEOLOGIA DELLA NATURA –Ombre Corte, Verona
2021
2.
Alain
Bihr - L’AVVENIRE DI UN PASSATO L'ESTREMA DESTRA IN EUROPA: IL CASO DEL FRONTE
NAZIONALE FRANCESE – Jaca Book, Milano 1997
3.
Dario
Paccino - MANUALE DI AUTODIFESA LINGUISTICA - EDIZIONI ARTERIGERE, Varese 1996
4.
Dario
Paccino, Luigi Josi, Gian Marco Martignoni - IL LIBERO SCHIAVO DI MAASTRICHT
EDIZIONI ARTERIGERE, Varese 1997
5.
Angelo
Mastrandrea - L'ULTIMO MIGLIO – Editore Manni, San Cesario di Lecce, 2021
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