Le nuove accentuazioni del pensiero di Piketty, dalle solide basi statistiche storiche agli auspici di un nuovo socialismo mondiale
Sommario:
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analisi storica
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alternativa possibile
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una questione di metodo
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breve commento
Dopo
i grandi successi di “Il capitale nel XXI secolo”1 e “Capitale ed
ideologie”2 Thomas Piketty ha pubblicato nel 2021 un volume più
agile, “Breve storia dell’uguaglianza”3 (di poco più di 200 pagine),
con cui sostanzialmente conferma le sue analisi e proposte, pertanto rimando alle precedenti recensioni4,5
per i principali contenuti, limitandomi a commentare gli aspetti che risultano
più innovativi.
Nella
sua nuova opera Piketty sposta l’accento, in senso “ottimistico”, sulla
tendenza di fondo verso un minor divario sociale, da fine Settecento in qua
(pur con i peggioramenti degli ultimi decenni), e quindi inserisce nel titolo
l’uguaglianza e non le disuguaglianze.
Tale
tendenza all’uguaglianza, assai differenziata nel tempo e nello spazio, non
risulta quasi mai essere il frutto di una pacifica evoluzione, bensì l’effetto
di lotte e conflitti, guerre e crisi, sempre attraverso bivi e biforcazioni tra
i diversi esiti storici possibili.
ANALISI STORICA
Nella
descrizione storica, che ancora una volta
raccomando per la chiarezza didascalica, qui incrementata dalla brevità del
testo, oltre alle consuete periodizzazioni ed ai consueti raffronti
geografici sulla stratificazione di ricchezza e povertà, sono focalizzati in
particolare:
-
la
grande tratta transatlantica degli schiavi e la conseguente accumulazione di
capitali (e di sofferenze) nel continente americano, tra la latitudine del
Brasile e quella del Sud degli USA, con epicentro ad Haiti e nelle Antille
Francesi (Guadalupa, Martinica) ed Inglesi (Giamaica, Barbados), dove furono
ammassati oltre 1 milione di schiavi (il doppio di USA e Brasile assommati),
con una concentrazione attorno all’80% della popolazione insediata in tali
isole; con la conseguente facilità delle rivolte, le prime innescate dalle
speranze nella Rivoluzione Francese a fine ‘700: a seguire la repressione
napoleonica e borbonica, fino all’accordo del 1825, che scaricò però sulla
neonata Repubblica di Haiti gli enormi costi degli indennizzi ai proprietari
degli schiavi (debito rimasto in capo agli Haitiani per oltre un secolo);
simili indennizzi furono sopportati invece, per i territori inglesi, dal debito
pubblico della stessa Gran Bretagna (per alcuni decenni) e furono ipotizzati
negli USA, ma poi cancellati dagli esiti della guerra di Secessione (lasciando
però di fatto gli ex-schiavi in balia dei loro padroni); d’altronde in Prussia,
Austro-Ungheria e Russia l’affrancamento dei “servi della gleba nel corso
dell’Ottocento fu pagato di fatto in parte dagli stessi servi “liberati”.
-
i
grandi flussi finanziari derivanti dallo sfruttamento coloniale, che al di là
della retorica della “civilizzazione”, contemplava da un lato il mantenimento
dell’apparato pubblico coloniale – oltre che tramite i lavori forzati - con le
risorse fiscali locali (soprattutto imposte indirette, gravanti su tutti i colonizzati, anche i
più poveri) e con benefici riservati più ai colonizzatori (es. scuole
superiori) che non ai colonizzati (esclusi, ad esempio, da tali scuole), e
dall’altro l’estrazione di profitti da parte delle compagnie private,
trasferite nei mercati finanziari delle “madre-patrie” (con accumulazioni di
surplus che indussero, tra l’altro, alla prima guerra mondiale): flussi
nell’ordine tra il 5% ed il 10% del reddito nazionale di Francia ed
Inghilterra, sempre ad esempio, tra fine Ottocento ed inizio Novecento;
-
la
riduzione della polarizzazione delle ricchezze, ed ancor più dei redditi, nei
paesi ricchi, tra inizio del Novecento e seconda metà del secolo, sia pure con
controtendenze (soprattutto negli USA) dopo il 1980, con la formazione di una
"classe media patrimoniale” (che possiede la propria abitazione e qualcosa
di più) e si colloca tra il 10% più ricco (che detiene gli assetti finanziari
ed il relativo potere) ed il 50% più povero;
-
le
caratteristiche talvolta impreviste ed imprevedibili delle ‘svolte’
sociopolitiche, non meccanicamente derivabili dalle preesistenti condizioni,
oggettive e soggettive, e non solo per le improvvise accelerazioni indotte da
eventi traumatici come le guerre: ne sono esempio da un lato le accelerazioni
ugualitarie in Svezia, a cavallo della prima guerra mondiale, cui la Svezia non
ha però partecipato, a partire da una situazione consolidata di forte impronta
classista (ad esempio i diritti di voto proporzionali al censo, per cui in
alcuni comuni un solo proprietario poteva decidere contro tutti gli altri
concittadini), e d’altro lato le politiche drasticamente ridistributive sui
patrimoni attuate nella Francia post-bellica, sia dopo il 1918, sia dopo il
1945, in ambedue i casi da parte di maggioranze politiche di destra o di unità
nazionale (analogamente importanti indirizzi della Germania Federale negli anni
’50, pur a governo democristiano). Senza trascurare però – in tutti questi
frangenti – il peso incombente della pur remota Rivoluzione Russa e del
susseguente regime sovietico.
ALTERNATIVA POSSIBILE
L’Autore
ipotizza che nel XXI secolo stiano maturando le condizioni per vigorose
correzioni egualitarie verso forme di socialismo (democratico, partecipato, federale,
ecologista e “meticcio”), ma mette in guardia contro attese deterministiche,
che si fondino sulla sola pressione dei movimenti, ritenendo invece rilevanti
ed indispensabili
-
sia
l’attenzione agli aspetti politico-istituzionali dei conflitti,
-
sia
il contributo teorico sui possibili assetti alternativi rispetto all’attuale
sistema capitalistico (anche riguardo alla variante più statalista ed
autoritaria della Cina “comunista”).
Evidenziando
come tali proiezioni siano necessarie sia per rendere credibile l’alternativa
stessa (contro l’inerzia del “non c’è alternativa”), sia per fugare il ricordo
dei fallimenti del sistema centralista sovietico.
I
capisaldi del pensiero di Piketty sull’orizzonte di questa nuova “Società
giusta” sono gli stessi del 2020 (vedi a
pag. 10 delle mia recensione 5), ovvero:
-
accesso
universale all’istruzione ed al welfare, con uso solo ‘tattico’ delle quote a
protezione delle minoranze (per non irrigidire i fenomeni identitari)
-
tassazioni
iper-progressive su redditi, patrimoni e successioni, nonché sui consumi
carbonici (con effetti positivi anche sullo sviluppo, come nel secondo
dopoguerra),
-
assegnazione
di una dote ereditaria minima a tutti i cittadini (al 25° anno di età),
-
partecipazione
maggioritaria dei lavoratori (direttamente o tramite fondi mobiliari) alla
direzione delle grandi e medie imprese, con limitazioni all’influenza dei
singoli (grandi) azionisti,
-
riforma
anti-plutocratica del finanziamento ai partiti e del controllo sui media.
Attorno a questo
schema, che comporta “uno smantellamento graduale dell’economia di mercato”
(pag. 144 e 148)[A],
il nuovo testo approfondisce soprattutto:
-
la
crescita di un settore pubblico-sociale nei settori istruzione, sanità, trasporti,
energia,
-
l’assunzione
garantita dei giovani, istruiti dal sistema formativo pubblico, in imprese
pubbliche, sociali o private (tali garanzie rafforzano anche più in generale il
potere contrattuale dei lavoratori dipendenti),
-
il
confinamento delle piccole imprese private negli ambiti artigianato commercio e
turismo,
-
modalità
di diritti crescenti per i lavoratori stabili e per gli inquilini rispetto alle
proprietà di aziende ed immobili.
Inoltre – allargando
meglio le proprie visioni ad una scala mondiale – Piketty ipotizza una
trasformazione dell’assetto internazionale del commercio e della finanza, con
l’assegnazione automatica ai paesi poveri di gran parte dei proventi
dell’auspicata tassazione sulle imprese multinazionali (in aggiunta agli aiuti
degli stati ricchi e delle Organizzazioni non Governative) ed una certa dose di
“sovranismo solidale” per correggere – anche in senso eco-climatico – le storture della globalizzazione e dei
”trattati ineguali” (quelli che riservano condizioni di favore ai paesi ricchi
ed alle multinazionali),
Trattati, sostiene
Piketty, che vanno superati oppure stracciati, per una indispensabile
discontinuità con i restanti retaggi neo-coloniali, che porti anche i Paesi
Poveri ad una capacità di entrate fiscali (transnazionali e locali) tali da
poter assicurare la formazione di “stati sociali”, con spesa pubblica vicina al
50% del reddito nazionale, come avviene per i paesi ricchi (mentre i bilanci
attuali dei paesi poveri galleggiano attorno al 10-15% del PIL, come erano gli
stati occidentali ai tempi dell’Ancient regime); capovolgendo le spinte liberiste
del “Washington consensus” degli ultimi decenni (privatizzazioni dei servizi e
libero scambio ad oltranza);
Il riequilibrio
internazionale (inteso anche come grande risarcimento per le rapine del
colonialismo e dello schiavismo, e declinato in funzione della ’giustizia
climatica’) andrebbe perseguito anche attraverso nuove forme di rappresentanza
parlamentare “transnazionale”, che in precedenza Piketty aveva proposto per
l’Europa e qui tende a trasporre a scala più globale, a mio avviso in termini ancora alquanto fumosi.
In tali orizzonti,
l’Autore affronta anche i temi della moneta e del debito, oscillando – a mio avviso – tra
una prospettiva lineare di ‘gestione sociale’ delle banche centrali, che
potrebbero emettere moneta con una certa
allegria (come già stanno facendo nell’ultimo decennio, però a beneficio
dello ‘stato di cose presente’), avendo come unico limite pragmatico i pericoli
di inflazione, ed una prospettiva più conflittuale di abbattimento dei debiti,
similmente a quanto accaduto a seguito dei traumi bellici del 1914-18 e del
1939-45, attraverso inflazione, svalutazioni, imposizioni straordinarie (oltre
agli effetti diretti delle distruzioni belliche).[B]
UNA QUESTIONE DI METODO
Nel
presentare le sue tabelle ed i suoi grafici, spesso assai comunicativi anche
senza attingere ai testi correlati, in cui le variabili socio-economiche sono
ripartite per segmenti ‘astratti’ della popolazione (l’1% oppure il 10% più
ricco; il 50% oppure il 10% più povero, ecc.: “decili” e “centili”) l’Autore
esplicita e motiva le proprie preferenze in favore dell’analisi – di volta in
volta – su singoli indicatori semplici (ricchezza, reddito, imposte, flussi
finanziari internazionali, istruzione, ecc.), perché immediatamente ‘parlanti’,
nella battaglia politica e comunicativa, rispetto agli indicatori composti su
cui si fondano invece il BES (indice di Benessere Equo e Solidale) e gli
obiettivi ONU 2030.
Preferenza su cui
concordo volentieri, richiamando i dubbi da me espressi commentando per
l’appunto le ricerche sul BES 6 e le elaborazioni dell’ASviS 7
sui Goals ONU 2030.[C]
BREVE COMMENTO
Tanto Piketty conferma
le sue ipotesi, quanto mi pare necessario ribadire le mie valutazioni critiche,
per il cui sviluppo esteso rimando alla recensione del 2020, salvo esplicitare
quanto segue:
-
l’Autore richiama qua e
là le tematiche ecologiche e climatiche, ma mi pare che manchi di cogliere il
nesso tra la grande vicenda dello sviluppo industriale e della connessa
parziale riduzione delle disuguaglianze ed il grande contestuale saccheggio delle
risorse naturali del Pianeta terra, a partire dalle energie fossili; ed anche
in prospettiva mi sembra che si accinga ad auspicare una equa
de-carbonizzazione, senza affrontare il tema del limite delle risorse e le
problematiche della biodiversità;
-
nel suo testo rimane
sostanzialmente eluso il nodo della soggettività e della organizzazione dei
movimenti che potrebbero condurre alle radicali riforme delineate e
dettagliate: tanto nei Paesi Ricchi quanto nei Paesi Poveri;
-
in particolare non ho
letto nessuna valutazione sulle basi sociali di massa delle pericolose tendenze
sovraniste in atto in Occidente (ed anche altrove) ed ho invece riscontrato una
superficiale constatazione della sconfitta del Trumpismo, il cui persistente
radicamento nella società americana a mio avviso invece costituisce una
serissima preoccupazione (a proposito di ‘bivi e biforcazioni’);
-
analogamente il pur
pregevole tentativo di analisi del peculiare assetto capitalistico con
permanenze stataliste del regime cinese mi pare che sfumi nell’inconsistente
auspicio che a sfidarlo non sia l’attuale Occidente Plutocratico, bensì
l’atteso Socialismo Partecipato Democratico Federale Ecologista Meticcio (e se
invece a sfidarlo – o ad imitarlo - fosse il peggior sovranismo populista?).
Fonti:
1.
Thomas
Piketty – IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014
2.
Thomas
Piketty – CAPITALE E IDEOLOGIE – La Nave di Teseo, Milano 2020
3. Thomas
Piketty - BREVE STORIA DELL’UGUAGLIANZA - La Nave di Teseo, Milano 2021
4.
Aldo
Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI).
su UTOPIA21, novembre 2017 –
https://drive.google.com/file/d/1WZmz9PbHh5jhkCufdzqQM05Ud4MNDalq/view
5.
Aldo
Vecchi - THOMAS PIKETTY TRA CAPITALE E IDEOLOGIE – su UTOPIA2, settembre 2020 https://drive.google.com/file/d/1N8EnkPrDH9NuGemC1iTv-B7CVzaxqWYr/view?usp=sharing
6.
Aldo
Vecchi - IL B.E.S. COMPIE 10 ANNI (MA PASSA INOSSERVATO) – su UTOPIA21, maggio
2021 –
https://drive.google.com/file/d/1BBIzX56j7zfpCfH_W6aYVJFLUPrvFjGK/view?usp=sharing
7.
Aldo
Vecchi - I RAPPORTI ASVIS 2020 E I TERRITORI – su UTOPIA21, marzo 2021- https://drive.google.com/file/d/1ah-wVbDE_u-1DBMIet-ouSfLvoZnCB6-/view?usp=sharing
8.
https://urbanpromo.it/2021/urbanpromo-green/partecipare/
[A] In “Capitale e ideologia”2
Piketty si proponeva invece solo (e più
coerentemente?) di “superare il capitalismo e la proprietà privata”,
affidando di fatto ancora un ruolo importante al “mercato”.
[B]
Manovre
storiche, talora più inique, segnala l’Autore, come per l’impoverimento dei
piccoli risparmiatori francesi, altre più eque, come nel caso della
ricostruzione in Germania Ovest negli anni 50, con correttivi appostiti proprio
per i piccoli risparmiatori e con la clemenza degli altri Paesi occidentali sui
debiti di guerra – a differenza dagli anni ’20 - ; e spesso con una
corrispondenza ‘sociale’ tra perdite e guadagni, come nel caso del blocco degli
affitti, che impoverisce la proprietà, ma contemporaneamente arricchisce
l’inquilinato.
[C]
Dubbi
che ritrovo rafforzati dopo aver seguito in differita le sessioni di UrbanPromo
2021 8 gestiti dalla SIEV, Società Italiana di Estimo e Valutazione,
in cui prevalgono le costruzioni di matrici multifattoriali (talora affiancate
da tentativi di trovare corrispettivi monetari ai valori di uso di carattere
sociale), quasi che la sofisticatezza delle elaborazioni ne costituisse
garanzia di scientificità.
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