Mi
chiedo se sia possibile, in questa difficile situazione politica, e per
prevenire una più grave caduta socio-economica, approfondire una seria proposta
alternativa (da inquadrare a scala europea), finalizzata ad un superamento
della spirale oscillatoria tra recessione e tentativi di rilancio (sempre più
difficoltosi) del vecchio modello di sviluppo, ed orientata, invece che a
contenere o rilanciare i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a
partire per l’appunto dalla leva fiscale ed in particolare dalla
differenziazione “ecologica” delle aliquote IVA, generalizzando una logica da
“carbon tax”.
Si
tratterebbe ad esempio di introdurre una
quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel
contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3
aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente
superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi
risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione,
sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:
-
consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)
-
consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con
consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)
-
emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)
-
produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.
Una
incentivazione e disincentivazione fiscale, rilevante (ma, volendo, anche da
introdurre con gradualità) ed esplicitamente orientata, potrebbe innescare virtuosi processi di selezione
dei consumi (limitando il peso inflazionistico per i redditi più bassi e per i
consumatori più saggi) e di riorganizzazione produttiva.
Con
questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo i tentativi
di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale
dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte
IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP
(anche qui con discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia
soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi,
restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo
improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al
concetto di “equità”.
Non so se il
risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse
di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.
Credo
che si debba cogliere positivamente
l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla
saturazione di alcuni settori
merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie
prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione
(sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici
sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica
italiana ed europea; all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della
Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove
produrre (e trasportare) merci.
E rendere, così,
strategica la riflessione sulla “economia verde”: non solo un aggettivo ed un
colore per la solita economia.
(vedi in PAGINE: APPENDICE 2^ e nei POST la precedente versione dell'appello; vedi anche in POST e PAGINE, Parte 4^, le premesse e le proposte correlate
Nessun commento:
Posta un commento