sabato 23 febbraio 2013

LA DECRESCITA FELICE DI SERGE LATOUCHE

La lezione tenuta a Parma da Serge Latouche nel febbraio 2011 nell’ambito di un convegno sulle “Politiche di sviluppo sostenibile per le piccole comunità urbane sfavorite”, Latouche 2011 che quindi sollecitava a pronunciarsi anche sugli aspetti territoriali della questione, conferma le sue teorie, riassunte a fianco da Paolo Ventura come “orizzonte di obiettivi di lungo periodo da conseguire progressivamente al fine di ritrovare una ’impronta ecologica’ sostenibile”:

-          “uno sviluppo urbano tale da ridurre i trasporti (privati) e rilocalizzare le attività;

-          il rilancio dell’agricoltura contadina;

-          la trasformazione degli incrementi di produttività in riduzione dei tempi di lavoro ed in crescita dell’occupazione;

-          il rilancio della produzione di “beni relazionali”;

-          la riduzione degli sprechi di energia;

-          la riduzione del ruolo della pubblicità;

-          il ri-orientamento  della ricerca tecnica e scientifica;

-          la protezione dallo scambio ineguale delle attività economiche minori tramite “monete locali” e “monete complementari”.

In questo elenco – tranne forse sull’ultimo punto, più originale e più nebuloso - credo possano riconoscersi in larga misura anche tutti i sostenitori delle più tradizionali concezioni dello sviluppo sostenibile (es. carta di Aalborg del 1994, e Aalborg commitments del 2004) : si sbagliano, perché questo insieme di misure comporta necessariamente la decrescita?

Dove sta la specificità della proposta della decrescita felice, recentemente ribattezzata “dell’abbondanza frugale” (andando oltre la formulazione piuttosto autarchico-solipsista e passatista esposta da Maurizio Pallante - Pallante 2011)?

Latouche articola la “strategia” essenzialmente in due ambiti:

-          quello africano, o terzo-mondista, dove in sostanza non si ha nulla da perdere e tutto da guadagnare in una rapida “fuori-uscita dallo sviluppo”, anche approfittando dell’attuale crisi come favorevole occasione

-          quello euro-occidentale in cui più è difficile la disintossicazione dai falsi bisogni e dove quindi si ipotizza un lungo percorso verso la de-mercificazione, da un lato tramite la battaglia culturale per cambiare l’immaginario collettivo, e da un altro lato tramite la sperimentazione di  “alleanze” con “le imprese miste”, gli alter-mondisti e i sostenitori dell’economia solidale.

La proposta, comunque poco articolata riguardo alla operatività concreta per le città occidentali, risulta più chiara nella sua parte analitica e critica sugli eccessi del consumismo e sui paradossi della “crescita” del PIL e francamente ancora piuttosto oscura nei suoi sviluppi propositivi, perché non spiega quali soggetti, muovendosi dalle proprie idee oppure anche dai propri interessi, possano riuscire a conseguire un progressivo consenso maggioritario, nelle aree attualmente sviluppate, in favore della “decrescita felice”, né tanto meno quali siano le possibili tappe intermedie, ragionevolmente equilibrate, di tale processo.

E neppure ipotizza esplicitamente che la sottrazione delle aree terzo-mondiali più sfruttate dal circuito dello sviluppo possa accentuarne la crisi producendo squilibri forse drammatici, ma potenzialmente a lieto fine.

In assenza di una esplicita teorizzazione di possibili fasi di rotture catastrofiche dell’attuale sistema sviluppista, da gestire con segno alternativo, oppure direttamente rivoluzionarie, ne risulta una sorta di “riformismo estremista”, ma con un orizzonte senza tempo, e soprattutto senza specificazioni riguardo alle modalità felici di accettazione della decrescita da parte dei popoli più “sviluppati”, se non attraverso l’auspicio di uno spontaneo mutamento dei paradigmi culturali dalla competizione alla collaborazione.
Nel più recente saggio “Per un’abbondanza frugale”  (Latouche 2012), Latouche cerca – con risultati a mio avviso poco risolutivi - di dimostrare la compatibilità della decrescita sia con il capitalismo che con la democrazia, e l’inutilità di una ricerca dei “soggetti sociali protagonisti”, affidandosi invece alla sola crescita culturale degli “individui”.

PER UN INQUADRAMENTO PIU' AMPIO, VEDI ANCHE, IN QUESTO BLOG, "PAGINE - PARTE  2^" E "BIBLIOGRAFIA"

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