RAPPRESENTANZE
ASL, Fondazioni
Bancarie, RAI:
pare generalizzato l’insuccesso
delle rappresentanze “politiche” in questi centri di potere; si lamentano
spesso prevaricazioni “partitocratiche” di vario genere, a scapito degli stessi
“beni comuni” da governare.
Un giudizio più
favorevole è invece generalmente assegnato alle amministrazioni comunali, anche
se l’elezione diretta dei sindaci e la preferenza unica per i consiglieri
convivono largamente con fenomeni di populismo, corruzione e infiltrazioni
criminali.
(Un altro tipo di
insuccesso si era verificato negli anni ’80, e poi, riguardo alla
partecipazione delle famiglie agli organi collegiali della scuola: esaurita la
spinta propulsiva iniziale di carattere sociale, hanno prevalso logiche
particolaristiche – tra i genitori – e corporative – tra gli insegnanti -).
Ma, se abolissimo ogni
tipo di rappresentanza democratica “indiretta”, che alternative si porrebbero
per la gestione di queste fondamentali articolazioni della società?
La completa
privatizzazione, che elimina alla radice un certo tipo di problemi, e li
sostituisce con il primato del profitto, nonché con la competizione
individualistica ed il suo corollario di cordate clientelar-aziendali?
L’auto-gestione dei
singoli “corpi separati”, come già è in buona misura – e non senza
distorsioni (necessariamente “corporative”)
- ad esempio per l’università, la magistratura, l’esercito?
(Nella mia esperienza
lavorativa, in prevalenza come funzionario e secondariamente come libero
professionista, ho vissuto in termini anche conflittuali il rapporto, pressoché
quotidiano, con gli amministratori locali, talora miopi, clientelari,
demagogici - e anche peggio -, ma più spesso lungimiranti ed aperti agli
stimoli culturali, e nel contempo sensibili in modo “olistico” al consenso dei
cittadini: nell’insieme un salutare contrappeso alle astrattezze illuministiche
del sapere disciplinare ed alla tipica autoreferenzialità degli architetti).
Sono pensabili e
praticabili nuove forme di rappresentanza democratica, che si esprimano nei vari
settori a partire dagli utenti, a scala locale, in parallelo ad una riforma dei
partiti quale può trasparire dalla pratica delle “primarie” di PD e SEL ed anche
dall’aspetto partecipativo del Movimento 5-stelle (se fosse possibile
analizzarlo isolandolo dalla genesi e leadership Grillo-Casaleggio)?
Delle primarie del
centro-sinistra mi sembra apprezzabile la correzione “anti-plutocratica”
(rispetto al modello USA) del divieto di spot e cartelloni e del contenimento
delle spese ammesse per i candidati; del 5 Stelle appaiono positivi gli aspetti
di trasparenza, rendicontazione e revocabilità, benché obnubilati dalla
irrevocabilità del padre-padrone e dalla opacità complessiva del centro del suo
assetto partitico (fintamente non-partitico).
Qualche speranza
potrebbe venire da un rinnovamento – oggi paradossalmente possibile forse solo
dall’alto, per via legislativa – della democrazia sindacale, purtroppo nei
decenni alquanto appannata rispetto alle origini dei Consigli di Fabbrica (e
all’utopia del Manifesto sul contro-potere consiliare).
E qualcosa di buono,
anche nei metodi di consultazione ed inclusione, è emerso e sta emergendo nei “nuovi
movimenti”, come quello sull’acqua pubblica e quello contro il consumo di suolo
- www.salviamoilpaesaggio.it.
Più oscuro invece mi
sembra l’orizzonte della Cooperazione, del Volontariato e del Terzo settore,
nella misura in cui su tale orizzonte si sono profilati negli ultimi anni l’Unipol
di Consorte, la Compagnia delle Opere e la Croce Rossa di Scelli.
Il problema della
crisi della democrazia occidentale (in
carenza di altri modelli importabili – come invece lo sono le merci – da
altre parti del mondo) è ampio, complesso e variamente dibattuto.
Non intendo in questo
testo riepilogare le radici storiche e socio-economiche della questione (vedi
PAGINA “PARTE PRIMA E SECONDA” nel mio blog, con recensioni su Castells, Bauman,
Maffesoli, Gallino e altri), e resto convinto che solo su questo terreno
complessivo possano maturare le condizioni per una eventuale ed auspicabile rinascita
organica della democrazia (e dell’Europa sociale).
Tuttavia mi sembra
che il problema del governo dei beni comuni si ponga comunque, qui ed ora, e
che occorra cercare delle proposte concrete da sperimentare.
In tale direzione il programma del centro sinistra esprime una
corretta sensibilità (ad esempio nel paragrafo “Democrazia” del testo “Italia
bene comune”) ma non appare ricco di prospettive sufficientemente articolate:
le primarie contro il Porcellum e la connessa parità di genere, il gesto delle
nomine RAI e l’impegno a cancellare leggi ad personam e conflitti di interesse
sono premesse importanti, ma non bastano
a dirci cosa si vuol fare per banche, scuole, ospedali, ecc.
Non mancano invece
suggestioni interessanti in letteratura, e intendo – nel mio piccolo - tornarci
prossimamente, dopo aver approfondito i testi, ad esempio di Paolo Prodi (su
scienze e consenso), Luigi Bobbio (su inclusione e decisioni), Salvatore Biasco
(specificamente sulla governance dei beni comuni), David Graeber (sui limiti
della democrazia occidentale); ed altri, se ne avrò il tempo e la pazienza.
12-02-2013
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