Il
confronto è stimolante, ma più difficile, con i portatori di un pensiero
sostanzialmente pessimistico, ma non certo immotivato, come Michel Maffesoli Maffesoli 2004 e 2007 o come Zygmunt Bauman Bauman 2006 e 2011 ; più consono alle altre
posizioni trattate in questo testo è invece il confronto con gli ampi affreschi
descrittivi/interpretativi (qui non riassumibili) e con le proposte ri-costruttive,
specificamente orientate anche allo spazio urbano, di Manuel Castells Castells 2002 e
2004.
-
Maffesoli,
sottraendosi provocatoriamente agli stilemi statistici della sociologia
accademica, ma recuperando a suo modo i maestri fondatori, da Max Weber a
Durkheim, da Simmel a Pareto, sviluppa invece un grande affresco storico ed
antropologico sull’andamento pendolare tra società organizzata e socialità
spontanea, tra monismo (e monoteismo) e pluralismo (e politeismo) ed in
sostanza coglie nella crisi della modernità un tramonto irrecuperabile del
razionalismo (e dello stesso individualismo), cui contrappone la ricerca di un
pensiero audace, meticcio e interattivo, utile a leggere le tendenze effettive
alla aggregazione sociale e all’orientamento collettivo dei comportamenti per
“tribu’”, religiose/estetiche/dionisiache (anche nelle forme contemporanee ed
effimere delle “reti” cibernetiche metropolitane).
In tale ambito legge “i gruppi
per i quali la natura è considerata come una partner” come “forze alternative,
che segnano il declino di un certo tipo di società chiamandola, allo stesso
tempo, a una irresistibile rinascita”: ma appare scettico sull’esito di tale
richiamo, perché “i membri delle classi popolari sono da sempre degli epicurei”
e la folla può essere “nello stesso tempo socialista e nazionalista”.
Pur
non condividendo appieno il pessimismo irrazionalista di Maffesoli (perché sono
troppo abituato al razionalismo), mi sembra però che i temi da lui sollevati
siano fondamentali e che sia piuttosto grave la scarsità di elaborazioni
alternative altrettanto approfondite sui rapporti individuo/gruppo/società e
quindi sull’argomento nodale della formazione del consenso popolare alle
proposte di riformismo radical-ecologico ovvero della possibile o impossibile
egemonia del pensiero ecologico; mi pare utile confrontare le considerazioni di
Maffesoli con l’impasse in cui mi sembrano incagliarsi a questo proposito le
proposte ecologiste più avvertite, illustrate nei successivi paragrafi.
Il
testo di Maffesoli è orientato soprattutto a contrapporre i legami “tribali” a
quelli universali, più astratti ed idealistici (classe, nazione, umanità
intera); ma la sua contemplazione del comportamento collettivo “tribale”
critica anche radicalmente le premesse individualistiche sia del “borghesismo”,
come ideologia, sia delle teorie economiche neo-liberiste; tale filone sarebbe
interessante da sviluppare in relazione al recente risorgere di movimenti
culturali e politici anti-capitalistici.
-
Bauman,
descrivendo molti aspetti della società contemporanea con ottica originale e
disincantata, sostiene in sintesi che nella “società liquida” chi sta ai
vertici domina volatilizzandosi (come capitali iper-dinamici e come persone e
ceti dalla vita ormai ubiquamente internazionale), mentre cresce l’emarginazione
delle masse precarizzate ed escluse dal potere e sfruttate in quanto
“consumatrici” ancor più che in quanto “produttrici”.
Le resistenze locali ai
problemi planetarie offrono poche speranza di riscatto ed anche i recenti movimenti
di opposizione alle conseguente della crisi finanziaria non riescono a ‘mordere’
perché non riescono a maturare “rivendicazioni chiare, specifiche e
realistiche”.
Se alcuni anni addietro Bauman
riteneva di vedere qualcosa di chiaro nel buio, ma dubitava profondamente nella
possibilità di comunicazione tra intellettuali occidentali e masse sfruttate
del terzo mondo, immaginando come unico esito positivo del proprio lavoro (sulla
scia di Adorno) il “lanciare messaggi in una bottiglia”, a possibile uso dei
posteri, e altrove, in una recente intervista pare sprofondare in un pessimismo
ancora più integrale.
Pur postulando la necessità di
“promuovere un’azione collettiva per rifondare l’agorà che stata privatizzata
---, scegliere tra affidarsi al fato o avere un orizzonte. Tra la deriva e il
viaggio” ed anche “Capire come fare a distinguere la deriva dal viaggio.
Attraverso quali mappe orientare la nostra navigazione”, alla domanda “quali
sono i problemi sociali oggi” risponde “Se mi avessi fatto questa domanda
trenta anni fa, avrei saputo di cosa parlare --- Oggi devo confessarti che non
so di cosa parlare. Tutto quello che posso fare è brancolare insieme nel buio.
--- non soffriamo di una mancanza di conoscenza, ma di un eccesso di saperi –
il problema --- è --- come faccio a trovare qualcosa di sensato in questa
spazzatura”.
Nell’analisi
di Bauman non mi convince, oltre l’eccesso di pessimismo (ma la mia opposizione
è soprattutto psicologica), l’accento prioritario posto sullo sfruttamento
delle masse in quanto consumatrici, perché trascura l’evidente fatto che le
merci e i servizi che tali masse ‘alienate’ consumano, c’è pure qualcuno che da
qualche parte le produce, e tuttora è costretto a produrle tramite forme di
sfruttamento, antiche e nuove, che meritano di essere indagate.
La
mia impressione, pur non suffragata da approfondimenti scientifici originali, è
che le tensioni sociali in atto nel mondo occidentale, con l’attacco al lavoro
ed al welfare, tendano a generalizzare nel mondo globalizzato l’affiancamento
tra ampie élites di super-consumatori e ancor più ampie masse precarie di
esclusi, sostituendo, come sbocco commerciale, le nuove fasce superiori dei
paesi emergenti al “ceto medio” sprofondante dell’Occidente; ma in questo
processo la contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati, innanzitutto nella
fase della produzione, si riproduce, con forme nuove, su scala planetaria e
finirà per produrre (con o senza il messaggio di Bauman nella bottiglia) nuove
forme di conflitto di classe, sia pure con esiti non marxianamente
prevedibili.
-
Castells,
nel contesto della evoluzione della “società in rete”, che trasforma - pur
conservando frammenti del passato -
lavoro, famiglia, comunicazione, tempo e spazio, e determina un
urbanesimo frammentario (con i nodi emergenti inclusi nelle reti globali ed
enclaves – remote o vicine -
caratterizzate da esclusione ed emarginazione – vedi in proposito le
ricerche di Saskia Sassen Sassen
2010), ed anche
una parallela frammentazione della vita umana (interpretazione non dissimile da
quella antropologica di Marc Augé - Augé 2005), non ritiene impossibile la
formazione – da parte di autorità locali volonterose, sospinte da movimenti dal
basso, pur spesso effimeri, e sorrette da quel che resta dei poteri nazionali
- di “progetti strategici” di
riqualificazione degli spazi urbani e sociali:
o
fondati
sul funzionamento democratico delle istituzioni locali (raramente organizzate
alla corretta scala metropolitana)
o
articolati
sui livelli della pianificazione, del disegno urbano e dell’architettura
o
finalizzati
a creare ponti tra lo spazio globale dei flussi e lo spazio fisico dei luoghi
ed a coinvolgere i cittadini nel dare un senso agli spazi pubblici, reali e
virtuali.
Il
limite della proposta, oltre alla verificabilità/falsificabilità del grande
schema interpretativo di Castells sulla società “informazionale”, mi sembra
stia nella questione della democrazia, che risulta al tempo stesso condizione necessaria ed
esito sperato dei progetti di trasformazione, mentre mi sembra alquanto
sottovalutato l’aspetto socio-economico, malgrado le ampie e raffinate analisi
(ed i documentati quadri statistici) di Castells e dei suoi interlocutori
proprio anche sulla questione – a mio avviso cruciale – della trasformazione
dei rapporti di lavoro (laddove Castells ha individuato come esito non
lineare e non irreversibile della “società informazionale” la crescente
polarizzazione sociale tra nuovi lavori elitari creativi e lavori di base
precari e de-qualificati).
PER UN INQUADRAMENTO PIU' AMPIO, VEDI ANCHE, IN QUESTO BLOG, "PAGINE - PARTE 1^"
E "BIBLIOGRAFIA"
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