mercoledì 27 febbraio 2013

URBANISTICA E ARCHITETTURA – ARCHITETTURA DELLA CITTA’


Un limite delle posizioni teoriche dell’Urbanistica Riformista di Campos Venuti e Oliva, anche se più varia è la prassi, e vivace l’attenzione culturale dell’INU da loro guidato (vedi le riviste dell’Istituto, ed anche il convegno di Genova nel 2006 sul ‘Progetto urbano’), è la separazione  tra pianificazione e architettura urbana: la giusta considerazione sulla inefficacia dei Piani Regolatori Generali “disegnati” e la coerente separazione tra Piani Strutturali e Piani Operativi  rischia di impoverire ambedue i livelli riguardo alla necessaria attenzione alla ‘forma’ della città e di delegare tutte le scelte tipologiche e morfologiche, relative ai fabbricati ed agli spazi pubblici, al momento della progettazione architettonica, isolata dal dibattito generale sulla trasformazione urbana, e quindi alla auto-referenzialità degli architetti ed all’impronta costruttiva dei committenti (immobiliaristi, imprese, singoli privati).

Il tema sembrerebbe non riguardare strettamente la sostenibilità, mentre a mio avviso è centrale per cercare di perseguire una effettiva vivibilità collettiva degli spazi urbani, e quindi valori culturali e sociali che sono però anche ambientali (paesaggio urbano, qualità edilizia, qualità della vita) ed economici (efficacia della densificazione, successo della mobilità ‘dolce’, costi e benefici delle aree ed attrezzature ad uso collettivo).

Lo affronta con brillante esposizione Graziella Tonon con l’articolo “Urbanistica e architettura: un rapporto da rinnovare”, Tonon 2011, che è però limitato dall’orizzonte, pur importante, dell’insegnamento nelle facoltà di Architettura e di Pianificazione, mentre Giancarlo Consonni, nel testo “La difficile arte. Fare città nell’era della metropoli” Consonni 2008 articola in modo più completo la proposta di una diversa urbanistica che divenga architettura della città:

-          sia nella lettura della genesi storica della metropoli contemporanea (a partire dagli opposti caratteri della città antica e medioevale, e dallo sviluppo e crisi della città industriale) e dei limiti della risposta che architetti e urbanisti del “movimento moderno” fanno dato ai problemi della modernità (con Jane Jacobs e Ildefonso Cerdà – tra gli altri - contro il Le Corbusier teorico dei CIAM ed i suoi epigoni, e soprattutto contro i contemporanei cantori della bellezza del caos e del frammento, tipo Koolhaas): schematicamente si può riassumere che per  Consonni la metropoli contemporanea tende a innestare contenitori isolati (architettura dei bunker) su una ipertrofica rete di trasporti e comunicazioni, finendo per consumare, con lo sprawl, non solo lo spazio (frammentato e disperso dalle reti),  ma  anche il tempo (spostamenti obbligati su lunghe distanze, congestione), degradando la campagna e disperdendo gli spazi della socialità, della convivenza tra diversi e della conseguente sicurezza spontanea, surrogata dalla segregazione e “militarizzazione”;

-          sia nella formulazione di criteri alternativi per la progettazione, come “luoghi” a misura d’uomo  degli spazi urbani e paesaggistici, valorizzando la complessità dei “contesti” (cum-texere: operare su tessuti storicamente stratificati, polimorfi e polifonici), spaziando, con ampia competenza letteraria e poetica (vedi soprattutto il cap. “L’ospitalità dei luoghi – la riconquista possibile”)  anche sui campi attigui delle altre arti: danza, teatro, romanzo, musica: secondo Consonni (se mi è possibile riassumere in breve prosa una poetica espressa in linguaggio letterario alto) è necessario e possibile ricreare, anche nella modernità, isole urbane a misura pedonale, orientate alla liberazione del tempo, riconfigurandone la stratificazione diacronica con la progettazione di nuovi spazi di relazione (archetipo della “radura” e ripristino di corretti rapporti tra cielo e terra, tra verticale e orizzontale) e collegandole con “strade vitali”; contro l’isolamento estremizzato di tecnica (funzionalismo), natura (illusione della città giardino) e storia (mimesi stilistica), occorre trovare l’equilibrio tra opposte polarità, quali artificio/natura, ordine/complessità, aperto/chiuso, moto/quiete (ecc.), riscoprendo - nella massima attenzione alla dimensione sociale (necessità che la VAS sia “Valutazione Sociale Strategica) - altri archetipi progettuali, tra urbanistica ed architettura: la soglia, la penombra, l’interferenza, la permeabilità.   

Le riflessioni e proposte di Tonon e Consonni non sono scevre dalla consapevolezza delle ragioni strutturali della crisi della città e delle dominanti socio-economiche (con frequenti riferimenti a Mc Luhan) ed anche ideologico-culturali (il “nemico … non sta solo fuori di noi …: è la diffusa perdita di senso”; mentre outlets, centri commerciali e cinema multi-sale godono di un effettivo successo di massa), che rendono difficile l’immane compito di “civilizzare” la metropoli contemporanea.

Ma gli autori sembrano concentrati soprattutto ad un approccio intellettuale, sia ‘dall’alto’ (interessanti considerazioni, e suggerimenti ai legislatori, sui limiti concettuali della attuale legislazione sul suolo, ridotto a concetto catastale-geometrico, e sulla mancanza di relazioni tra “beni paesaggistici” e “beni culturali”, e cioè di attenzioni ai luoghi, ai tessuti e per l’appunto alle stesse “relazioni” tra i diversi elementi di interesse), sia ‘dal basso’, ma limitatamente ad una battaglia per culturale per “addetti ai lavori”, progettisti e amministratori, senza una prospettiva di articolazione strategica dei modi e dei mezzi, dei soggetti e delle alleanze, per avvicinarsi alla rifondazione urbana e paesaggistica auspicata (e dichiarata, ma non dimostrata, necessaria e possibile).

Valgono quindi, a maggior ragione, le domande poste nel precedente paragrafo all’Urbanistica Riformista.

Ho scelto di commentare Tonon e Consonni (oltre che per personale simpatia ed antica vicinanza studentesca), per il peculiare fascino della loro scrittura, ma è doveroso segnalare che analoghe proposte orientate alla qualità urbana della città compatta sono avanzate in Italia, da diverse altre scuole (vedi ad esempio AAVV-Dal Pozzolo 2002, Giovannini 2009, AAVV-Colarossi e Latini2009) e che a simili attenzioni si perviene anche attraverso i ragionamenti eretici di Marco Romano Romano 2004 , nonché – a mio avviso – seguendo gli esiti meno formalistici e auto-referenziali della scuola di Aldo Rossi e della sua “Architettura della Città” Rossi 1965 (meno meccanicista nella parte propositiva della “analisi urbana” di Muratori e Caniggia, ritenuta da Consonni inadeguata a descrivere “le manifestazioni mature della metropoli contemporanea” Caniggia e Maffei 1979 ).

 Un percorso analogo di riflessione sulla città sostenibile, in quanto eco-sistema, e non semplice sommatoria di macchine per abitare energeticamente virtuose, si trova nel testo “Ecopolis” di Sergio Lironi Lironi 2011,  che parte dalla critica al funzionalismo del Movimento Moderno, cui contrappone la concezione olistica ed organica di Mumford e Geddes, ed approda ad una proposta attenta agli aspetti comunitari e partecipativi, affiancata da una recensione sugli sviluppi concreti della bio-architettura e degli eco-villaggi europei negli ultimi decenni.


AGGIORNAMENTO GENNAIO 2014
Nel numero 150-151 di "Urbanisitca", il contributo teorico di Ennio Nonni sulla “bio-urbanistica” (qualcosa di molto diverso dalla sommatoria di tante bio-architetture), cerca di abbracciare in uno stesso discorso le metropoli dei paesi ricchi (che consumano suolo per l’irrazionalità delle espansioni periferiche a volumi isolati oppure a villette, ma garantiscono servizi e spazi pubblici) e quelle dei paesi poveri (che si espandono per l’inarrestabile migrazioni nelle baraccopoli) e – valutando comunque criticamente la praticabilità dell’obiettivo del risparmio di suolo a fronte della pressione migratoria, che non è esclusa neanche per le città del mondo ricco – propone di perseguirlo, nella nostra realtà, sostituendo le periferie esistenti con organismi urbani compatti ed integrati (simili ai nostri “centri storici” ma anche all’urbanità che esprimono le stesse favelas); la proposta mi sembra convergente con quelle che ho riepilogato come “architettura della città”, e mi pare presenti – come le altre da me ivi riepilogate – un sostanziale difetto, e cioè di non spiegare come si può conseguire tale indirizzo, nelle nostre società, in termini di consenso antropologico (ancor prima che politico e di mercato).


PER UN INQUADRAMENTO PIU' AMPIO, VEDI ANCHE, IN QUESTO BLOG, "PAGINE - PARTE  3^" E "BIBLIOGRAFIA"

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